[BLOG G15] MANUTENERE E INNOVARE
Vista cucina: è mattina e ciascuno è preso con la propria colazione, animali inclusi. Ho davanti una piccola scena quotidiana, mi ci soffermo e osservo. Amo i dettagli, aprono mondi dentro cui girovagare.
Il cane bianco viene dalle terre di Sicilia. Vagolava libera, alla ricerca del pasto quotidiano, portandosi appresso le sue lentiggini normanne e la scaltrezza di chi se la deve cavare. Il cane bianco mangia da sempre e per sempre la stessa cosa e, ogni volta, sembra natale.
Il cane nero varcava la soglia di casa accolta come un dono, due lunghe zampe e poco più, tenute da un caldo panno rosso. Il cane nero ciclicamente chiede e ottiene un cambio di menu, dopo aver girato i tacchi, sdegnata, davanti alla solita minestra.
Manutenere e innovare. Ecco cosa ho davanti: le due funzioni vitali di noi esseri viventi.
Dai batteri fino a noi siamo innanzitutto presi a sopravvivere. Manuteniamo il sistema che siamo. Quel che però è straordinario è che abbiamo tutti un surplus energetico, produciamo cioè un di più che ci serve ad andare un passo dopo di dove siamo. Se rimanessimo solo fermi, in equilibrio sul posto, saremmo destinati alla morte: per dirla diversamente, noi saremmo ancora qui con la coda e il pelo a grugnire cose e il Coronavirus del momento non avrebbe avuto occasione di spaventarci a morte coi super-poteri, rimanendo lo stesso virus di sempre.
E poi siamo anche in grado di ad-atpàre, ovvero aggiustarci quando prendiamo colpi. Ci ricentriamo a ogni bottarella quotidiana che ci sposta gli umori e le convinzioni e a ogni spinta impietosa con rischio di caduta.
Ebbene, ora, qui, nel tempo strano che viviamo, come me lo gioco tutto questo sapere innato?
Nella Fase1, coi giorni stretti dalla quarantena, c’era bisogno di manutenere. Avere cura. Nutrire. Farsi bastare. Coltivare quel che già si aveva. La pazienza, per citarne una, e molto altro. Abbiamo vissuto un’inedita semplificazione della vita quotidiana. Perimetrati dentro spazi chiusi e dentro poche chiare regole, le esigenze si sono ridotte al minimo. Non c’era granché da decidere, c’era da stare.
Oggi, fase 2 tendente al 3, ritorna la complessità. La porta si è aperta, le regole d’uso sono ben più lasche e, attorno, un bombardamento mai cessato di informazioni contrastanti. Se stiamo e basta, tutto il mondo va avanti e noi perdiamo il filo.
Ci risiamo. Torniamo a navigare in mare aperto, con venti che non sappiamo decifrare, lo sguardo smarrito e disorientato di tanti; li incontro e insieme mettiamo la testa fuori per annusare l’aria e capire dove ha più senso andare, adesso, che non è uguale a ieri.
Adesso, in questo tempo strano, serve osare. Serve innovare e cambiare aria alle stanze.
Il cambiamento non può essere solo un “magari” con sospiro rassegnato, un vezzo da sognatori o una imprudenza da inesperti: è l’atto concreto di inventarsi nuove forme che fino a ieri non avevamo immaginato.
Adesso, che gli eventi hanno forzato il cambiamento e l’ho toccato e respirato, io, oltre all’impegno nella mia piccola vita, me lo aspetto anche attorno a me. Me lo aspetto da chi ha idee e, soprattutto, da chi ha il potere di realizzarle.
In bilico tra il disincanto e la fiducia ho un foglietto stropicciato per le mani, col mio elenco, che fa più o meno così.
Mi aspetto una scuola che si reinventi, sposti i banchi, tolga le cattedre, rimetta le mani nella terra e sparga ovunque forme circolari di saperi.
Mi aspetto aziende e leader di aziende etici, che passino dai gettoni specchietto di benessere a preservare modi e tempi per essere.
E una buona mescolanza di reale e virtuale, per prendere il meglio dell’uno e il buono dell’altro, e farne quel tutt’uno che oggi qualcuno chiama già onlife.
E nuovi modi di muoverci per le strade e strade che si alternino a spazi aperti da vivere.
E arte, sprazzi d’arte per riciclare e rinnovare e abbellire e generare forme nuove di lavoro, per esempio.
E luoghi caldi e colorati per i nostri ragazzi, palestre di vita che li appassioni e restituiscano loro senso.
E tanto altro che io non so immaginare, ma altri sapranno rigenerare, anche per me.
I nostri figli si inventano mondi incredibili con i blocchi di Minecraft. Vogliamo non esserne capaci noi?