Alzi la mano chi sa "pesare" i dati!
So che siete in vacanza ma proprio per questo è probabile che abbiate la possibilità e il tempo per riflettere su alcuni massimi sistemi che trascurate durante l'anno. Uno su tutti è il valore del dato.
Ovviamente sfido chiunque a sostenere, in un epoca di "data scientist", "data analyst" e "data artist", che la raccolta e l'analisi del dato non sia importante. Non scopro l'acqua calda. Tuttavia il discorso diventa più interessante se ci si ferma a chiedersi quale sia il peso specifico di ciascun dato in ottica di business e soprattutto se si sia in grado di definirlo con metodo. Colgo la palla al balzo partendo da un pensiero e una vignetta di Tom Fishburne, uno che sa fotografare le questioni e le contraddizioni del marketing in modo ironico e brillante, per parlare delle storture che questo tema spesso produce.
Negli ultimi anni grazie all'attenzione sulla spendibilità dei dati a supporto delle decisioni strategiche di qualsiasi business sono proliferati gli investimenti, non solo in ambito marketing, sui sistemi tecnologici e le risorse specializzate sul tracciamento e l'analisi delle performance, delle caratteristiche e dei comportamenti del consumatore, dei processi aziendali e di qualsiasi cosa sia suscettibile di misurazione. Il fine ultimo di questa pesca a strascico di gigantesche quantità di informazioni è ottimizzare (magica parola dai mille risvolti) e più semplicemente accrescere i guadagni di un'azienda.
L'intenzione generale è quella di passare sempre più rapidamente dalla lettura del dato all'azione/reazione vera e propria per cui la possibilità di avere/creare dashboard aggiornate o da interrogare in tempo reale produce veri e propri orgasmi geek in chi si occupa di interpretare e tradurre le informazioni in report e suggerimenti strategici. Tuttavia anche il report più completo va letto con una capacità di visione d'insieme che raramente mi capita di incontrare. Dico questo non perché penso di vivere in un mondo di consulenti miopi ma perché quella di saper leggere, incrociare e motivare variabili, oscillazioni, scostamenti, eccezioni alla regola del tutto naturali in qualsiasi settore è una capacità da allenare.
Il solo fatto di poter avere davanti un'infinità di numeri, delle tabelle ordinate, dei bei grafici colorati non costituisce mai di per sé una risposta ad una necessità o la spiegazione unica e sola ad un trend in atto ma solo la possibilità di indagarne e individuarne le variabili in gioco. In più, e questo è un punto sempre più cruciale, non è così ovvio che ad un'analisi debba corrispondere un'azione. Spesso si crede che apportare anche piccoli cambiamenti sia sinonimo di buona volontà, dinamicità, capacità di leggere le sfumature di un business. Non è vero, non così di frequente almeno. La maggior parte delle volte quei piccoli cambiamenti non fanno altro che darci l'illusione che si sta davvero provando ad ottimizzare qualcosa ma in realtà stanno introducendo entropia e ulteriori variabili nel sistema e complicando la lettura dei dati futuri e dei trend di lungo periodo.
Se porto questa filosofica affermazione nel mondo social ad esempio capire che sulla propria pagina un formato (video, immagini o link) riceve più like di un altro non significa aver trovato la chiave di volta delle proprie azioni di social media marketing. La ragione è semplice: non è detto che, nella visione d'insieme, debba essere la raccolta di like l'obiettivo principale, il driver. Può essere il tempo di permanenza sul singolo format, può essere l'affermazione di un posizionamento di brand ribadito nel tempo, può essere la conversione di utenti iscritti ad una newsletter ma anche a questo livello stiamo sempre e comunque parlando di azioni tattiche e non strategiche. Per quelle occorre saper analizzare anche il contesto e farlo con davanti trend di lungo periodo, capire se ci sono cambiamenti in atto nel mondo esterno, se più o meno like nel corso di un anno possano o meno essere dovuti a modifiche di algoritmi di Facebook o all'entrata sul mercato di competitor più aggressivi come ad esempio racconto in questo post.
Saper analizzare i dati significa:
- saperli pesare definendo davvero quali siano importanti e quali facciano solo da corollario al proprio business,
- avere pazienza, attitudine che non è propria di nessun cliente (in parte lo capisco ma bisogna allenare pure quella) acquisendo consapevolezza che solo il medio/lungo periodo ci possa fornire un'idea reale dei risultati delle nostre azioni. Cambiare direzione ad ogni minima folata di vento ci può portare fuori rotta.
- ampliare la propria visione, che vuol dire si accrescere il numero di dati da gestire e analizzare ma, in diversi casi, significa anche comprendere se risultati altamente positivi o negativi non possano essere spiegabili più dall'andamento di un intero mercato che dalla bravura o meno dei propri creativi.
Ultimo consiglio, fuori dal punto elenco ma non meno importante: ogni tanto sarà fondamentale anche togliere gli occhi e la testa da tutti quei numeri e farsi un giro per strada, chiacchierare con il barista sotto casa o con vostra zia Maria. Aprirà la mente!