Una scuola per non manager

Una scuola per non manager

La disperazione di dover memorizzare meri dati di fatto per un test, la mano alzata nel mezzo della lezione al solo scopo di chiedere "ma questo ce lo chiede all'esame?". Questi sono i sintomi di una fallimentare strategia educativa.

Se le cose funzionano male in una impresa la rersponsabilità maggiore ricade sulle spalle dei capi. La cosa è tanto ovvia che appare difficile da discutere. Eppure una simile ovvietà non viene riconosciuta nelle scuole: di fronte al fallimento degli studenti, la responsabilità non ricade sui maestri. Vale la pena occuparsene qui, giacché la competitività di un paese è legata, quando non direttamente conseguente, alla qualità del sistema scolastico che quel paese garantisce. Detto altrimenti: se abbiamo pessimi capi lo dobbiamo soprattutto alle nostre pessime scuole.

La questione è affrontata in modo magistrale dal libro di Stuart Firestein Ignorance (pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri qualche mese fa). Firestein sostiene che, contrariamente a quanto comunemente si pensa, gli scienziati sono più interessati all’ignoranza che alla conoscenza, perché la prima rappresenta una sfida alle abitudini consolidate, e queste ultime non favoriscono in alcun modo il progresso scientifico. Nei laboratori di ricerca accade qualcosa di molto simile a quello che accade a scuola e nelle imprese: affinché dispongano il proprio impegno alla risoluzione dei problemi e al superamento delle difficoltà, le persone hanno bisogno di sollecitazioni autentiche. Accade invece che le sollecitazioni autentiche, nelle aule come negli uffici, siano piuttosto rare. Solitamente si preferisce puntare su una idea d'impegno che valorizza l'obbedienza (si fa così perché lo dice l'istruttore) e penalizza la domanda: né ai maestri né ai capi piace sentirsi chiedere "perché mai dovrei imparare a fare le cose che mi vengono chieste?".

Devo correggermi. I buoni maestri e i capi capaci amano circondarsi rispettivamente di allievi e collaboratori che fanno contiuamente questione degli insegnamenti e delle indicazioni, chiedono le ragioni, si sforzano di rinvenire un senso riconoscibile nelle loro azioni. Per molto tempo si è definito irriverente e creduto inaccettabile l'allievo che insiste nel chiedere "Ma chi l'ha detto?". Questa strategia educativa ci ha consentito di costruire una società di mansueti obbedienti. Così, grazie alle recenti generazioni di compilatori di test, che hanno preso il posto delle tradizionali generazioni di mnemonisti, ci troviamo oggi, contemporaneamente, nelle condizioni ideali per irrobustire le norme e prevenire l'innovazione.

Se ci stanno a cuore le correnti più interessanti dell'economia sperimentale conviene forzare l'argomento di Firestein e valutare l'ipotesi che i manager migliori, quelli più sensibili all'originalità dei contributi provenienti dai collaboratori, sono stati pessimi allievi, più inclini al richiamo dell'ignoranza che alla comodità della conoscenza.

Maria Meloni

Legal Angel / Legal & Compliance Advisor / OdV / Mentor/ Expert at La Carica delle 101

10 anni

Mi piace molto sottolineare l'ipotesi che: 1) i manager migliori sono quelli più sensibili all'originalità dei contributi provenienti dai collaboratori, 2) tali manager (quelli migliori) sono stati pessimi allievi, più inclini al richiamo dell'ignoranza che alla comodità della conoscenza. Grazie Leonardo per i continui spunti di riflessione!

Andrea Faré

agisco affinchè tutti ottengano il potere di guidare e autorealizzarsi al servizio delle organizzazioni che amano

10 anni

La scuola, come la politica ed in genere tutti i servizi e processi decisionali in carico allo Stato e sottoposti a regolamentazione, tendono ad evolversi molto più lentamente di quanto non faccia il contesto in cui sono calati. Una scuola siffatta, aveva senso nell'istante, di gentiliana memoria, in cui è stata scattata la foto che poi ne ha guidato l'implementazione, quello di un' Italia analfabeta e bisognosa di un'erudizione di base. Ma quel tempo è finito, l'era digitale esercita nuove pressioni sul significato di cultura e intelligenza, l'unico modo per superare l'immobilismo è cercare di "liquefare" ,"decentrare" questi processi e servizi alla massima velocità consentita dal pur presente digital divide, e mantenendo il minimo numero necessario di requisiti stringenti. Nel caso della scuola registro i seguenti limiti che dovrebbero essere indirizzati quanto prima: - Totale assenza di corsi di :"Pensiero Critico", "Economia", "Ricerca informazioni su Internet", "linguaggi di programmazione" - Totale assenza di corsi che sviluppino inventiva e creatività, l'arte si contempla e basta quasi il meglio fosse per forza già stato prodotto, questo crea ragazzi insicuri e timorosi di dire la loro - Totale assenza di corsi che insegnino a studiare, raccogliere ed organizzare le informazioni - Approccio inversamente telescopico allo studio della storia (si studiano più e con maggior livello di dettaglio gli antichi che i tempi moderni, mentre dovrebbe essere esattamente il contrario) - Sovrabbondanza di materie umanistiche e della relativa critica, che castra le menti dei giovani. Anche qui tutta contemplazione del bello che fu' e zero creazione. Sono fermamente convinto che se potessi creare da solo il curriculum di studi di mio figlio su internet, partendo dalla scuola materna, lo porterei ad una conoscenza ed ad una cultura di livello universitario in metà del tempo rendendolo al contempo molto più capace di giocarsela nell'agone del mercato lavorativo, e soprattutto fornendogli subito gli strumenti necessari a diventare il miglior cittadino/lavoratore possibile in futuro. Uno dei motivi per cui il nostro Paese si avvia ad arricchire le schiere del Terzo Mondo è anche la leggerezza con cui il tema dell'istruzione è stato affrontato nell'ultimo ventennio.

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altri articoli di Leonardo Previ

Altre pagine consultate