Assetti Organizzativi, Controllo di Gestione e Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, emanato con il D.Lgs 14/2019 del 12 gennaio 2019, del quale si è dibattuto molto nel corso di questi mesi, sia sulla stampa che mediante l’erogazione di numerosi corsi e convegni, ha dichiaratamente perseguito l’obiettivo di facilitare l’impresa in crisi a ristrutturarsi in una fase precoce al fine di prevenire l’insolvenza e salvaguardare, così, la continuità aziendale e, pertanto, gli stakeholders.

Infatti, se da un lato, a tale scopo, l’art. 12 al co. 1 introduce gli strumenti di allerta[1] ed i soggetti tenuti alla segnalazione[2], dall’altro l’art. 3, dedicato ai “principi generali”, impone testualmente l’obbligo per l’imprenditore individuale di “adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte”, mentre per l’imprenditore collettivo è previsto che questo adotti “un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’art. 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”.

Ma il Legislatore, con l’art. 375 CCII, introducendo un nuovo co. 2, ha fatto un passo ancor più deciso in merito all’adeguamento degli assetti organizzativi prevedendo che “l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Pare pertanto evidente l’attenzione da porre all’adeguatezza dell’assetto organizzativo anche nella fase pre-crisi, nell’ottica della sua tempestiva rilevazione e della valutazione della continuità aziendale.

Considerato il quadro di riferimento sopra descritto, cerchiamo di meglio comprendere cosa richiede all’imprenditore il nuovo CCII:

Per far ciò, innanzitutto sgombriamo il campo da dubbi chiarendo un punto fondamentale…cosa s’intende per crisi?

Passeremo poi ad analizzare quali sono i passi da introdurre a livello aziendale per la sua tempestiva rilevazione.

L’art. 2 del CCII definisce la crisi come lo stato di difficoltà economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per l’impresa si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate. Dalla lettura si desume che, sebbene la dottrina di scienze aziendali determini un numeroso ventaglio di tipologie di crisi, il legislatore con il D.Lgs 14/2019 ha circoscritto il campo alla crisi alle fattispecie che possano determinare un’insolvenza del debitore. L’art 13 CCII infatti, individua i casi di crisi rilevanti ai fini della segnalazione nei seguenti:

  • non sostenibilità dei debiti nei successivi sei mesi;
  •  presenza di cause che possano costituire pregiudizio alla continuità aziendale nell’esercizio in corso o, se la durata è inferiore ai sei mesi, nei sei mesi successivi;
  • ritardi nei pagamenti che siano reiterati e significativi.

E’ su questo punto che come professionisti, i dottori commercialisti possono proporsi da volano di un processo di supporto ai propri clienti[3] non solo con riguardo alla compliance rispetto alle normative legislative, ma anche e soprattutto come supporto per un’analisi aziendale di natura trasversale che abbia come fine l’efficentamento e la miglior direzione dell’impresa. Ed è proprio grazie al controllo di Gestione che è possibile far ricorso per il perseguimento di quanto richiesto all’imprenditore.

Ai fini di comprendere quale debba essere il contenuto minimo di tale importante funzione aziendale per l’identificazione di eventuali allarmi definiti dal CCII, non possiamo non occuparci, seppur fornendo un solo accenno, dell’approccio metodologico per la stesura degli indici della crisi fornito dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (di seguito anche CNDCEC). Tale approccio è “ad albero” e prevede che:

  • il Patrimonio Netto negativo è un segnale di crisi;
  • il DSCR (Debt Service Coverage Ratio) calcolato per i prossimi sei mesi inferiore ad 1 è un segnale di crisi;

Qualora il Patrimonio Netto sia positivo ed il DSCR non sia applicabile, il CNDEC ha stilato un corollario di ulteriori cinque indici settoriali da rapportare alle specifiche imprese[4], i quali devono essere tutti contestualmente superati per considerare la presenza di indizi di crisi.

Emerge con chiarezza che ai fini di una corretta rilevazione di eventuali segnali di crisi, tanto da parte dell’imprenditore, quanto da parte dell’organo di controllo, del revisore o della società di revisione[5], si rende necessaria con cadenza almeno trimestrale l’analisi di una situazione economica che prenda le mosse da una situazione contabile approvata da parte dell’organo amministrativo o, in mancanza dal responsabile delle scritture contabile. Tuttavia, un’analisi economica, possibilmente corredata da un confronto con il medesimo periodo dell’anno precedente, ancorché corredata da indici bilancio ha una valenza ex-post, ovvero consente di avere una fotografia dell’andamento aziendale su dati consuntivi. Sarà pertanto opportuno un confronto anche con dati di budget. Ai fini del calcolo del DSCR, risulta necessaria la redazione di un budget di tesoreria o di un free cash flow, procedendo in entrambi i casi alla stima di flussi finanziari prognostici. Considerando il tessuto imprenditoriale italiano composto in larga misura da piccole e medie imprese, il Legislatore ha previsto che gli assetti organizzativi siano da valutarsi come adeguati in proporzioni alle dimensioni dell’impresa.

Alla luce delle novità introdotto e come sopradetto, appare pertanto opportuno la predisposizione di un insieme di controlli tipici di una funzione quale quella del controllo di Gestione che, anche nelle imprese di minori dimensioni[6] siano in grado di proporre un’analisi con cadenza almeno trimestrale avente i requisiti sopra descritti.

MC

[1] L’art. 12 co.1 dispone che “gli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, finalizzati, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal codice civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione”. [2] Tra questi spiccano gli organi di controllo ed il revisore contabile, oltre ai creditori pubblici qualificati.[3] Sul dibattito lanciato dal Presidente del Cndcec Massimo Miani in merito al confronto sulle specializzazioni si legga anche Stefano Ricalzone, “Il Sole 24 Ore” del 7 giugno 2019, “Prospettive del commercialista, sì alla specializzazione dell’Università”.[4] Indice di sostenibilità degli oneri finanziari; indice di adeguatezza patrimoniale; indice di ritorno liquido attivo; indice di liquidità ed indice di indebitamento previdenziale o tributario. [5] Per i quali è prevista una responsabilità solidale con i primi. [6] A tal riguardo si legga quanto previsto dall’OIC 9.

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