Alex

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Ecco il mio editoriale uscito ieri sul supplemento de L'Opinione: Sono in molti, alcuni in buona fede e con argomenti rispettabilissimi, a rimpiangere la fine del bipolarismo e a temere l’avvento di una nuova stagione, con il ritorno al sistema proporzionale. Le analisi dei politologi sono utili, ma non offrono una risposta al problema. Per farlo, occorre partire da un dato di fatto: l’Italia non è bipolare, per scelta degli elettori italiani. Per la verità non lo è mai stata (a parte un breve periodo, all’epoca della Destra storica, subito vanificato dal trasformismo) se non come effetto della nostra discesa in campo nel 1994.

Mi capita spesso di dire – per paradosso, ma non solo – che mi rimprovero solo una colpa, da quando sono sceso in politica: non aver saputo convincere il 51% degli italiani a darmi il voto. Allora sì che avremmo avuto un vero bipolarismo. Ma ora il problema non è recriminare il passato, non è certo questo che gli italiani si aspettano, è capire quale funzione abbia una grande forza liberale come Forza Italia in questo scenario multipolare. Alcuni ritengono che l’unico esito possibile delle elezioni con un metodo più o meno proporzionale sia il modello tedesco della grosse-koalition, la grande coalizione con la quale le maggiori forze politiche del paese governano insieme. Su questo, è giusto essere pragmatici.

Gli italiani hanno problemi drammatici che richiedono delle risposte, problemi che il governo del PD non soltanto non ha risolto, ma ha lasciato aggravare. Solo l’elenco fra tremare i polsi. Basta pensare alla disoccupazione, soprattutto quella giovanile, cresciuta da quando abbiamo lasciato il governo di ben 10 punti; alla povertà, che ormai riguarda 15 milioni di italiani, dei quali 4.5 milioni in condizioni di povertà assoluta, quindi costretti a vivere di sussidi o espedienti; all’immigrazione e al suo stretto rapporto con la criminalità; al terrorismo internazionale; alla situazione disastrosa dei conti pubblici, e alla parallela urgente necessità di tagliare il carico fiscale; al disastro della giustizia e della burocrazia, che rende il nostro paese poco o nulla attrattivo per gli investimenti. A questi problemi gli italiani vorrebbero delle risposte, e siccome non le trovano fra i politici, oppure quelle che trovano non sono credibili, si rifugiano nell’astensionismo o nel voto di protesta. Scelte legittime, comprensibili, ma sterili. Però i temi rimangono, e su quelli ci si deve misurare: il resto, le dissertazioni sul bipolarismo, sul sistema elettorale, sulle coalizioni, sono materia da addetti ai lavori, che lascia sostanzialmente indifferente chi – letteralmente – è alle prese con il problema di dare da mangiare ai propri figli, di mandarli a scuola, di pagare l’affitto di casa, di affrontare certe cure mediche.

Allora la domanda è: la grande coalizione è lo strumento giusto per affrontare e risolvere almeno alcuni di questi problemi? Se lo fosse, ben venga la grande coalizione: di fronte all’emergenza, non è il caso di fare gli schizzinosi. Il problema è che non lo è affatto. Mettere insieme chi ha una visione profondamente diversa del futuro, e responsabilità completamente diverse sul passato, non serve a risolvere i problemi, ma tutt’al più a “tirare a campare” secondo le peggiori abitudini, queste sì, della prima repubblica. Un illustre esponente politico di quella stagione usava dire che “è meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. La battuta fece sorridere, ma fu proprio con questo atteggiamento che la Prima Repubblica “tirò le cuoia” da lì a poco, travolta dalle vicende di Tangentopoli. Quanto accadde all’epoca di Mani Pulite fu un vero e proprio colpo di stato, il primo dei cinque che hanno alterato la vita democratica italiana nell’ultimo quarto di secolo, sempre a vantaggio della sinistra. Ma fu possibile perché si inserì in un clima nel quale la credibilità dei partiti era ridotta al minimo e quindi non vi furono anticorpi democratici contro un’aggressione giudiziaria alla sovranità popolare, che distrusse selettivamente le forze politiche nemiche dell’allora Partito Comunista.

Oggi la politica vive una crisi per alcuni versi ancora peggiore: e proprio i dati sul drammatico calo dell’affluenza alle urne ne sono il sintomo più evidente. Dunque restituire credibilità alla politica è il nostro primo compito. Questo non si ottiene con le grandi coalizioni, si ottiene con due strumenti: idee concrete, realizzabili, che non siano semplici slogan ma di cui si possa verificare la realizzabilità, i tempi, i modi, i costi; e poi – giacchè i programmi camminano sulle gambe delle persone – proponendo candidati credibili, che non siano politici di professione, che sappiano parlare il linguaggio della gente perché ne condividono i problemi, che abbiano dimostrato nel lavoro, nell’impegno sociale e civile, nelle professioni, nella cultura le loro capacità. Io non sono affatto rassegnato al fatto che le prossime elezioni finiscano senza un vincitore. Già oggi prendo atto che, fra i tre grandi poli, il centro-destra unito è quello più avanti nei sondaggi. D’altronde a fronte del fallimento del PD come forza di governo e delle sue convulsioni interne, della manifesta incapacità dei grillini di guidare una realtà complessa, il centro-destra è oggi obbiettivamente l’unica area politica a poter esprimere un’idea credibile e coerente per far uscire il paese dalla crisi. Noi però non vogliamo vincere per gli errori degli altri. Vogliamo vincere riuscendo a convincere un grande numero di italiani della giustezza, della credibilità, della serietà del nostro progetto. Un numero di italiani molto più alto del consenso che già i sondaggi ci assegnano, perché vogliamo poter governare senza compromessi con la forza che gli elettori ci daranno.

Ovviamente per fare questo dobbiamo essere uniti, dobbiamo lavorare su un programma comune, sul quale nel centro-destra esiste già un accordo al 95%, dobbiamo evitare personalizzazioni e problemi di leadership che allo stato attuale non ha senso porre. Dobbiamo però anche avere ben chiara una cosa: un centro-destra moderno deve saper dare voce alle legittime paure, allo scontento, alla rabbia, all’indignazione dei cittadini vessati da uno stato troppo presente quando fa il burocrate o l’esattore delle imposte, troppo assente quando deve difendere la vita, la proprietà o l’identità degli italiani. Tutto questo è necessario, anzi è sacrosanto. Ma non basta. Quello che occorre è un grande progetto liberale e riformatore, basato sui valori cristiani, che riprenda le migliori tradizioni del pensiero politico democratico nel nostro paese. Un progetto in linea con le culture politiche vincenti nei maggiori paesi europei, alternative alla sinistra. E’ il nostro progetto, quello del PPE che noi di Forza Italia rappresentiamo con orgoglio nel nostro paese. Abbiamo provato a riassumerlo simbolicamente nell’Albero della Libertà: un grande albero le cui radici sono nei nostri valori cristiani e nelle nostre idee liberali, i cui rami sono i diversi temi da affrontare con urgenza, mentre i frutti su ogni ramo sono le nostre soluzioni, chiare, semplici, comprensibili. Naturalmente tutto questo riassume in termini semplici un grande lavoro di studio e di elaborazione dei nostri migliori specialisti in ogni materia, ma soprattutto i contributi di idee che ci vengono dalla società civile, dalle categorie che stiamo coinvolgendo, dai focus con campioni rappresentativi di italiani con i quali confrontiamo analisi dei problemi e soprattutto soluzioni.

L’esempio olandese è significativo: di fronte al crollo della sinistra socialista, e nonostante il buon successo della destra identitaria, chi ha vinto sono stati i liberali, e in misura minore i partiti cristiani e riformatori. Nessun candidato espressione del mondo che viene definito “populista” ha mai battuto la sinistra in Europa. Questo significa che le ragioni dei cosiddetti populisti vadano ignorate? Tutt’altro. La parola populismo si riferisce direttamente al popolo, che in democrazia è l’unico sovrano. Lo snobismo intellettuale dei salotti della sinistra contro il populismo non è altro che sostanziale disprezzo della democrazia. Io credo che il centro-destra debba saper rappresentare queste ragioni, e al tempo stesso andare oltre. Creare un’offerta di governo credibile, che dia autorevolezza al nostro paese in Europa e nel mondo. Quell’Europa dalla quale non avrebbe senso uscire, ma che va rifondata da capo se deve avere un futuro. Questa è la strada per un centro-destra che vinca le prossime elezioni. Ma soprattutto per un centrodestra che sia davvero utile all’Italia.

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