Buon compleanno Amore mio.
Roma, 18 Gennaio 2115
Non ho mai amato i lunghi discorsi, forse perché credo che le cose interessanti possano essere raccontate con poche parole, forse perché il dialogo interiore mi ha sempre dato una maggiore serenità.Tuttavia, oggi è un giorno davvero speciale.
Mia moglie, la compagna con cui ho condiviso ogni gradino della mia vita, compie cento e venti anni, e io, di fronte ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai nostri genitori e ai nostri amici più cari voglio fare per lei il discorso più lungo della nostra vita.
Sono tante le cose che ho amato di Lei in questi anni, ma ce ne sono alcune che hanno dato un senso profondo al tempo passato assieme. A volte, hanno conferito un significato così intimo che il concetto stesso è venuto meno, lasciandoci in un eterno presente in cui abbiamo galleggiato leggeri.
Stefania è nata custodendo dentro una fonte inesauribile di amore, e se dovessi racchiudere il significato del suo passaggio nella vita di ciascuno di noi, sarebbe una scheggia sotto pelle che permane nel tempo ricordandoti la luce.
Lei non ha mai vissuto la superficie delle cose, è sempre sprofondata dentro persone e situazioni, riemergendo con tesori che nessuno aveva mai visto. Ha sempre amato i bordi, anche se ne aveva un timore folle. Quel timore l’ho accarezzato nel tempo come un animale docile, ed è sempre rimasto con noi.
Non c’è mai stata una grande differenza per lei tra famiglia, amici e lavoro, ha sempre mantenuto lo stesso identico spirito, sortendo poi gli stessi effetti. In questo suo eterno salire e scendere da dentro, abbiamo vissuto momenti di grande gioia, di eterno gioco, ma anche di profondo sconforto.
Ricordo ancora, l’infanzia dei nostri figli, come uno dei momenti più vivi della mia vita. Molto spesso la ritrovavo mentre correva attorno al tavolo inseguita da tutti: amava rotolarsi per terra, rubare la lingua al cane e farsi riempire di solletico. Ogni sera inventava storie diverse, il divano coperto da un lenzuolo diventava una capanna degli indiani e il pavimento un fiume di lava che non poteva essere toccato. Credo di aver assistito all’unico caso in cui una madre faceva più domande ai suoi figli piuttosto che viceversa. Chiedeva a loro il perché di ogni cosa, amava farsi raccontare il modo profondo in cui si sentivano chiedendo di paragonare i loro stati d’animo a città o ad animali.
A volte guardandola pensavo che davvero sarebbe vissuta in eterno, sembrava non avesse paura delle ore che passavano ed era sempre convinta che alla fine avremmo potuto fare tutto, anche riuscire a uscire di casa in qualche minuto nonostante fosse ancora in pigiama e con lo spazzolino in bocca. Il suo ottimismo ha portato molti errori di valutazione nella nosta vita, ma ci ha fatto anche vivere in una realtà alternativa in cui ogni cosa che accadeva alla fine era la migliore che potesse succedere, ogni cambio di programma sembrava la cosa più incredibile che avessimo vissuto.
Consigliati da LinkedIn
Lei ha sempre creduto nell’importanza dei momenti e degli spazi. Creava spazi di intimità per noi, di ascolto per i figli e di creazione per il lavoro. Ogni volta che non ci riusciva o che l’accelerazione le impediva di fermarsi, si rattristava molto, anche se con il tempo questa sua inflessibilità si è ammorbidita.
Il lavoro per lei non è mai esistito, avevo la sensazione che non lavorasse mai nel modo canonico del termine, svincolava scadenze, gli appuntamenti erano incontri e i progetti opere d’arte. Ricordo perfettamente, quando finito il dottorato, non si è lasciata investire dalla paura dell’instabilità per buttarsi in qualcosa che si avvicinasse il più possibile al suo colore. Ha vissuto tanti momenti simili nella vita, come se qualche Divintà beffarda avesse provato a metterle davanti un’eterna tentazione di lasciarsi vivere o di lasciarsi scegliere ma alla fine risbatteva sempre i pugni, si voltava di spalle e si incamminava verso altro. A volte, non sapevamo nemmeno cosa fosse “altro”, ma nel suo cammino ho avuto la sensazione che si spogliasse sempre di più delle paure, mentre guardava fissa negli occhi la vita.
Lei ha avuto un grande sogno ed era quello di aiutare gli altri, o meglio di andare verso gli altri, di entrarci dentro e di rimanerci per porgere una mano. Correva incontro, rimaneva negli occhi, e a volte soffriva terribilmente di un male umano che la faceva sentire inutile e minuscola, come fuori da sè e in tutti quelli che soffrivano. Questo suo sentire era come la foto di una polaroid: all’inizio era così sfocata da sembrare davvero venuta male, ma poi il tempo ha chiarito i contorni e i colori, ed è riuscita a trasformare un sentimento in progetti, attività e momenti di scambio così forti che ancora oggi mi pare di risentire la vibrazione del loro impatto. Stefania non ha fatto un lavoro, ne ha fatti mille, è cambiata tante volte, ha perso e guadagnato tanta di quell’energia che avrebbe potuto illuminare New York. Quando tornava da momenti di scambio, soprattutto con ragazzi e ragazze più giovani, potevo intravedere flussi di Vita scorrerle nelle vene. Assorbiva le espressioni di tutti e si teneva appiccicate le loro storie per giorni.
Alla fine, abbiamo vissuto una vita semplice, senza mai accumulare ricchezza materiale. Anzi, con il tempo abbiamo cercato di avere sempre di meno e di conoscere ed essere sempre di più.
La Fondazione che io e mia moglie abbiamo creato offre, alla fine, quello che è stato concesso a noi: uno spazio in cui è possibile creare momenti di scambio oltre a barriere e paure per far nascere idee e progetti che possano avere un impatto sui bordi della società.
Il mio unico augurio per il tuo centoventesimo compleanno, Amore Mio, è tenere stretto il coraggio che ti ha portato fino a qui, perché molte persone ancora ne avranno bisogno.
Con Amore,
Tuo Lorenzo.