𝐌𝐚𝐥𝐞𝐝𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐏𝐚𝐧𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢, 𝐦𝐚𝐥𝐞𝐝𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝟖𝟎: 𝐞𝐫𝐚𝐯𝐚𝐦𝐨 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐯𝐞𝐯𝐚𝐦𝐨!
Negli ultimi tempi mi imbatto sempre più spesso in articoli e servizi che parlano di un fenomeno giovanile degli anni 80: i 𝐏𝐚𝐧𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢.
Sento e leggo interviste infarcite di “struggente” nostalgia per quel tempo e per quello “stile di vita”, che anche su di me ha esercitato fascino (lo ammetto), ma solo fino ad un certo punto (cioè fino all’acquisizione di un briciolo di sensatezza e maturità); credo che oggi rivangare quei tempi, descrivendoli come un tempo meraviglioso, non faccia solo torto alla verità, ma anche e soprattutto, alla nostra intelligenza.
Chi come me ha vissuto la sua adolescenza nei “patinati” anni 80 del secolo scorso, ricorda cosa volesse dire essere un Paninaro e cosa richiedesse possedere, ripeto 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐫𝐢𝐜𝐡𝐢𝐞𝐝𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞, perché qualcuno deve finalmente ammettere e dire quanto inutile e vuoto fosse un “fenomeno” giovanile, che aveva come unico elemento fondante: vestire capi firmati o comunque solo di determinate marche!
Faccio un passo indietro, sono figlio di operai prima (mio padre era un casaro e mia madre una casalinga) e di commercianti poi, nato e cresciuto in una famiglia modesta e dignitosa nella quale non mi è mancato mai nulla di materiale, ma che solo nella seconda metà degli anni 80 ha conosciuto il “benessere”, inteso come disponibilità del superfluo.
Costretto a frequentare una scuola nella quale ero l’unico o quasi che non avesse un genitore professionista, medico o imprenditore di rango, ho vissuto il disagio dell’essere nel posto sbagliato e ho reagito, dapprima, tentando la strada della mimetizzazione attraverso l’omologazione (omologazione che peraltro mi riusciva difficile, non avendo io la possibilità di possedere tutto quello che essere alla moda richiedeva), poi ho cercato la fuga allontanandomi da quell’ambiente, perdendo peraltro alcune amicizie che meritavano un altro destino.
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In quel tempo, sul finire degli anni 80, in un Istituto Professionale, nel quale mi iscrissi non perché conoscessi o amassi le sue materie (ma che finii invece per amare), ma perché era la scuola più lontana da ciò che avevo vissuto; ho avuto modo e tempo di lavorare su me stesso, per affermare ciò che ero a prescindere da ciò che possedevo.
Quello è stato uno spazio di crescita e libertà per me, uno spazio nel quale ero libero di avere i capelli lunghi o cortissimi, di mettere la cravatta o una tuta, di avere vestiti che mi piacevano a prescindere dalle loro marche o dal loro valore, di andare a scuola a piedi perché non avevo una moto senza provarne vergogna, di ascoltare e leggere cose che non piacevano a nessuno, di sentirmi unico e speciale, di essere considerato e stimato per il mio valore.
Capisco bene che la nostalgia per la giovinezza tenda a rendere il passato un luogo magico, ma io maledico gli anni 80, un decennio che segna l’inizio del declino economico (dal 1980 al 1989 il rapporto debito/PIL passa dal 55% al 93%!) e culturale del nostro Paese e ne maledico i Paninari e quel decennio idiota nel quale i valori fondanti erano: possedere cose, accaparrarsi cose a qualunque costo e in spregio ad ogni legge, ostentare cose, trovare valore nelle cose, essere rappresentati dal valore delle cose!
Sono un genitore imperfetto, Dio lo sa quanto lo sono, ma c’è un principio che ho sempre cercato di trasferire a mia figlia: 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐥𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐞𝐝𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐚 𝐝𝐚𝐫𝐜𝐢 𝐯𝐚𝐥𝐨𝐫𝐞, 𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐧𝐨𝐢 𝐚 𝐝𝐚𝐫𝐧𝐞 𝐚 𝐥𝐨𝐫𝐨.
Insegnante di inglese presso MIUR
2 anniQuello che hai scritto sembra la mia storia. Eppure, nonostante il disagio vissuto, continuo ad essere una nostalgica degli anni 80...forse perché erano pur sempre gli anni della mia adolescenza...
Strategie Digitali
2 anniBravissimo, quanto sono d'accordo con te. Se non avevevi o meglio mostrarvi nn eri nessuno... Però gli anni 80 hanno creato persone che oggi ragionano come te... Quindi qualcosa di buono lo hanno prodotto no?