Bernardo Paoli: "La scrittura come moltiplicatore della creatività"
Bernardo Paoli, psicologo, formatore aziendale e scrittore di diversi libri di crescita personale. Ma anche uno dei maggiori esponenti in Italia della Terapia Breve da lui definita “terapia delle esperienze di equilibrio” nel corso dell’intervista ci spiega che cosa significa e cosa c’è alla base del processo di creatività.
(di Marianna Porcaro)
Tre parole attraverso le quali descrivere Bernardo Paoli e il suo modo di stare al mondo.
Libertà. Creatività. Metodo... che, utilizzando dei sinonimi, significa autodeterminazione, valorizzazione dei tratti originali, e lungimiranza.
Ci regala un’immagine attraverso la quale ci rende visibile la sua idea di creatività?
Una persona che sta passeggiando nel Nakanoshima Park a Osaka e, guardando il fiume, vede una paperella gialla, gigante (quella di Florentijn Hofman), ed esclama: “Geniale!”.
Lei ha studiato alla scuola Holden. Possiamo definire la scrittura il collante principale con cui si lega il suo approccio al pensiero creativo? Quanto pensa sia terapeutica la parola scritta?
Sì, ho studiato in “Holden Over 30” e poi ho fatto un corso di scrittura autobiografica con Silvia Schiavo. Entrambi ottimi percorsi. Tutto ciò che di più creativo sono riuscito a ideare è nato aiutando pazienti e clienti a risolvere i loro problemi, oppure prendendo carta e penna e mettendomi a scrivere. La scrittura è un moltiplicatore di creatività, ma anche di benessere; è infatti tra gli strumenti di self-help più efficaci al mondo. Lo dice la letteratura scientifica, in particolar modo gli studi sul paradigma della scrittura espressiva iniziati da James Pennebaker. Scrivere per tre giorni di fila, per soli 15 minuti di tempo, sugli aspetti più problematici e drammatici della propria vita, produce una pandemia di reazioni positive, alleviando lo stress e riducendo la tachicardia, come anche tutta una serie di altri sintomi. Addirittura è stato visto che scrivere di traumi immaginari, come se fossero stati vissuti personalmente, produce benefici per la salute analoghi a quelli ottenuti da chi scrive di traumi effettivi.
Promuovo molto la scrittura nei corsi e con i pazienti. A breve lancerò anche un percorso specifico di “scrittura strategica” per aiutare le persone a stare dentro un metodo che li porti, attraverso la scrittura, a raggiungere i loro obiettivi in autonomia: un self-coaching a portata di penna. Mi piace pensare che non sai davvero ciò che sei, ciò che senti, e ciò che pensi fintantoché non lo hai messo per scritto.
In frasi come “verba volant, scripta manent” emerge una simmetria che omologa il significato alla sua funzione. Il flusso pensiero-scrittura-lettura-pensiero diventa così valore condiviso.
Quando lo scrittore infrange le sue regole il lettore vede la sua faccia.
Quanto la componente verbale della scrittura fluttua nel non- verbale? Possiamo definire le parole come una fotografia delle nostre emozioni?
Ci sono diversi argomenti insieme.
Partiamo anzitutto dallo “scripta manent” e dal valore condiviso. Un detto dell’antico Egitto recita: “L’uomo muore, il corpo va sotto terra, ma ciò che ha scritto resterà”. La nascita della parola scritta - 5.000 anni fa circa - ci ha permesso di mandare messaggi lontano nello spazio e nel tempo; questo ci ha cambiato profondamente. Gli antropologi ci raccontano che una differenza fra le culture tribali contemporanee che hanno solo la comunicazione orale, e quelle che hanno anche la comunicazione scritta è che nelle prime le canzoni e i racconti non parlano di amore romantico. Particolare, no? Non avere la scrittura non permette di parlare di ciò che non c’è: in questo esempio, dell’idealizzazione di un amore assente e agognato.
La scrittura aggiunge elementi che altrimenti non ci sarebbero: mentalmente fai due per due e già ti incarti, mentre se fai i conti su un foglio puoi eseguire integrali e derivate… E tutto ciò che depositi per scritto può diventare realtà condivisa; utile a educare la comunità, sedimentando le conoscenze.
Scrittura è quindi anche educazione. Educazione collettiva, educazione a avere un metodo, rispettare dei princìpi che non hai inventato tu, imparare a farsi capire dagli altri. E, al tempo stesso, la scrittura su base creativa spinge a infrangere quelle regole, superare il noto, mettere in discussione i presupposti. Come diceva Magritte per i suoi quadri, a “far urlare gli oggetti più familiari”. E allora, in questa duplice valenza, impari da una parte a rispettare le regole dell’argomentazione e, più in generale, le regole di una comunità; e, dall’altra parte, stimoli te stesso e gli altri a andare oltre, a uscire dalle dittature del “c’è un solo modo per fare le cose bene” e del “si è sempre fatto così”.
Per quanto riguarda l’ultima parte della domanda - il tema delle parole come fotografia delle emozioni - sì, lo sono, ma più nel linguaggio naturale che in quello scritto. Nella teoria delle inclinazioni psicologiche che utilizzo nel mio lavoro, conta molto l’osservazione da parte del terapeuta del tipo di parole utilizzate dal paziente. Si va a caccia di quelle più significative (che non è detto affatto che siano le più frequenti), di quelle più tipiche - perché dense di significato - per le varie inclinazioni psicologiche. Come la parola “potere” per l’inclinazione dei narciso, “approfondire” per i dubitanti, “sensazione” per le persone-sensazione, “difendersi” per i valoriali, “sicurezza” per i prudenti.
Che cos’è il pensiero simmetrico?
Come dice la filosofa della scienza Elena Castellani, la simmetria è il costrutto più semplice che abbiamo inventato/scoperto per “descrivere, spiegare e prevedere i fenomeni naturali”. A un livello più profondo, tutto ciò che i fisici trovano sono simmetrie e risposte a simmetrie; il noto bosone di Higgs è stato teorizzato - per poi essere scoperto 50 anni dopo - basandosi sui princìpi di simmetria della fisica. Così la matematica, come anche l’arte, conoscono molto bene il concetto di simmetria. La bellezza si fonda su proporzioni simmetriche. La natura è fatta di simmetrie: puoi dividere in due parti quasi perfette le foglie, il corpo umano, i cristalli, i pianeti, il DNA.
Tra tutte le possibili simmetrie, mi sono interessato in particolar modo di quella che mi piace chiamare “simmetria degli opposti”, che la psicoterapia ha studiato in diversi modi: Carl Gustav Jung e la composizione degli opposti psichici, Fritz Perls e il dialogo fra le polarità, George Kelly e i costrutti bipolari, Valeria Ugazio e le polarità semantiche familiari. E la filosofia occidentale, fin dalle sue origini greche, pensa secondo la contrapposizione degli opposti: Eraclito e la dottrina dei contrari, i sofisti e la tecnica delle antilogie, che consiste nel pronunciare un discorso persuasivo prima in difesa e poi in accusa rispetto a una medesima questione. Ovunque ti giri, incontri simmetrie, e in particolar modo simmetrie degli opposti. “Come potremmo concepire la mente senza opporla al corpo, l’infinito senza opporlo al finito, l’essere senza opporlo all’apparenza? Senza contrari non possiamo pensare”, scrive il filosofo Oscar Brenifier.
Anche gli aforismi - la forma linguistica più efficace che siamo riusciti a inventare - si strutturano secondo simmetrie di opposti: “Un ramo di pazzia abbellisce l'albero della saggezza” (Alessandro Morandotti). Riconoscere ed esercitare questa dinamica degli opposti è anche alla base dei processi creativi, come pure della salute mentale: equilibrio è la capacità di passare da un opposto all’altro a seconda di ciò che è più utile per i propri obiettivi.
Questa connessione intima, svelata dalle simmetrie, fra micro- e macro-, fra bio- e psico-, fra materia e linguaggio, credo che abbia davvero dell’incredibile.
Ci può descrivere in che cosa consiste la terapia breve a distanza?
Pur restando dentro la tradizione della terapia breve nata nel Brief Therapy Center di Palo Alto, che poi ha avuto uno sviluppo molto florido in Italia, ho sentito l’esigenza di tradire un po’ la tradizione - “tradimento” inteso come sinonimo di “creatività” - e di marcare di più la distinzione tra ciò che faccio con i miei pazienti, rispetto a quello che tradizionalmente si insegna che si debba fare. Per questo ho dato vita a un nuovo modello - la Terapia Breve delle Esperienze di Equilibrio - che si basa proprio sullo studio approfondito e sull’uso deliberato della simmetria degli opposti: tra problemi e soluzioni vi è sempre un rapporto di opposizione simmetrica. Questa è l’essenza degli studi che ho condotto in questi anni.
Vi è una sorta di algoritmo degli opposti che, partendo dal problema, porta inevitabilmente a identificare la soluzione. Prendiamo l’esempio di una persona che cerca inefficacemente di ottenere amore attraverso la pretesa (“Mi devi rispettare! Mi devi amare e volere bene perché io ne voglio a te!”): quale opposto cerca come soluzione? Rispetto alla pretesa di solito si immagina che fare il contrario corrisponda a rinunciare (“Basta! Se non mi vuole nessuno, ci rinuncio”)… ma la rinuncia è il principio della depressione. Quindi, di male in peggio, dalla padella alla brace. Proviamo allora a prendere insieme pretesa e rinuncia: quale strategia si oppone a entrambe? “Né pretendere, né rinunciare?”, si domanda la persona, “Potrei allora dichiarare apertamente - e con calma - il mio bisogno di essere presa in considerazione”. Ma, di solito, neanche questa terza strategia funziona. Quindi adesso abbiamo un sistema a tre: pretendere-rinunciare-mostrarsi bisognosi. Che cosa si oppone rispetto a questa rete di strategie inefficaci? Non notate un elemento comune? Sono tutte e tre strategie anti-seduttive. E così in terapia si accompagna la persona a saper esaltare i propri lati seduttivi; e la seduzione è la “vera” opposizione simmetrica che permette di risolvere definitivamente la strategia inefficace del pretendere amore. L’amore va attratto, e non strattonato.
Applicando su di me e sul mio lavoro i princìpi del pensare per simmetrie, a settembre 2019 - in tempi pre-covid - ho scelto di fare qualcosa che nessun altro psicoterapeuta in Italia aveva fatto prima di me: spostare tutti i pazienti sull’on-line. Ho deciso così di lavorare esclusivamente a distanza, in un momento in cui il farlo sembrava una decisione avventurosa e anche spericolata. C’è una bella espressione del giornalista Hunter Thompson: “When the going gets weird, the weird turn pro”. In inglese funziona molto bene; in italiano si potrebbe tradurre: “Quando le cose iniziano a farsi strane, ciò che è strano diventa il nuovo standard”. Questa è la creatività: spingersi verso orizzonti nuovi per scoprire poi che erano quelli più sensati.
Che cosa significa per Lei essere psicoterapeuta oggi?
Nei nostri anni è caduta definitivamente quella cortina di fumo che circondava la figura dello psicoterapeuta e che lo ammantava di un certo di segreto, esoterico, indicibile, misterioso. Nelle conoscenze acquisite dallo psicoterapeuta, e nel modo di svolgere le sedute, c’era sempre qualcosa su cui tacere o su cui parlare solo per allusioni. Tutto questo è tramontato - per fortuna, aggiungerei - anche perché ciò che è misterico, per quanto continui a affascinare molte persone, è anche anti-scientifico e pseudo-scientifico.
Essere psicoterapeuta oggi significa lavorare sempre più apertamente, in modo sempre più trasparente, dentro una comunità scientifica, e a servizio del benessere delle persone in ogni contesto che la contemporaneità ci offra; inclusi e-book, app, intelligenza artificiale, social network... anche quelli più recenti come Clubhouse.
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1 annoMarzia Mammini grazie per il like! Mi hai ricordato questo fantastico incontro 😘