AVVOCATI, EFFETTO BREXIT

Londra good bye. Al referendum sulla Brexit hanno prevalso i “leave”, ovvero i voti dei cittadini inglesi che vogliono lasciare l’Europa. Inutile dire che il 24 giugno, il day after, ha avuto come colonna sonora il trillo di migliaia di telefoni. Quelli che hanno cominciato a squillare negli uffici di tutti gli studi legali d’affari presenti in Italia e che veicolavano i dubbi e le incertezze che hanno travolto tanti operatori economici con interessi Oltremanica.

Lo schock è stato acuito dal fatto che anche i più nottambuli, alla fine della giornata di consultazione popolare, erano andati a letto convinti che a vincere sarebbe stato il partito del “remain”, difensore dello status quo. Sbagliato. Ora comincia un percorso che, in non meno di due anni, porterà la Gran Bretagna a lasciare l’Unione Europea. Un processo lungo che dovrà essere gestito a ogni livello. Ovviamente, anche legale.

Londra, negli ultimi anni, è stata oggetto di numerosi investimenti da parte degli studi italiani. L’ultimo, in ordine di tempo, ad aprire i battenti è stato Grande Stevens, come raccontiamo in esclusiva su questo numero di MAG. Ma l’iniziativa segue di poco quella di Lms e Gattai Minoli Agostinelli. Ad oggi, sono almeno quindici gli alti esponenti della legal community italiana nella City. Tutte insegne per le quali si apre una fase di lavoro importante e delicata. Anzitutto perché dovranno operare come partner di prima istanza al fianco dei loro clienti e in particolare di quelle realtà con interessi diretti o con una base operativa nel Regno Unito. «Ora comincia una vera e propria attività di audit sugli investimenti in essere e i rapporti giuridici» delle aziende italiane in Uk e di quelle britanniche in Europa, dice Francesco Sciaudone, managing partner di Grimaldi. «Nell’immediato ci sarà un incremento di attività per la gestione della crisi che implicherà l’analisi della contrattualistica vigente», aggiunge Massimiliano Danusso, managing partner della sede di Londra di BonelliErede.

«Di certo», sottolinea Marco Gubitosi, socio responsabile della sede nella City di Legance, «anche in questi eventi bisogna saper individuare quelle che possono essere le opportunità». Sono in molti, infatti, a pensare che, come si spiega nella rubrica Follow the money sempre in questo numero di MAG, la decisione di alzare i ponti che collegavano l’Isola al resto del Vecchio Continente, possa contribuire a far crescere la rilevanza strategica di altre piazze economiche e finanziarie che fino a oggi si erano limitate a recitare la parte delle sorelle minori della capitale inglese: da Francoforte a Parigi, passando per Varsavia, Lisbona e non ultima Milano. «Le grandi istituzioni finanziarie internazionali che sino a questo momento sceglievano di avere il loro quartier generale a Londra», spiega Leah Dunlop, numero uno di Hogan Lovells in Italia, «lo facevano nella consapevolezza di poter operare in tutto il mercato europeo e ora dovranno riflettere sulle strategie a medio e lungo termine». Anche perché nel prossimo futuro potrebbe non essere più così.

«Il risulato del referendum inciderà in modo molto complesso e variegato sull'attuale scenario europeo e globale», ribadisce Raimondo Premonte partner della sede di Londra di Gop. Certo, molto dipenderà da come il Regno Unito negozierà la sua exit strategy con Bruxelles. Se il passaggio dovesse essere gestito senza polemiche e con toni concilianti, alla fine si potrebbe arrivare a una soluzione simile a quella che regola i rapporti tra Ue e alcuni Paesi scandinavi, ossia alla creazione di un mercato ad hoc in cui, di fatto, sul piano economico e commerciale i rapporti tra continente e Uk resteranno pressoché inalterati. Diversamente, se si andrà allo scontro diretto e se gli spazi per posizioni concilianti dovessero essere bruciati, l’isolamento inglese potrebbe diventare una conseguenza dell’exit di cui potrebbero avvantaggiarsi i Paesi dell’Unione. Anche sul piano legislativo. Oggi, infatti, la lex mercatoria che vige nel sistema economico finanziario europeo è fortemente influenzata dalla centralità della piazza londinese, nelle dinamiche di business. Se ciò dovesse cambiare, allora ci potrebbe essere spazio anche per un rinnovamento delle consuetudini giuridiche su cui si basano i rapporti commerciali tra i player attivi nel continente con la riscoperta e la valorizzazione di altre culture giuridiche a cominciare da quella italiana.

Sempre dal modo in cui sarà gestita l’exit, dipende anche l’operatività di molte delle sedi inglesi degli studi legali italiani. Se il principio di libera prestazione dei servizi non dovesse essere confermato dai trattati che regoleranno i rapporti tra Inghilterra e Unione Europea, gli avvocati italiani che vorranno continuare a esercitare a Londra dovranno probabilmente acquisire anche il titolo di solicitor (mentre molti colleghi inglesi hanno già avviato le pratiche per iscriversi alla Law society irlandese per poter continuare a operare nel continente). Con tutta probabilità, d’ora in avanti, avere una stabile organizzazione sul suolo inglese sarà molto più difficile. Buono per chi c’è già. Peccato per chi ha aspettato troppo. Ma una domanda resta: servirà ancora?

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