3 consigli per la data-driven cautela, soprattutto in ambito marketing.

3 consigli per la data-driven cautela, soprattutto in ambito marketing.

Ormai è un mantra: dobbiamo essere data-driven. In ogni segmento delle aziende, dall'amministrazione e contabilità, alla produzione e manutenzione (dove si usa e abusa dell'aggettivo predittivo), fino al marketing e alle vendite.

Ne avevo parlato poco prima di iniziare questa newsletter: sono un grande sostenitore dei modelli basati sui dati.

Il dato è un modo di percepire la realtà, un modo di misurarla.

Il modello che si applica a quel dato è un modo, matematico, di cercare di capirla, interpretarla e, grazie alle AI (evoluzioni per certi aspetti della statistica), prevederla.

Eppure dobbiamo maneggiare dati e modelli con le cautele necessarie, tenendo sempre presenti alcuni paletti inviolabili.

  1. Famoso è il detto anglofono: garbage in garbage out: se i nostri dati fanno schifo, non c'è modello che li possa migliorare. Dove manca l'informazione, manca: come nelle foto bruciate o sottoesposte non potremo, in assenza di dati solidi, puliti e interrogabili, distinguere nitidamente le immagini che cerchiamo.
  2. E dobbiamo essere d'accordo, almeno tra le persone con le quali condividiamo le analisi, su cosa rappresentino quei dati e quei numeri, su cosa descrivano, su quali domande stiamo loro facendo, espresse spesso in termini di probabilità; soprattutto quando usiamo le AI, stiamo effettivamente facendo a quei modelli. Dobbiamo capire cosa stiamo misurando, quando, come; di certo tenere conto della teoria degli errori. Quante volte negli uffici delle aziende non ci sono definizioni condivise su cosa significhino veramente quei KPI che presentiamo nei report. Purtroppo, quando mancano definizioni condivise, non possiamo capirci, perché non parliamo delle medesime cose e quando comunichiamo, cioè cerchiamo di scambiarci informazione, avremo sempre grossi fraintendimenti. Quindi, definire, definire, definire: è faticoso, ma necessario.
  3. In realtà, però, ho cominciato a scrivere questo post con un invito alla cautela massimo in mente, soprattutto in un ambito: quello dei modelli di attribuzione. L'arrivo di GA4 e il peso crescente del digital nel marketing sta portando il concetto di attribuzione sempre più spesso al centro delle nostre riflessioni.

Un modello di attribuzione, detta male, è un modello matematico utile ad attribuire, appunto, un peso relativo a un canale di comunicazione rispetto agli altri nel realizzare una vendita. Ne avrete certamente sentito parlare: si va da modelli semplici, come i modelli di attribuzione last click (in cui il "merito" di una vendita viene attribuito all'ultimo clic che viene effettuato prima della vendita) e first click (indovinate un po'), a modelli decisamente più complessi, come il data-driven o il cross-channel (li trovate, chissà perché, nella sezione pubblicità di GA4).

Qualche giorno fa, però, mi è capitato di buttare l'occhio su un post di Les Binet, esperto uomo di marketing, che invitava a considerare alternative ai modelli di attribuzione figli delle piattaforme del digital marketing. E lo faceva con diverse ragioni: in primis, questi modelli non mettono in conto fattori extra digitali (come, per esempio ma non solo, pubblicità della tv tradizionale, pubblicità in esterna non misurabile, radio; ma anche, dico io, fattori importanti come il prezzo, il posizionamento, etc.).

In secondo luogo modellano una realtà di breve periodo, ignorando così fenomeni che probabilmente hanno bisogno di più tempo per dispiegarsi.

Il suo invito era quello di tenere in debito conto anche i modelli econometrici, per attribuire correttamente il peso a un numero più alto di fattori nell'analizzare le ragioni di una vendita.

L'econometria, di nuovo detta male, è la branca dell'economia che applica la statistica ai dati dei fenomeni considerati: si avvale grandemente delle regressioni e consente di "pesare" più variabili che concorrono a un risultato, anche su periodi di tempo significativi.

Certo, i modelli econometrici sono molto difficili da realizzare, non provengono out-of-box e gratuitamente da una piattaforma come GA4, ma mi sembra che nel nostro dibattito di digital-cosi se ne parli poco, e se ne dovrebbe parlare molto di più: la corretta attribuzione di un risultato aziendale, infatti, sia esso una vendita, un contratto, una crescita di margine in Q4, dovrebbe essere nel radar di ogni decisore, a ogni livello. In un certo senso credo che i prossimi anni dovranno essere dedicati a portare la ricerca scientifica accademica dentro le mura delle nostre aziende: se non le persone, quantomeno i principi e le necessarie cautele (come fare largo uso della teoria degli errori e il minor uso possibile di misplaced precision quanto presentiamo i nostri dati, i KPI, i modelli e i risultati.

Com'era? Conoscere per deliberare? Ecco, una cosa del genere. E per conoscere davvero bisogna impegnarsi molto.

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