Benessere e lavoro: gli ingredienti per stare bene

Benessere e lavoro: gli ingredienti per stare bene

Nelle mie attività di coach e formatrice mi trovo spesso ad avere a che fare con persone che lamentano un’insoddisfazione verso il loro lavoro. Sono scontente, frustrate, hanno ben chiaro il sogno di cambiare, ma fanno fatica a focalizzare quali siano davvero i motivi della loro insoddisfazione. Non vedendo che cosa non funzioni, preferiscono pensare a un cambiamento radicale (obiettivo macro) piuttosto che lavorare su questioni specifiche e concrete (obiettivi minimi). Eppure basterebbe davvero poco per essere più felici!

È in particolare per loro che ho scritto questo post, ispirandomi al libro di Warr e ClappertonIl gusto di lavorare”, dove gli autori delineano i dodici elementi che rendono un’esperienza di lavoro soddisfacente. Provate a misurare la vostra esperienza di lavoro su questi dodici punti, e avrete una panoramica di quanto l’attività che state svolgendo possa essere nutriente per voi.

Partiamo dal presupposto che la felicità (come ogni altra emozione) è una condizione per propria natura passeggera ed altalenante, apprezzabile proprio perché si alterna a momenti di infelicità. Se fossimo sempre felici, non ce ne renderemmo nemmeno conto. Detto ciò, possiamo misurare il nostro grado di felicità nel lavoro verificando la presenza di dodici elementi, che gli autori li chiamano “vitamine”.

I primi dei sei elementi sono essenziali, devono essere presenti, ma senza eccedere.  Quando diventano eccessivi possono determinare l’effetto opposto, cioè costituire fonte di stress e malessere. Devono esserci ma a dosi intermedie. Le sei vitamine sono:

1.      Influenza personale: le persone sono più felici se sentono di poter avere una certa autonomia, spazio di manovra e libertà decisionale. Tuttavia, se devono assumere decisioni gravose, che incidono fortemente sulle prospettive di sviluppo del lavoro, possono diventare ansiose e tese. Ovviamente ci sono differenze individuali rispetto a ciò: possiamo pensare che chi fa l’imprenditore o svolge un lavoro in proprio abbia meno difficoltà ad assumere il controllo della situazione, rispetto a chi decide di lavorare come dipendente. 

2.      Uso delle proprie abilità: le persone vogliono poter utilizzare le proprie competenze e svilupparle ulteriormente. Però per essere davvero felici, è utile che i periodi di maggior sforzo e impegno si alternino a momenti dove l’attività è più routinaria e meno sfidante. Troppi stimoli possono portare a una condizione di stress eccessivo.

3.      Richieste e obiettivi: i lavoratori hanno bisogno di vedere il fine ultimo dei loro sforzi, per questo un impiego ci rende più felici se ci stimola verso un risultato da conseguire. Non avere una meta può rendere il lavoro monotono, viceversa avere troppi obiettivi o averne di troppo difficili possono determinare sovraccarico e tensione, fino ad arrivare a condizioni di burnout

4.      Varietà: è difficile essere felici se il lavoro è completamente ripetitivo e monotono. Il cambiamento ha la funzione di stimolo, crescita e vivacizza lo stare al lavoro. Tuttavia, se il lavoro ci pone continui cambi di compito o di obiettivo, possono insorgere condizioni di sovraccarico e stress.

5.      Chiare esigenze e prospettive: in genere amiamo le situazioni prevedibili, tuttavia le nostre prospettive sul futuro devono essere chiare, ma non troppo. Se il contesto e la situazione che viviamo sono troppo scontate, perdiamo il senso di varietà e non sentiamo la possibilità di incidere sul futuro. Dunque, troppa chiarezza è controproducente perché ci annoia e demotiva. La presenza di esigenze sufficientemente chiare e di prospettive dovrebbe essere garantita sul lavoro attraverso un processo di feedback.

6.      Contatti sociali: l’uomo è un animale sociale ed ha bisogno di relazioni anche sul lavoro. Tuttavia, se si trova in un contesto dove le interazioni sono troppo numerose o poco piacevoli, ecco che l’interazione con altre persone può diventare una fonte di stress.

I prossimi sei sono elementi che funzionano in modo diverso: devono essere presenti, ma la loro efficacia arriva a un punto di saturazione oltre il quale, anche se continuano ad aumentare, non influenzano ulteriormente la condizione di benessere del lavoratore. Insomma, oltre un certo limite non ci accorgiamo più di loro.

7.      Denaro: a qualcuno sembrerà incredibile, ma è proprio così! Il denaro non compra la felicità, o almeno non oltre una soglia di stipendio che ci soddisfi. Una volta conquistata una condizione di benessere economico tale da permetterci di corrispondere ai nostri bisogni, nuovi aumenti nelle nostre entrate non incidono realmente sul  nostro stato di benessere complessivo. Forse qualcuno avrebbe il desiderio di sperimentare questo dato di ricerca sul campo…. Purtroppo non sono a conoscenza della ricerca di cavie!

8.      Ambiente fisico adeguato: le persone sono sensibili al fatto di lavorare in un ambiente gradevole e pulito. Lavorare in un ambiente sporco o pericoloso determina sicuro malessere, ma oltre una certa soglia di sicurezza e pulizia non si riscontrano grandi differenze sulla condizione di felicità personale. Questo top 12 mi ha fatta ridere pensando alla scena di Fantozzi in cui, nell’ascesa al potere, conquista piante di ficus e poltrona in pelle umana. Sarà vero che la poltrona in pelle umana non dà la felicità?

9.      Un ruolo di valore: il lavoro costituisce un importante fattore di identità. Quando ci presentiamo a qualcuno, una delle prime cose che raccontiamo è la professione svolta. Per questo motivo ricoprire un ruolo lavorativo riconosciuto e apprezzato dalle altre persone è un presupposto per la nostra soddisfazione. Tuttavia, una volta che abbiamo conquistato una posizione adeguata, ulteriori avanzamenti non incidono fortemente sulla felicità. 

10.      Supervisione di sostegno: avere un superiore che assicura supporto e incoraggia il proprio sviluppo sul lavoro è un importante fattore di benessere. L’assenza di questo elemento rende l’esperienza negativa anche perché, con tutta probabilità, determina l’assenza di altri top 12 come ad esempio la presenza di interazioni sociali gradevoli, o la possibilità di esercitare qualche tipo di influenza sul lavoro.

11.      Buone prospettive di carriera: le persone cercano prospettive sia in termini di sicurezza del lavoro (avere una situazione che assicuri continuità), sia in termini di possibilità di miglioramenti professionali (carriere orizzontali o verticali, buona conciliazione fra lavoro e vita privata). L’assenza di questi elementi determina malessere, ma moltiplicare le possibilità di carriera non influisce con un aumento esponenziale della condizione di felicità.

12.      Trattamento equo: la percezione di non ricevere un trattamento equo e corretto determina una condizione di malessere sul piano personale e professionale. Inoltre, le persone sono più soddisfatte se lavorano per aziende riconosciute per la loro etica (es. rispetto dell’ambiente, politiche di welfare, ecc.). Tuttavia, una volta assicurata una certa soglia di equità ed etica, la condizione di benessere personale tende a rimanere stabile.

Leggendo questo excursus sui top 12 qualcuno avrò avuto di sicuro la sensazione che alcuni di essi fossero più importanti per sé, mentre altri meno. In effetti ciascuno di noi ha delle preferenze e valuta con pesi diversi ognuno di questi elementi. I top 12 impattano in modo diverso su ciascuno di noi, in relazione ai nostri valori.


Per approfondire:

“Il gusto di lavorare. Soddisfazione, felicità e lavoro” di P. Warr e G. Clapperton, edizioni Il Mulino

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