“Born in Italy”, è realmente possibile mangiare esclusivamente italiano?

“Born in Italy”, è realmente possibile mangiare esclusivamente italiano?

Riflessioni nate dall’ascolto di un podcast durante una passeggiata in solitaria

In questi giorni mi sono ritovata ad ascoltare le puntate di un podcast publicato nel 2020, Agricoltori digitali di Luca D'Alessandro.

In una delle due puntate registate insieme a Giorgio Ciardella si è arrivati a parlare di un tema particolarmente interessante: il passaggio da prodotto Made in Italy a prodotto Born in Italy. La differenza è sottile, ma non banale.

Un prodotto Made in Italy è fabbricato e/o processato in Italia partendo da materie prime non necessariamente italiane. Diversamente, un prodotto Born in Italy prevede non solo che tutte le fasi di trasformazione ed elaborazione avvengano in Italia, ma anche che le materie prime provengano dal territorio italiano.

Si tratta di un tema sicuramente centrale per il momento storico che stiamo vivendo. Da giorni siamo messi di fronte a continue notizie relative alla difficoltà di importazione di alcune materie prime (principalmente mais e olio di semi di girasole, ma anche grano) dalla Russia e dall’Ucraina, visto il conflitto in atto.

Ora che abbiamo capito di cosa stiamo parlando e che abbiamo contestualizzato il motivo per cui tale argomento è oggi ancora più rilevante, possiamo porci una domanda. Questa transizione è realmente possibile? La risposta è: sì e, contemporaneamente, no.

Nel panorama italiano abbiamo già un buon numero di prodotti Born in Italy, ne sono un esempio tutti i DOP (Denominazione di Origine Protetta), conosciuti e richiesti in tutto il mondo, biglietto da visita del cibo e della cucina italiani, che ci rendono sempre particolarmente orgogliosi e patriottici. Altro esempio è rappresentato dai tanti prodotti delle aziende agricole presenti sul territorio nazionale, agricoltori e agricoltrici che hanno coraggiosamente scelto di vendere, talvolta anche trasformando, i frutti del loro lavoro, senza ricorrere agli intermediari.

Quindi perché non possiamo affidarci completamente a queste produzioni? La risposta a questa domanda non è così semplice e dipende da più fattori.

In primis c’è da dire che per alcune aziende è più conveniente acquistare materie prime all’estero, dove i prodotti hanno un prezzo più basso e subiscono controlli meno stringenti (come ad esempio quelli sull’utilizzo degli agrofarmaci).

Altra motivazione, come già accennato parzialmente in precedenza, è data dal conflitto fra Russia e Ucraina, che ha inciso sulla crisi energetica causando un aumento dei costi di produzione dell’agricoltura.

Ancora, secondo Coldiretti, l’Italia è costretta ad importare un gran numero di materie prime anche a causa dei bassi compensi che sono riconosciuti agli agricoltori.

Di fatto, però, non possiamo affidarci totalmente alle nostre produzioni perché il nostro Paese non è autosufficiente; l’offerta di cibo italiano non basta a soddisfare la domanda dei consumatori. Importiamo notevoli quantità di materie prime dall’estero per soddisfare le necessità della popolazione, basti pensare all’avocado e al mango, che troviamo nel reparto ortofrutta dei nostri supermercati, oppure alla carne irlandese o argentina che molto spesso ordiniamo al ristorante. In ogni caso non c’è bisogno di ricorrere ad esempi esotici, si è già detto che importiamo mais, grano e olio di girasole, ma la lista potrebbe tranquillamente allungarsi aggiungendo mandorle, prugne, latte, carne, orzo… si potrebbe continuare per ore.

I fabbisogni italiani quindi non possono essere soddisfatti attraverso le eccellenze italiane coltivate e prodotte in territori limitati.

Le piccole e medie aziende che trasformano e/o vendono direttamente il loro prodotto spesso non sono facilmente raggiungibili, riescono a produrre solo in quantità limitate oppure non hanno modo di farsi conoscere dai consumatori finali, che preferiscono acquistare all’interno della GDO (Grande Distribuzione Organizzata).

C’è ancora tanto tantissimo lavoro da fare, e bisognerebbe partire dall’aumentare la consapevolezza. Molto spesso i consumatori acquistano prodotti senza fare caso alla provenienza e senza valutare realmente la sostenibilità di un determinato prodotto. C’è bisogno di informare maggiormente i produttori, per far sì che possano arrivare a quanti più acquirenti possibile, e è necessario informare anche i distributori e i consumatori, affinché facciano scelte consapevoli anche dal punto di vista della sicurezza, per evitare che comprino prodotti non sicuri dal punto di vista salutare e che consumino prodotti di dubbia provenienza e di cui non si conosce la storia.

Ciò non significa che dobbiamo smettere di consumare prodotti agroalimentari che provengono dall’estero, piuttosto dovremmo pretendere che questi prodotti vengano sottoposti ai medesimi controlli di quelli italiani, che siano garantiti sempre alti standard qualitativi. Smettere di importare determinati alimenti sarebbe oggi impossibile, sono entrati nella nostra alimentazione e fanno parte della nostra cultura, tuttavia possiamo richiedere che la sicurezza garantita dai prodotti Born in Italy valga anche per i prodotti che nascono fuori dai nostri confini.

È possibile ascoltare le puntate del podcast Agricoltori digitali a cui ci si riferisce nell’articolo cliccando sui link seguenti:

La blockchain nelle filiere agroalimentari

La blockchain: considerazioni finali di Giorgio Ciardella e Luca D’Alessandro


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