MONITO DI DRAGHI: RISCHI PER L’ITALIA SE I TASSI SALGONO

E’ stato pubblicato nei giorni scorsi il “Rapporto sulla stabilità finanziaria” della Bce, che ammonisce sul rischio di una possibile reazione negativa dei mercati finanziari ad un eventuale cambio di aspettative sulla futura politica monetaria europea. Il riferimento allude alla decisione della Bce di rientrare gradualmente dalla sua politica di acquisti mensili di titoli pubblici (il cosiddetto Quantitative easing, Qe), annunciata per la prima volta alla riunione del Consiglio direttivo di dicembre 2016 e di fatto già iniziata con la riduzione degli acquisti mensili da 80 a 60 miliardi di euro, a partire dallo scorso mese di aprile. Questo ritmo sarà mantenuto sino a dicembre di quest’anno, lasciando invariati anche i tassi d’interesse, ma a partire dal prossimo anno sarà avviata una politica di “tappering”, termine inglese che vuol dire appunto uscita graduale dal Qe.

In contemporanea con l’uscita del Rapporto, Draghi ha fatto sapere, in un discorso tenuto a Madrid, che i tassi d’interesse verranno alzati dalla Bce soltanto dopo l’uscita dal programma di acquisti di titoli pubblici. La precisazione serve a diluire l’amara medicina del tappering e dei suoi effetti sui mercati finanziari. Sommare, infatti, gli effetti della riduzione degli acquisti a quelli di un aumento dei tassi ufficiali della Bce sarebbe una decisione troppo rischiosa, soprattutto per i Paesi con alto debito pubblico come l’Italia, perché farebbe diminuire bruscamente il prezzo dei titoli e corrispondentemente farebbe aumentare i loro rendimenti, quindi lo spread rispetto ai titoli tedeschi. Aumentando di conseguenza l’onere degli interessi per il servizio del debito pubblico.

Nel suo discorso di Madrid, Mario Draghi ha difeso la politica monetaria fortemente espansiva del Qe, sia per i suoi effetti positivi sui prezzi, sia per quelli altrettanto positivi sulla ripresa della crescita e dell’occupazione in Europa, ponendo altresì in evidenza come la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria siano strettamente collegate. Nella crisi dell’euro, le difficoltà del settore finanziario e dell’economia reale si sono alimentate a vicenda, perciò si è resa necessaria una cura di politica monetaria ultra espansiva come quella del Qe.

Tuttavia, il Qe ha anche degli effetti collaterali indesiderati e potenzialmente di vulnerabilità dei Paesi con debito pubblico e privato molto elevati, quando si dovesse avviare una politica di rientro (tappering) dalle condizioni, come quelle attuali, di eccessiva liquidità e di tassi d’interesse negativi.

L’Italia oggi è il Paese maggiormente esposto a questa potenziale vulnerabilità. Nel Rapporto non viene citata esplicitamente, ma l’allusione è chiara. Gli economisti della Bce sostengono, infatti, che l’incertezza politica possa avere un impatto negativo significativo sulle condizioni finanziarie di un Paese e può determinare un aumento del premio per il rischio sui titoli di Stato, quindi un aumento dei rendimenti e del correlato spread.

Cosa potrebbe scatenare uno shock del genere? Il Rapporto esemplifica citando «il risultato di un’elezione che implichi uno slittamento ulteriore nelle necessarie riforme strutturali e/o una agenda politica euroscettica». Esattamente lo scenario in cui potrebbe trovarsi l’Italia nei prossimi mesi, che potrebbe scatenare una crisi di contagio anche ad altri Paesi dell’Unione monetaria. Da qui la preoccupazione che allarma i vertici della Bce e di cui si è resa interprete in varie occasioni anche la Commissione Ue.

Del rischio che corriamo penso che sia perfettamente consapevole il ministro dell’Economia, Pier Carlo Pdoan, e lo stesso premier Paolo Gentiloni. Ma il dibattito politico interno sorvola sull’argomento, essendo totalmente concentrato sulla legge elettorale e sulle eventuali elezioni anticipate in autunno, che non farebbero altro che avvicinare di più il probabile scenario negativo descritto nel Rapporto della Bce.

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