Al voto, al voto!

Ormai sembra deciso, si andrà al voto anticipato con una legge proporzionale. Se lo sbarramento al 5% tiene in Parlamento, secondo le attuali stime delle intenzioni di voto, dalle urne anticipate ne uscirebbe un Parlamento semplificato a quattro partiti: due pro-Europa (Pd e Forza Italia) e due anti-Europa (M5S e Lega). Come scrive Roberto D’Alimonte sul Sole-24Ore, «Il ballottaggio cassato dalla Consulta riapparirebbe sotto forma di una sfida a un turno solo tra chi vuole l’Europa e chi no».

A parole, i due partiti maggiori (Pd e M5S) puntano a vincere e governare da soli, ma questa è solo la facciata, per non dover dichiarare prima delle elezioni con chi eventualmente ciascuno di essi farebbe il governo del Paese. Entrambi sanno, tuttavia, che non sarà possibile superare il 50% dei voti validi e che, nella migliore delle ipotesi, dovranno governare col secondo partito dello schieramento, a favore o antieuropeo.

Vige tuttavia la regola delle finzioni: Renzi non dirà mai prima delle elezioni che per fare il governo intende allearsi con Berlusconi, così come Di Maio non dirà mai che intende fare un governo con Salvini. Al massimo, come ha già precisato Di Maio, si potrà fare un’altra finzione: dire che il M5S, se risulterà il primo partito alle elezioni e quindi il Presidente delle Repubblica gli affiderà l’incarico di formare il governo, quest’ultimo sarà un monocolore di minoranza che chiederà l’appoggio esterno di chi ci vuole stare, il che sarebbe un palese invito alla Lega. Ed altrettanto probabilmente farebbe Renzi con Berlusconi. In entrambi i casi, cioè, chiunque fosse il vincitore, farebbe un governo di minoranza appoggiato dall’esterno da uno dei due partiti minori. Il dubbio è tuttavia legittimo per Forza Italia, che aspirerebbe, secondo le voci di corridoio in Transatlantico, ad entrare nel futuro governo con sei ministri.

Tutto deciso dunque? Si andrà allo scontro elettorale in una data compresa tra il 24 settembre e il 2 ottobre? Beh, non è ancora detta l’ultima parola.

A parte i mal di pancia crescenti nel Pd (la ribellione di 30 senatori orlandiani) e le perplessità di vari esponenti di Forza Italia, resta aperto un problema grande come una montagna, che riguarda i conti pubblici e la gestione del rischio finanziario del Paese. Questa sarebbe dovuta essere la principale preoccupazione della classe politica di governo e di opposizione, ma per i leader dei quattro partiti che vogliono andare quanto prima allo scontro elettorale sembra che sia un problema di secondaria importanza.

Invece, la situazione economica del Paese è molto delicata e le elezioni anticipate in autunno sarebbero rischiose per la sua stabilità finanziaria. Come conciliare, infatti, le urne con le scadenze parlamentari per l’approvazione del Documento di economia e finanza (Def) e della Nota di variazione, previste entro il 27 settembre? E come si potrebbe assolvere al compito di trasmettere a Bruxelles la legge di Stabilità entro il 15 di ottobre con un Parlamento appena rinnovato? Queste perplessità avrebbero dovuto consigliare di fare in autunno la manovra di bilancio e rimandare lo scontro elettorale a dopo la scadenza naturale della legislatura. Purtroppo, però, questo che è il vero interesse del Paese non sembra coincidere con quello dei partiti che vogliono andare allo scontro elettorale. Renzi è dell’avviso che l’Italia debba avere entro fine anno un nuovo esecutivo, capace di gestire la contrattazione con l’Europa. E per raggiungere il suo obiettivo sarebbe pronto anche a correre il rischio di un’eventuale procedura d’infrazione da parte dell’Europa. Se si pensa che questa è la posizione del partito europeista, figurarsi quale potrà essere quella dello schieramento anti-europeista!

Pertanto, sempre che il Presidente della Repubblica non si metta di traverso e non conceda le elezioni anticipate, come gestire la prossima manovra di bilancio che si sovrapporrebbe in autunno alle eventuali elezioni anticipate?

Se la manovrina correttiva da oltre 4 miliardi, su cui il governo sta ponendo la fiducia, verrà approvata nei prossimi giorni dal Parlamento (se non lo fosse, il caos finanziario dei conti pubblici diventerebbe ancora più grave), come conciliare le elezioni anticipate con le scadenze della nuova legge di stabilità per il 2018? Sapendo peraltro che, se essa non venisse approvata entro il 31 dicembre, scatterebbero le clausole di salvaguardia sull’Iva, che aumenterebbero di 3 punti percentuali sia l’aliquota ordinaria, sia quella ridotta, per un importo complessivo di 19,3 miliardi di euro su base annua.

Per evitare che ciò accada e in attesa della legge di stabilità che spetterebbe al nuovo governo scaturito dalle elezioni anticipate, si sta pensando a una soluzione di emergenza, tutta da verificare sul piano della fattibilità. L’idea è quella di ricorrere a un decreto che il futuro governo che uscirà dalle elezioni (al ministero dell’Economia l’idea di un decreto a giugno di questo governo è stata definita una “bufala”) emanerebbe prima del 31 dicembre per far slittare al primo aprile lo scatto delle clausole di salvaguardia.

In tale scenario, si farebbe ricorso all’esercizio provvisorio durante il quale approvare la nuova legge di stabilità, mentre per i primi tre mesi del 2018 occorrerebbe compensare il mancato incremento del gettito Iva, che si calcola in circa 4 miliardi di euro.

Ma il conto da pagare non si limiterebbe di certo a questi 4 miliardi, perché la speculazione sul nostro debito pubblico sarebbe in agguato sin dal primo momento che si decidesse di andare alle elezioni anticipate senza prima avere messo in sicurezza i conti dello Stato. E con la speculazione potrebbe riprendere a crescere lo spread e i tassi d’interesse, facendo aumentare ulteriormente il debito pubblico e il connesso rischio finanziario del Paese.

Occorre che qualcuno molto influente lo spieghi bene a Renzi, prima che sia troppo tardi.

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