“Apocalittici" vs "Integrati". E mille sfumature di grigio
La divisione tra "apocalittici" e "integrati" mi è stata prospettata in questi termini dal mio amico Paolo Gull, professore di Metodologia all’Università del Salento. Riguarda gli archeologi.
Gli “apocalittici” sono quelli che vedono tutto nero all’interno della nostra professione: il lavoro fa schifo, ci pagano poco, nessuno ci considera, etc… Moriremo tutti, penitentiagite!
Gli “integrati” sono quelli che in un modo o nell’altro sono riusciti a trovare o a costruirsi un percorso soddisfacente e non vedono tutto nero.
Sarebbe strano se io, presidente dell’associazione di categoria degli archeologi italiani, non mi dichiarassi in quest’ultimo gruppo (e il fatto che altre sedicenti rappresentanti di questo o quello, campino da anni su insopportabili piagnistei, dimostra che il “chiagni e fotti” da noi funziona sempre bene).
D’altronde l’esercizio di dividere in due la categoria comunque secondo me non descrive correttamente la realtà: tra apocalittici e integrati ci sono in mezzo le famose mille sfumature di grigio che siamo tutti noi, archeologi che, per lo più impreparati dopo l’università ad affrontare la professione privata, facciamo del nostro meglio per sostenere la nostra attività in aperta e onesta concorrenza reciproca (ma nemmeno sempre) auspicabilmente senza danneggiarci l’un l’altro.
E qui entro in un campo minato.
Chi lavora accettando tariffe da fame danneggia tutto il settore professionale e chi ci sta dentro: questo è un dato di fatto neutro, tecnico, privo di qualsiasi giudizio morale. Oggi non mi importa parlare del perché questo succede.
Mi importa invece condividere la mia opinione, che nasce dall’esperienza del mio privilegiato punto di osservazione. Ragionando in termini di bianco e nero, eliminando le sfumature di grigio, posso affermare senza ombra di dubbio che la gran parte degli apocalittici lavora a tariffe inaccettabili.
Ora, la “tariffa inaccettabile” è il principale elemento inquinante del nostro settore professionale. Alcuni segmenti del nostro settore professionale sono tossici a causa di questo, e chi ci si trova dentro piano piano soffoca. Siamo chiaramente davanti a un circolo vizioso: la tariffa bassa mi strozza come professionista, ma io continuo ad accettarla facendomi strozzare ancora di più e rendo tossico l’ambiente anche per altri. Che soffocano con me alimentando ulteriormente il fenomeno.
Il problema si aggrava se consideriamo che solo una solida preparazione ad affrontare la professione privata può tirarti fuori da quel tunnel: che però è popolato da una buona quota di colleghi profondamente impreparati. E che se ne fregano di dotarsi di qualche strumento cognitivo in più. Affinché io non sembri offensivo, voglio affrontare un caso scuola.
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Mesi fa mi capita tra le mani un comunicato (scritto da persona della nostra categoria) di un sindacato che pretendeva di denunciare le gravi condizioni in cui lavorano alcuni archeologi (sottotitolo, “La scoperta dell’acqua calda: grandi novità per il genere umano”). Tra le rivendicazioni, la mancanza di una normativa che stabilisse un salario minimo per i professionisti.
Salario minimo per i professionisti.
Come e per quale motivo, se non per impreparazione (che qui é anche sinonimo tecnico di ignoranza), viene in mente di chiedere una cosa del genere.
Significa non conoscere la differenza tra “salario”, “tariffa”, e “compenso”.
Significa non capire come funziona la libera professione.
Significa non capire come funziona il libero mercato (mala, “malissima” bestia).
Significa non riconoscere al professionista caratteristiche di alta professionalità.
Significa lanciare al mercato un segnale inequivocabile: mangiami.
Con chi di quel sindacato ha scritto quelle parole poi ci ho parlato: non è andata bene. Ma quella persona non la condanno per questo: era confusa, impreparata, ma convinta dal mondo ormai social in cui ci troviamo di avere capito tutto e (peggio ancora) di doverlo dire al mondo. Ma giuro che nonostante il muro di urla che ha opposto, provo una empatica forma di affetto per lei. E spero che torni a parlare con me, magari con più tranquillità.
Il problema però, per tornare al tema, è che il mondo tossico degli apocalittici è popolato di tanti singoli archeologi confusi, impreparati, ma che non sentono l’esigenza di chiedere aiuto, ma solo quella di urlare la propria rabbia e di condirla con un pessimismo apocalittico.
La buona notizia è che da quando ho iniziato a fare questo lavoro, gli apocalittici sono sempre meno: perché rispetto ad allora c’è l’ANA, ci sono normative che un po’ ci tutelano, ci sono leggi che ci garantiscono ambiti professionali riservati e c’è un mercato che ha accolto gli archeologi tra le professioni altamente qualificate e conseguentemente il valore del nostro apporto professionale è cresciuto. Oggi sta per lo più al professionista mettere in campo qualità e capacità personali per vedersi riconosciuto quel valore. Sono cose che si imparano, per le quali ci si può e ci si deve preparare. Chi si ostina a non farlo, qualsiasi sia il motivo, ha tutta la mia vicinanza umana, perché ha davanti a sè un futuro difficile. Ma, senza darmi arie da “Maestro Miyagi”, chi vuole, sa dove trovarmi (e intanto, consiglio la lettura de "L'Iva funesta" di Fulvio Romanin, per conoscere le basi di cosa significa essere un professionista dentro).
Archeologo Progettista
1 anno"Progressisti"