3 minuti con l'interprete traduttrice: l'importanza di chiedere.
“Mi scusi se le sembrerò maleducata, ma mi è parso di capire che lei fa la traduttrice.”
Eccola li, minuta, ricciola, timida e impacciata. Sono sul treno che mi porta a Roma e sto per scendere a Termini. Lei è una ragazza che studia allo Iulm per diventare traduttrice. O forse sono io, 15 anni fa, che termino un master in interpretariato e traduzione dopo una laurea in lingue.
Ha una domanda sola da farmi ma non ha bisogno di porla, tanto so già cosa vuole chiedermi. È la stessa che facevo io a chiunque incontrassi che fosse già ben inserito in questo settore. Mentre ci avviamo verso le porte per scendere e cerco un bigliettino da visita da lasciarle, inizio a rispondere.
Il ragazzo con cui avevo chiacchierato poco prima, che poi è quello che mi aveva chiesto quale fosse la mia professione, mi chiede se le sto lasciando un contatto e mi sorride. Si, sto lasciando i miei contatti ad una giovane donna che vuole percorrere la mia stessa strada. Perché? Perché il mondo delle professioniste che lavorano nella comunicazione è solitario e competitivo. E sì, sto facendo quello che avrei voluto qualcuno avesse fatto con me.
Avrei voluto che qualcuno mi avesse aiutato a fare preventivi, a capire come calcolare una cartella, a guardare con sospetto quel cliente che è meglio perdere che trovare. O a rompere le regole. Perché molte di queste cose te le insegnano a scuola ma a volte non ti dicono che si può lavorare anche gratis, o a tariffa ridotta, se poi un lavoro ti permette di accedere ad altri lavori meglio retribuiti. O se ti consente di fare esperienza laddove non ne hai.
Purtroppo, non è facile trovare colleghi che condividono esperienze anche negative, tariffe o dritte per non fare quegli errori in cui loro sono incorsi. Perché la verità di fondo è che, nella libera professione, il tuo collega è anzitutto il tuo diretto concorrente. E allora vince sempre il timore che se condividi conoscenze ed esperienze faciliti e dai un vantaggio a chi può rubarti il lavoro.
Si sottovaluta, a mio avviso, il fatto che se sei bravo davvero il lavoro non te lo ruba nessuno. O meglio, ti possono portare via una traduzione, ma non un cliente che ti fa lavorare con continuità. Smettiamo di pensare che il cliente sia fesso. Se vuole la qualità, è disposto a pagare e non ha voglia di perdere tempo ed energie per trovare il professionista giusto. Soprattutto se quel professionista è a portata di telefono o email.
Nei pochi minuti che sono seguiti mentre lasciavo il bigliettino da visita a quella ragazza, ho pensato che potrei essere d’aiuto a condividere anche su Linkedin qualche dritta del mestiere che amo e che ho scelto. Magari davanti a un caffè virtuale. E chissà di non esser d’aiuto anche a coloro che hanno dubbi su cosa siano e facciano interpreti e traduttori.
Se poi questo momento diventa momento di scambio con altri colleghi, allora sono pronta a ricredermi sui professionisti che non condividono. Chissà, forse sono stata sfortunata io.
Dimenticavo, la risposta alla domanda? Si, c’è ancora lavoro come interprete e come traduttrice. Bisogna studiare, sgobbare e non mollare. Perché dopo quindici anni di partita iva, precariato, piccole e grandi soddisfazioni ho capito che nel lavoro, come nella vita, bisogna seguire le proprie passioni altrimenti si finisce per tradire sé stessi. Me lo disse tanti anni fa una signora incontrata sul treno a cui sorrisi, esattamente come fece la ragazza nel momento in cui ci salutammo.