Tutti dicono che la professione dell'archeologo non conta niente

Tutti dicono che la professione dell'archeologo non conta niente

"Tutti dicono che la professione dell'archeologo non conta niente". Questa affermazione mi è stata rivolta da una studentessa durante un incontro tra associazione di categoria e studenti universitari.

So che molti colleghi pensano che sia vero, soprattutto quelli che economicamente se la cavano peggio.

Ma “tutti dicono”, tutti chi?

L’evidenza è che l’archeologia è una disciplina che affascina il grande pubblico e l’intera comunità nazionale. Certo, fino a quando una grossa buca non ti tiene bloccato per ore su una strada trafficata. Ma noi sappiamo che la colpa non è dell’#archeologia, e lo sa anche chi impreca chiuso in macchina. Quindi da quel “TUTTI” escluderei la società in generale.

Allora non sarà che quei “TUTTI” sono una parte degli #archeologi stessi, che esercitano una #professione che non gli dà soddisfazione e quindi sono loro a deprecare il #lavoro che svolgono? 

Nella mia esperienza professionale, quando operi sul mercato e ti devi confrontare con altri #professionisti, archeologi o ingegneri o avvocati, poco cambia, se pensi di valere poco il tuo interlocutore lo sente. Lo annusa nell’aria. E indovinate un po’? Sarete trattati di conseguenza.

ATTENZIONE. Non sto dicendo che la risoluzione dei problemi professionali della categoria passa SOLO per una corretta postura nelle relazioni, ma sicuramente passa ANCHE per una corretta postura nelle relazioni. Un bravo e serio professionista, per esempio, difficilmente chiede a un cliente “il lavoro mi interessa, quanto mi paghi?”, ma gli dirà “il lavoro mi interessa, ti mando la mia proposta economica”. E poi ne parliamo. Ma si parte da quello che dico io. Tutti abbiamo esperienza di esserci almeno una volta seduti davanti ad un notaio, o a un avvocato, per ricevere da lui un servizio: lì noi siamo il cliente e l’avvocato il professionista. Ma a voi è mai capitato che un avvocato dicesse “il lavoro mi interessa, quanto mi paghi?”. Ovviamente no. 

A me non è mai capitato di pensare che la mia professione non contasse nulla. Quando inizio un lavoro di sorveglianza, metto in chiaro che appena alzo il braccio le macchine si devono fermare istantaneamente. Che quando io non sono in cantiere non si muove un granello di terra senza il mio consenso. Che anche se l’architetto o l’ingegnere o il Padreterno chiede al ruspista di procedere in mia assenza, l’esito certo sarà che io sporgo denuncia ai carabinieri e poi ognuno si assume le proprie responsabilità. Di fronte a questo, come si fa a dire che l’archeologo, o la sua professione, non contano nulla?

Se la ditta che mi assume mi dice che devo stare in cantiere dalle 7 alle 16, si prende prima una spiegazione su come funziona la mia professione: “sto in cantiere quanto serve rispetto alle lavorazioni che si devono compiere nell’ambito del servizio che mi viene richiesto”, il che significa che se alle 11.00 si smette di scavare perché per tutto il resto della giornata gli operai montano i tubi nelle trincee scavate, io saluto e me ne vado. Oppure resto a scrivere la relazione in cantiere, se mi viene comodo. Ma è una mia scelta. Il “7-16” è l’orario del cantiere, non dell’archeologo. Ma certo, se mi dicono “stai lì dalle 7 alle 16 a prescindere” e io rispondo un timido e mal convinto “va bene”, allora si, la mia professione sta contando poco. Ma le responsabilità di questo, come vogliamo dividerle? 

(Aggiungo: molte delle pratiche vessatorie che vengono illecitamente richieste ai professionisti spesso sono inquadrabili nel mobbing o in altra tipologia di reati. Per favore, in quei casi SEGNALATE ALL'ASSOCIAZIONE DI CATEGORIA). 

Mai considerazione fu più giusta. Siamo noi i costruttori del nostro destino non altri, solo noi...Archeologi

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