Capitani coraggiosi.La creazione del distretto comunale: il caso di Reggio Emilia (XII-prima metà XIII secolo). · Un condottiero alla conquista dello
Capitani coraggiosi. · La creazione del distretto comunale: il caso di Reggio Emilia (XII-prima metà XIII secolo). · Un condottiero alla conquista dello stato.
Introduzione alla storia dei da Correggio: i secoli X - XIII 1
1. Le origini (secc. X - XI)
La leggenda e lo stemma.
Nella storia della bassa pianura reggiana tra XI e XVII secolo una famiglia di vassalli
canossani ebbe, su tutte, un ruolo di rilievo: i "da Correggio". Una casata le cui ambizioni
finirono con l'influenzare pesantemente anche la storia di Reggio Emilia e della vicina
Parma, dove i da Correggio per circa un secolo, fra Duecento e prima metà del Trecento
cercarono di costruire una vera e propria signoria. Il fallimento di questo ambizioso e
velleitario sogno 8nulla potevano contro le mire viscontee ed estensi) finì con il
determinare il grande sviluppo che Correggio conobbe a partire dalla seconda metà del
XIV secolo.
Le origini della casata si perdono ancor oggi nelle nebbie dell'Alto Medioevo.
La leggenda creata a questo riguardo da Rinaldo Corso è notissima, ma merita di essere
richiamata.
Secondo Corso, Giberto, ultimo fratello del Duca di Borgogna, venne inviato in Italia da
Carlo Magno a combattere i Longobardi. La notte prima della battaglia, gli apparve in
sogno la Madonna che gli diede una fascia bianca, cinta la quale avrebbe vinto.
L'indomani, durante il combattimento, tutta la veste si macchiò del sangue nemico ad
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Il carattere prettamente divulgativo di questo testo ha suggerito di evitare di appesantirlo con le
consuete note a piè di pagina o a fine testo, che sarebbero invece state indispensabili nel caso di un testo di
altra natura. I riferimenti documentari e bibliografici sono stati quindi concentrati nell’elenco delle fonti e
nella bibliografia che completano alla fine il testo.
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eccezione proprio di quella fascia bianca. Da questo episodio sarebbe quindi nato anche lo
stemma dalla casata.
Dopo Corso, ripresero la leggenda Sansovino (che volle quel Giberto conte di Ausburg,
quindi direttamente imparentato con la dinastia imperiale), Brunorio, Bisaccioni, Colleoni
e Gozzi, che introdusse una simpatica variante: non contro i Longobardi, bensì contro i
Saraceni. Zuccardi, Tiraboschi e Litta criticarono duramente e non accolsero la presunta
ricostruzione storica di Corso.
Al di là di ogni considerazione, la leggenda non nasce dal nulla. Fra Quattrocento e
Cinquecento gli storiografi e i poligrafi delle corti più importanti (come Corso), erano
attivamente impegnati nella ricerca delle presunte o vere origini delle famiglie sovrane e
non. Risalire ai Romani era fatto comune, ma molti si ‘limitavano’ a ricercarle in tempi
meno remoti, ma non per questo meno importanti. Infatti, l’obiettivo era avvicinarsi il più
possibile alle radici della casata imperiale asburgica.
La leggenda correggesca sfruttava abilmente le forti somiglianze con l'analoga leggenda
delle origini degli Asburgo e del loro stemma (odierna bandiera di Stato dell’Austria), che
presenta gli stessi colori rosso - bianco - rosso e la medesima disposizione su tre apparenti
bande orizzontali di uguali dimensioni. Araldicamente lo stemma correggesco e quello
austriaco vengono così descritti: di rosso alla fascia d’argento
La più antica fonte ufficiale risale ad un sigillo del 1230, custodito attualmente nel
monastero di Lilienfeld (Niederösterreich). L’origine dei colori risale – secondo la
leggenda più famosa – al duca Leopoldo V di Babenberg. Nella battaglia d’assedio di San
Giovanni d’Acri (Ptolemais) durante terza crociata (1189–1191), il suo mantello bianco si
insanguinò completamente, a parte una striscia bianca dove portava la cintura, diventando
così i colori ufficiali della famiglia. Una variane vuole che sia stato Federico I di Babenberg
a coprirsi di sangue nel 1197 durante la III Crociata.
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Ad ogni buon conto, lo stemma asburgico venne ufficialmente adottato verso il 1230 dal
nipote di Leopoldo V, Federico II duca d'Austria, ultimo della sua dinastia. Con questo
atto, adottando ufficialmente quei colori nello stemma della famiglia, egli riaffermo
l’indipendenza dell’allora Ducato d’Austria dal Sacro Romano Impero e definì quindi i
territori austriaci. Anche dopo la presa del potere sull’Austria dalla casa degli Asburgo,
sebbene l’impero utilizzasse lo stemma nero e oro, i colori e la bandiera bianco-rossa
rimasero simbolo del territorio austriaco.
Ritorniamo ai da Correggio. Rinaldo Corso, creando la leggenda, dimostrò di conoscere in
modo approfondito le fonti araldiche e genealogiche della famiglia imperiale e di saperle
adattare alle presunte origini della casata correggesca.
Sempre all'ambito delle leggende, si deve ascrivere anche l'altrettanto mitica figura di un
Corrado, figlio di Giberto di Borgogna, che sempre a detta di Corso e Sansovino fu
Gonfaloniere della Chiesa ottenendo il titolo di conte di Correggio. Soprannominato
"Difensore della Chiesa", nell'833, per i suoi meriti, avrebbe ottenuto da papa Gregorio IV
di potere traslare a Correggio il corpo di San Quirino e le reliquie dei santi Ermete,
Tiburzio, Veronica e Reparata.
Fin qui la leggenda. I documenti ci parlano di una storia completamente diversa, anche se
ad oggi è alquanto arduo riuscire a fissare con esattezza il momento e il luogo in cui è
sorta la consorteria famigliare dei da Correggio.
Le origini storiche
Fin dal 1927 Nembrot cercò di risolvere il problema della origini della famiglia
proponendo quali capostipiti Wuido de Baniolo, ricordato in un placito del marchese
Oberto nel 964 che richiama un altro documento del 962 nel quale fra i presenti compare lo
stesso Wuido che viene definito vicecomes filius bone memorie idemque Wibertus de Baniolo.
Quella famiglia si sarebbe legata con vincoli matrimoniali con un’altra, discendente da
Gerardo di Sigifredo de Comitatu Lucense, il padre di Adalberto Atto di Canossa. Gerardo
viene nominato in un placito di Adalberto Atto nel 963 ed ebbe due figli: Berardo (citato
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nel 995) e Adalberto, che avrebbe sposato l’unica erede di Wibertus de Baniolo. Dal
matrimonio sarebbe poi nato Wuido de Baniolo, padre di Frogerio e Adalberto.
Questa identificazione potrebbe trovare una ‘sponda’ documentaria anche nell’XI secolo,
quando nel 1080 un documento ricorda la figlia di Gherardo e Richilda, Agelburga.
Ebbene, il padre Gherardo viene detto de Baniolo. La denominazione ha fatto ipotizzare un
collegamento con il ricordato Wuido de Baniolo del 964, ma soprattutto con il figlio Wiberto,
vassallo di Adalberto Atto che nel 961 – 962 viene definito
Nembrot e Fabbi hanno proposto un’interessante ipotesi di lavoro, ma al momento
l’impossibilità di legare in modo definitivo o convincente, cioè sostenuto da riscontri
documentari precisi, i discendenti di Sigefredo da Lucca e i da Bagnolo, la rende
indimostrata, sebbene motivata.
Il primo documento certo che ci parla dell’esistenza di personaggi sicuramente ascrivibili
alla casata correggesca è datato 5 ottobre 1009. Frogerio et Adalberto germanii filiis quondam
Widoni de comitatu Regiense donano a Sigherio prete e rettore della chiesa di San Michele
Arcangelo situata ubi dicitur Coregia finibus regiense alcuni loro beni posti nella località
"Gurgneti Glandada".
E' questo, come poco sopra detto, il primo riscontro che ci attesta, al di là di ogni dubbio, i
passi iniziali della casata.
Il documento, redatto in castro Coregia, oltre che per la storia della casata, presenta altri
elementi di grande importanza, permettendoci di cogliere alcune caratteristiche del
territorio correggese. I beni ceduti dai fratelli a Sigherio hanno un'estensione di circa 18
iugeri pari circa 4.5 ettari (ogni iugero equivaleva a circa 2.520 metri quadrati, quindi a
circa un quarto di ettaro) di terra coltivabile e di 8 iugeri (2 ettari) occupati da bosco e
sterpaglie. Il predominio del terreno coltivabile rispetto a quello incolto o non coltivabile
mostra che il lento, difficile ma inesorabile processo di colonizzazione di spazi agricoli,
pur tra mille e mille difficoltà e ostacoli naturali, procedeva inarrestabile anche nel
correggese tra X e XI secolo.
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Ritorniamo al documento del 1009. Guido, padre di Frogerio e Adalberto viene detto
quondam, cioè “fu”, indicando così che era a quella data già morto. Si può quindi supporre
ragionevolmente che la sua vita si fosse svolta nella seconda metà del X secolo, come
ipotizzato da Fabbi che lo identificò, come prima ricordato, in quel Wido de Baniolo
ricordato nel 964. Al di là di ogni congettura, una circostanza appare certa: l’origine della
famiglia deve essere ricercata nel momento di formazione delle principali consorterie
nobiliari che nel X secolo appaiono legate alla domus (intendendo con questo termine un
aggregato di famiglie) formatasi attorno ad Adalberto Atto e Tedaldo di Canossa e che nel
corso della seconda metà dell’XI secolo sarebbe stata detta domus (o familia) comitissae
Mathildis dal nome dell’ultima discendente di Adalberto, Matilde di Canossa
Ritorniamo ad Adalberto e a Frogerio.
Adalberto (Albertus de comitatu parmensi), prima del 1009, sarebbe documentato già nel
1007 quando la moglie Ermengarda, con il consenso dei figli Wiberto e Lanfranco, dona
beni alla chiesa di Reggio Emilia. Dalla discendenza di Adalberto sarebbe nato il ramo dei
dei Wiberti da Meletole, da cui sortì Wuiberto, Arcivescovo di Ravenna e Antipapa con il
nome di Clemente III. Personaggio su cui ritorneremo in seguito.
Nel 1015 Adalberto fu presente a un placito del marchese Bonifacio di Canossa. Nel 1062
viene ricordato un Gundrado subdiaconus filius quondam Alberti de loco qui dicitur Coregia,
L’altro figlio di Wuido, Frogerio, nel 1029 risulta già morto, lascia la vedova Agelburga
femina relicta quondam Frugerii et Guido seu Gariardus germani filiis suprascrpti quondam
Frugerii et ipsius Agelburge Questi vendono inquell’anno a Valdrada figlia del marchese
Oddone la metà della corte di Sorbara nel modenese e la metà di quella di ramoscello
vicino a Parma (interessante indizio di diversificazione territoriale degli interessi dei da
Correggio fin dalle origini)
Dai figli di Frogerio prende vita la consorteria che nei primi documenti viene
semplicemente definita heredes filiorum Frogerii e successivamente, ad imitazione del
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prestigioso modello canossano, domus filiorum Frogerii La consorteria nobiliare è stata detta
in tempi recente di Nembrod "Frogeridi", dal nome del capostipite storicamente
documentato.
E' degno di nota che la vedova e i figli professano di vivere secondo la legge longobarda.
Quella della professio iuris è l’espressione più alta di una coscienza etnica che si manifesta
attraverso la dichiarazione pubblica di quale “legge personale” si intendesse seguire.
La professio longobarda contribuisce, quindi, a portare un indizio rilevante per individuare
l’ambito socio-culturale al quale ricondurre le origini della famiglia.
Poco meno di un decennio più tardi, nel 1038, Guido del fu Frogerio viene detto de
comitatu Parmensi, segno che gli interessi della famiglia cominciano ad essere nettamente
orientati verso le terre d’Oltrenza, pur mantenendo forti interessi anche nei comitati di
Modena e Reggio.
Piuttosto enigmatico è un documento del 1044 in cui sono riportati i nomi Gerardi et Widoni
seu Frogerii lege viventes langobardorum. Chi è il Frogerio di cui si parla? Un terzo figlio del
defunto Frogerio? Un sorta di soprannome dato ai due precedenti che prende il posto del
consueto quondam Frogerii? In mancanza di ulteriori riscontri documentari su questo
Frogerio, ogni ipotesi allo stato delle cose appare plausibile sebbene personalmente
ritengo poco probabile in questo periodo l'esistenza di un membro della famiglia da
Correggio con lo stesso nome del padre.
Ritorniamo ai figli di Frogerio sui quali sappiamo qualcosa. Nel 1059 Gherardo dona alla
chiesa di Reggio, per la sua anima e quella della moglie Ermengarda, beni a Fabbrico,
Gavassa e Reggio, a dimostrazione della vastità dei territorio in cui questi signori avevano
interessi diretti e il 15 giugno 1075 Gerardus filius quondam Frogerii è definito missus di
Matilde e assiste ad un passaggio di beni tra la stessa e la chiesa di Reggio Emilia. E' un
momento importante nella storia dei da Correggio: emergenti politicamente e socialmente
i Frogeridi, detti anche (e lo vedremo in seguito) da Plaza e da Correggio, sono fideles di
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Matilde e hanno stretti legami con la Chiesa locale.. Una presenza che come vedremo
affrontando le vicende del XII secolo, si andò rafforzando in modo cospicuo.
Gherardo, che in prime nozze aveva sposato Ermengarda, in vita venne variamente
designato come de loco qui dicitur Coregia, de Baniolo, oppure de comitato parmensi, nel 1080
risulta già morto lasciando la vedova la seconda moglie, Richilda, figlia del marchese Ugo,
che professa lege vivere Roman e la figlia Agelburga, che invece dice professa sum ex nacione
mea lege vivere Langobardorum, che in quell'anno donano delle terre a Casale di Rodano e
Montecavolo al monastero reggiano di S. Prospero.
Scrive a proposito del matrimonio il Tiraboschi: ... e innoltre vi veggiam nominata Richilda di
lui [di Gherardo] vedova figlia del Marchese Ugo; donna perciò di alto stato, e che non sarebbesi
data in moglie a chi non fosse stato in grado uguale o poco discosto dal suo ...
Il ragionamento di Tiraboschi, perfettamente calzante, sottolinea un aspetto particolare
della storia dinastica correggesca: la politica matrimoniale messa in atto per creare o
consolidare alleanze e posizioni politiche fin dai primissimi tempi (sec. XI) della dinastia.
Il documento del 1080 porta con sé un altro problema: la presenza di un Alberto
mundoaldo, cioè curatore e tutore di Agelburga. Secondo il diritto longobardo, che
Agelburga dichiara di professare e seguire, non era lecito alle donne fare contratti senza
l'assenso del loro curatore: il padre, i fratelli o il parente più stretto. Forse quell'Alberto era
fratello di Agelburga oppure quell' quell'Albertus filius Vuidoni de loco Baniolo ricordato nel
1088 e che nel 1097 - 1098 è ricordato anche come Albertus de Plaza de Campaniola.
E' interessante, ad ogni buon conto, notare la continuità onomastica Adalberto di Guido e
zio di Gherardo, nominato nel 1009 - Alberto 1080 (la radice dei nomi è la medesima,
muovendo ambedue da adal- 'nobile' e bertha- 'splendente').
Fin dai primi decenni della loro storia la casata conobbe diverse denominazioni: De
Corrigia, de Baniolo, de Plaza de Campaniola, de Castronovo: quattro diversi modi di indicare
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la medesima famiglia, nel segno di un policentrismo politico e territoriale che ancora non
aveva definitivamente fissato il fulcro del dominio correggesco nella futura omonima città.
Il fratello Guido, del quale non si hanno riscontri documentari, risulta morto nel 1088.
Alla fine dell’XI secolo la domus filiorum Frogerii appare composta da:
1. I figli di Guido: Alberto de loco Baniolo (ricordato nel 1088 e morto prima del 29
luglio 1105), da cui nacquero Guido e Gherardo de Castro Novo;
2. I figli di Gherardo: Agelburga (sposa di Bernardo del Frignano, mrta nel 1104) con i
figli Bernardo (cit. 1104), Guido (cit. 1105) e Alberto de Plaza (morto nel 1105) da cui
nacquero Guido e Gherardo de Plaza, così detto per distinguerlo dal cugino
Gherardo de Castro Novo.
Un personaggio di particolare è Wiberto, vir doctus, sapines et nobilis natus. Così Donizone
ricorda colui che da alcuni storici settecenteschi venne chiamato anche Giberto II, secondo
un ordine non accettato però fin dai tempi di Rinaldo Corso e, per ultimo, da Riccardo
Finzi.
Le ricerche di Carlo Dolcini per la voce sul "Dizionario Biografico degli Italiani" hanno
orientato gli studiosi a ricondurlo al ramo parmense dei da Correggio, sebbene oggi si
possono avanzare alcuni dubbi. Nato tra il 1020 e il 1030, cancelliere imperiale dal 1058,
Arcivescovo di Ravenna dal 1073 al 1100, fu antipapa al nome di Clemente III al 1080 al
1100. Come cancelliere imperiale operò a favore di Enrico IV per ottenere il
riconoscimento dello ius et honor imperii nell'elezione papale, partecipando agli sviluppi
dello scisma di Onorio II (Cadalo di Parma). Arcivescovo di Ravenna cercò di riaffermare
l'autocefalia della chiesa ravennate, venendo scomunicato nel 1078 e nel 1080. Nominato
da Enrico IV e dai vescovi tedeschi papa al nome di Clemente III il 25 giugno 1080, venne
intronizzato solo nel marzo 1084. Lottò contro i papi legittimi Vittore III e Urbano II,
attuando una politica ecclesiastica che riaffermava il celibato obbligatorio e l'obbligo di
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non disertare gli uffici amministrativi. Il suo declino iniziò verso la meta degli anni '90
dell'XI secolo e morì a Civita Castellana l'8 settembre 1100.
Riconobbe la superiorità dell'ordinamento pubblico regio e da questo ottenne la delega e il
consenso ad assumere responsabilità di natura politica
Figura complessa, che ancora sfugge a una conoscenza unitaria, Clemente III rimane al
centro di interpretazioni divergenti e successive revisioni. Dal Clemente III di Köhncke, un
puro e semplice esecutore della politica di Enrico IV, e di Augustin Fliche che lo aveva
descritto come scialbo, piuttosto pacifico per natura, strumento docile e passivo
dell'imperatore, si passa alla rivalutazione della sua autonomia e dei suoi programmi di
riforma e governo (Kehr), e si arriva al recente giudizio di Ernst Werner che vede in lui un
personaggio di alta cultura, capace di rappresentare l'impulso a una riforma della Chiesa,
da rendere libera da conflitti e rivendicazioni contro il regnum.
2. Il XII secolo
All'inizio del XII secolo il consorzio famigliare dei da Correggio appare suddiviso in due
rami: i da Plaza / de Corrigia, i cui interesse appaiono sempre più concentrati in ambito
reggiano e i da Castro Novo (già detto de Baniolo), orientati invece sul territorio parmigiano
dove fra Duecento e Trecento recitò un ruolo di primissimo piano. Nel 1119 Gherardo di
Alberto di Guido di Frogerio de Castro Novo, dona al Monastero di San Giovanni di Parma
un manso in Bagnolo. Nel 1122 con la madre Agelburga assiste ad un atto di Alberto
Malapresa.
Gherardo II di Alberto di Bernardo e Agelburga, ricordato già nel 1105 quando dona al
monastero reggiano di San Prospero anche a nome del fratello Guido una mezza
massaricia in loco Gurgo in villa qui dicitur Runcise, nel 1108 riceve a livello dal monastero
bresciano di Santa Giulia terre in Plaza de Campaniola. E' lui che nel 1109 viene chiamato da
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Matilde di Canossa (fecit ad se venire Gherardum) per dirimere una controversia sollevata da
Guiberto Gonzaga.
In quest'atto Gherardo, detto de Placia (= de Plaza) viene definito comes illustris e comitem
illius terre, cioè di Correggio. Questo titolo di "conte", sebbene di indubbio prestigio ed
interesse, non deve trarre in inganno sull'effettiva portata dello stesso. Non lo si deve, cioè,
intendere con lo stesso valore giuridico che aveva in epoca carolingia e ottoniana, quando
sottendeva una precisa e amplissima realtà territoriale. E', piuttosto, indicativo di un
nuovo potere signorile esercitato su una scala territoriale locale e circoscritta, assai più
contenuta rispetto al "comitato" del secolo precedente.
Le carte dell'epoca lo ricordano anche come Gerardus de Plaza, indicazioni necessarie per
distinguerlo dal quasi omonimo Gherardo de Castro Novo visto in precedenza. Gherardo
viene ricordato più volte in documenti matildici dal 1112 al 1115 stipulati a Bondeno
Roncori e Pegognaga ed è la sua discendenza a continuare la stirpe dei Frogeridi.
Si deve notare, comunque, che nell'edizione delle carte di San Benedetto Po, Carla Villani
identifica Plaza con una località del Parmense, sebbene le citazioni dei decenni successivi
facciano invece propendere decisamente per l'identificazione de Plaza = de Corrigia.
Quando muore Matilde, i da Correggio sono dunque divisi, come abbiamo visto in
precedenza, in due rami principali: il primo detto da castro Novo, i cui interessi dalla parte
occidentale della pianura reggiana puntano decisamente verso il parmense, il secondo
detto da Plaza o de Corrigia, con sfera d'influenza nella parte orientale della pianura
reggiana.
Sebbene formalmente i territori di Correggio, Fosdondo e Canolo rientrassero tra quelli
compresi nella cosiddetta “eredità matildica”, di fatto i da Correggio riuscirono già nella
seconda metà del XII secolo a rafforzare in modo permanente e definitivo la loro presenza
sul territorio.
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Ritorniamo un attimo su Gerardus de Plaza, che nel 1136 assistette ai placiti tenuti
dall'imperatrice Richenza a Reggio Emilia. Con i figli nel 1112 ottiene dalla chiesa di
Reggio l'investitura di otto iugeri di terra con vigna a Mandriolo
A lui e al fratello Corrado Palmerio di Albricone da Campagnola avrebbe venduto nel
1141 il castello di Campagnola con annesse ville. Oggi il documento è ritenuto un falso,
costruito probabilmente un paio di secolo dopo la presunta data. E' tuttavia certo che fin
dal 1097 i da Correggio avessero diritti formali su quei territori grazie all’investitura fatta
dall’abate di Frassinoro, legittimo proprietario di quei beni. Gherardo da Correggio con la
moglie Inguliana nel 1140 dona alla mansionaria del Duomo di Reggio delle terre a
Cavriago e Correggio. Dovette, questo essere, uno dei suoi ultimi atti: egli, infatti, appare
già morto nel 1142, lasciando cinque figli maschi e almeno una femmina: Bernardo,
Luterio, Alberto, Gualtiero, Guglielmo e Beatrice. I primi due, con Alberto, nel 1112
chiedono al monastero reggiano di S. Tommaso delle terra a titolo di precaria.
Su tutti emergono le figure di Alberto e della sorella Beatrice. Alberto viene ad assumere
un ruolo fondamentale nell'affermazione della famiglia. Comparso come teste nel 1150 in
cui Egina, vedova di Arduino della Palude, dona alcune terre al monastero reggiano di
San Raffaele, già nella seconda metà del secolo ha acquisito un prestigio tale da essere teste
del podestà di Bologna nel 1154 e nel 1165 partecipare alla concordia tra Lamberto di
Guido e gli uomini di Galliera. Dall'area bolognese a quella modenese, dove nel 1158 ha
beni a San Felice sul Panaro e nel 1170 è presente all'alleanza degli uomini di Monteveglio
con i castellani del Frignano contro il Comune di Modena, venendo qualificato con la
carica di capitaneus. Una qualifica, comparsa tra XI e XII secolo, per indicare persone che in
ambienti specifici occupano posizioni sociali ed eventualmente politiche di rilievo. Questa
presenza attiva nel frignanese, confermata anche dal possesso di beni terrieri nel 1172 e
dalla presenza di uomini di fiducia di Alberto, non deve stupire se si ricorda come
A(n)gelburga di Gherardo di Frogerio avesse sposato Bernardo del Frignano.
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Di altrettanto prestigio godette anche nel reggiano: nel 1159 fu podestà di Reggio. Fu,
Alberto, il primo della famiglia a raggiungere una carica così prestigiosa, dando vita ad
una specie di 'tradizione professionale' che vide per ben 61 volte i da Correggio
raggiungere fra XII e XIII secolo la carica podestarile in molte città italiane. In altre 10, poi,
essi furono capitani del popolo.
La podesteria di Alberto II da Correggio rivela un aspetto importante nella storia del
neonato Comune cittadino: i due poteri, quello signorile-feudale e quello comunale, hanno
raggiunto un punto di equilibrio per il reciproco vantaggio. Il potere comunale è
legittimato e il potere signorile-feudale ne costituisce il bastione militare-organizzativo.
Uomo di governo, dunque, Alberto, ma anche signore di Correggio, attento ad espandere i
suoi possedimenti. Così nel 1159 ottiene a livello da Giovanni prete di Canolo un piccolo
appezzamento in quella località dove si stava affermando il potere dei Lupi.
Nel 1172, anche a nome del nipote Gherardo, ratifica la convenzione tra le comunità di
Budrio, Correggio e Rio per regolare il regime delle acque. L'atto viene firmato, per il
comune di Correggio, da Gotefredo, Bedurlo e Pietro Bonaldi consoli del luogo (qui tunc
eius loci ut dicebantur consules erant), che, tuttavia, intervengono non solo pro se ma anche
[pro] dominis suis.
Il comune rurale di Correggio ha dunque la capacità giuridica di sottoscrivere accordi in
materia d’acque, ma questa viene certamente da un esplicito riconoscimento fatto nei suoi
confronti dai da Correggio che concedono alla comunità locale la possibilità di stipulare
accordi in materia di beni ed interessi economici comuni.
I due poteri, quello signorile e quello comunale, hanno dunque raggiunto un punto di
equilibrio per il reciproco vantaggio.
Tuttavia, dietro il comune di erge la figura del dominus che esercita il proprio potere non
solo sul castello ma anche su quella che viene definita curia illorum de Corigia (in cui è posto
un mulino citato nell’atto). E’ noto il significato di curia: esso indica una giurisdizione
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signorile che fa sì capo ed è incentrata su un castello, ma che proietta la sua influenza ben
oltre i suoi confini.
Il potere giurisdizionale dei da Correggio si estende dunque ben al di fuori del castello
urbano.
Nel documento compaiono anche altri soggetti: Albertus de Fregnano, Raphacanis de
Fregnano e Gherardus de Fregnano sono fra i testimoni. In quello stesso 1172 Alberto detiene
numerosi beni nel Frignano, a conferma dell'articolazione e dell'estensione del dominio di
correggesco.
Tra il 1173 e il 1184 appare attivissimo in continue compravendite di terreni a Migliarina,
Mandrio, Fazzano, San Martino in Rio, Lemizzone. Acquisizioni, ma anche dismisssioni
(nel 1174 vende beni a Campedella di Mantova e a Migliarina pur riservandosi le decime)
mirate a consolidare il patrimonio terriero su cui esercitava, de facto, un dominio signorile.
Nel 1176, Alberto con il nipote Gherardo, dona alla chiesa castrense dei Santi Michele e
Quirino due terre all'erezione,a patto che i chierici locali erigessero un ospedale extra-
moenia, soggetto alla chiesa castrense, con annessa chiesa dedicata ai Santi Bartolomeo,
Tommaso e Quirino. Era l’Ospedale di San Bartolomeo di Ponte Mainardo, posto a sud del
centro di Correggio, punto centrale nella rete extra-urbana di assistenza a pellegrini,
viandanti e bisognosi che attraversavano il territorio.
Dieci anni più tardi, nel 1186, avvenne il ritrovamento delle reliquie di San Quirino e il
vescovo di Reggio, Abricone, consacra l'altare ad esso dedicato nell'omonima chiesa, come
ricordate la lapide ancor oggi conservata nella cripta della Basilica. L'episodio determinò
non solo un nuovo e forte impulso al culto del Santo Martire, ma anche un accrescimento
del prestigio della chiesa castrense e dei da Correggio che la favorivano.
Alberto risulta ancora in vita nel 1189 quando i figli Matteo, Frogerio e Alberto ricevono in
affitto terre nel modenese da parte del rettore della chiesa di Migliarina, chiudendo
definitivamente una vertenza che sulle quelle terre Matteo aveva in corso fin dal 1157.
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Di Alberto non si conosce la data di morte, che si può presumere essere posteriore al 1190,
anno in cui la sorella Beatrice, che dal 1159 era stata numerose volte badessa del
monastero di S. Tommaso di Reggio Emilia e di cui si hanno notizie fino al 1207, viene
definita abatissa soror quondam Alberti de Corigia.
Il figlio Matteo nel 1196 sarà Podestà di Bologna, mentre nel 1181 viene ricordato un
nipote di Alberto, Gherardo, il cui figlio Giberto è vivente nel 1197.
Altro personaggio di rilievo nel corso del XII secolo fu Beatrice, sorella di Alberto, che
ricoprì in più riprese la carica di Badessa del monastero benedettino femminile di
Tommaso a Reggio Emilia dal 1159 al 1207, portandolo nel 1184 sotto la protezione di papa
Lucio III. La lettura degli atti che la riguardano ce la mostrano attivamente impegnata nel
rafforzamento economico del cenobio attraverso una razionalizzazione dei beni posseduti
mediante la dismissione di quelle che risultavano più periferici e meno strategici per gli
interessi del monastero e l'acquisizione di altri ritenuti più idonei a raggiungere lo scopo.
Anche la cessione in affitto o in feudo di beni immobili (case e terreni in area urbana o
suburbana) era effettuata, come si è già avuto modo di ricordare, in quest'ottica di
razionalizzazione.
3. Il XIII secolo
E' con i figli e i nipoti di Alberto II che assistiamo alla decisa proiezione degli interessi
dinastici al di fuori di Correggio e del suo territorio, vero l'oltrenza parmigiano e Parma
stessa.
Alberto risulta già morto nel 1189, mentre il figlio Tommaso ricevette l'investitura di
di Castelnuovo di Sotto dal Vescovo di Parma nel 1215 e divenne Podestà di Ravenna nel
1227.
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Frogerio fu podestà a Modena (1211) e Ravenna (1214). Il figlio Guidotto fu Canonico della
Cattedrale di Bologna dal 1224, Vescovo Eletto di Mantova dal 1231, consacrato il 2
dicembre 1231. Vescovo e podestà di Mantova dal 1233, nel 1234 accompagnò Beatrice
d’Este in Ungheria, celebrandone le nozze Re Andrea II a Székesfehérvár. Fu assassinato
da Uguccione de Altofoglia a Mantova nella sala del Capitolo del Monastero
di Sant’Andrea, con la complicità dei monaci cui la politica fortemente orientata al rigore
morale del presule creava non pochi problemi, il 17 maggio 1235.
E' con Matteo, Signore Sovrano di Correggio, Signore di Campagnola, Corte Mantovana,
Bosco dell'Argine, Castelnuovo di Sotto, Montanara e di parte di Corte Nova, che i da
Correggio si inseriscono stabilmente nel novero della principali famigli del tempo in area
reggiano-parmense. Investito con il fratello Tommaso dal vescovo di Parma di
Castelnuovo di Sotto nel 1215, venne ascritto alla cittadinanza di Parma godendo del
trattamento di Patrizio. Podestà a Bologna (1196, 1213), Parma (1203), Pisa (1208 e 1220),
Cremona (1210), Modena (1216), Verona (1217). Salimbene de Adam lo definisce de Parma
a testimonianza dello strettissimo rapporto che lo legò a quella città che stava diventando
sempre più velocemente il vero fulcro della politica e delle ambizioni correggesche. Di
Parma Matteo da Correggio fu ambasciatore presso Federico II nel 1219. Con i figli di
Matteo, i da Correggio acquisiscono un peso sempre crescente nelle vicende politiche
emiliane, di Parma in particolare, e, con uno dei consueti rovesciamento di fronte non
certo rari al tempo, nella lega anti-imperiale contro Federico II.
Frogerio, Signore Sovrano di Correggio, Signore di Campagnola, Corte Mantovana, Bosco
dell’Argine, Castelnuovo di Sotto, Montanara e parte di Corte Nova, Patrizio di Parma, fu
Podestà di Modena nel 1211 e nel 1216, Podestà di Ravenna nel 1214, mentre Roberto fu
Amministratore e Prevosto della chiesa dei Santi Michele e Quirino a Correggio nel 1240
Si diceva del crescente interesse per Parma, dove un ramo forse si era già insediato fin dal
X secolo. Di certo, dal XIII secolo l'interesse è assai marcato e rivolto ad un posizionamento
strategico della famiglia all'interno dei complicati equilibri cittadini. Nel 1238 vi risiedeva
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stabilmente Gherardo di Giberto (documentato nel 1197) detto De Dentibus per la
formidabile dentatura (qui dicebatur de Dentibus eo quod magnos dentes haberet).
Così Salimbene lo descrisse:
Dominus Gerardus fuit longus statura, bene membratus, magis macilentus quam pinguis, fortis
miles et doctus ad bellus.
Podestà a Modena (1236), Reggio (1240) e a Genova nel 1250, ricoprì analoga carica a
Parma per due volte. La prima nel 1238, la seconda nel 1247 in uno dei momenti più
drammatici della storia cittadina, quando si profilava l’assedio delle truppe imperiali di
Federico II. Un episodio che venne preso a pretesto dai cronisti locali per nobilitare
ulteriormente le virtù militari della famiglia e l’origine di un importante attributo araldico
della stemma della casata.
Secondo il compilatore delle le Antichità Coreggesche, in cui confluirono la Cronaca
Zuccardi tradizionalmente attribuita a padre Lucio Zuccardi (Corrado Corradini propone
invece il nome del canonico correggese Francesco Zuccardi), le postille di Quirino
Bulbarini e le annotazioni di Giulio Cesare Marchi Castellini, un Giberto da Correggio
roprio il nostro da Correggio che il 16 giugno 1247, capeggiando le forze guelfe, avrebbe
sconfitto Federico II di Svevia che aveva posto l’assedio a Parma, approfittando della
circostanza che l’Imperatore si era recato nei pressi di Busseto per un a partita di caccia
con parte dell’esercito. Volte il rotta le truppe imperiali, i parmigiani saccheggiarono
l’accampamento nemico impadronendosi del tesoro di Federico, compresa la corona
imperiale:
... Allora Giberto pose il cimiero dell’arma sua la corona regale, dalla quale esce un can levriero,
alludendo alla vittoria che ebbe per cagione della caccia suddetta, e perciò si vede così scolpito in
marmo nella lapide della sua sepoltura in S. Francesco di Correggio e nella pilastrata della scala di
S. Francesco scolpita in marmo.
Anche l’Arrivabene nelle sue Notizie parli di Giberto, ma le cronache parmensi dell’epoca
forniscono un altro quadro cronologico (la battaglia della Vittoria ebbe luogo il 18 febbraio
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1248) e politico-istituzionale e militare: le truppe parmensi erano comandate da Gregorio
da Montelongo, Giberto da Gente e dal podestà Bernardo di Rolando Rossi.
La corona regale, poi, sarebbe stata presa, secondo Affò che segue Salimbene, da un
popolano di nome Cortopasso e, acquistata dal Comune, posta nella Sagrestia della
Cattedrale di Parma.
Volendo attribuire ad un presunto Giberto da Correggio il merito della vittoria, i cronisti
correggesi vollero dare una spiegazione plausibile (almeno in apparenza) alla presenza
della testa di cane che si ergeva sul cimiero dei da Correggio nel XIV secolo: la testa di
cane, collarinata e linguata (così in linguaggio araldico), cioè con un collare attorno al collo e
la lingua guizzante al di fuori delle fauci spalancate, rivolta alla destra araldica (cioè verso
la sinistra di chi guarda).
Un simbolo che compare con grandissima frequenza dalla seconda metà del XIV secolo
sul cimiero (ornamento esterno allo scudo, posto sulla sommità dello stesso) dello scudo.
In alcuni casi la testa di cane esce da un cercine (piccolo rotolo di stoffa rigonfio e
attorcigliato a ciambella, posto sul cucuzzolo dell’elmo), poi da una corona.
Ampiamente diffuso, come si è detto, dalla seconda metà del XIV secolo fu in uso
pressoché costante fino alla metà del XV, diventando un elemento distintivo dall’arme di
famiglia.
Anche se nel 1454 l’elevazione di Correggio a Contea imperiale portò alla concessione e
all’introduzione di un nuovo stemma, quello antico rimase in auge per alcuni decenni,
salvo poi scomparire per tutto il XVI secolo.
Solo nel corso del primo Seicento venne ripreso da Giovanni Siro, Principe e ultimo
Signore di Correggio, nei suoi complessi stemmi.
Il significato della figura del cane è stato variamente interpretato. Abbiamo visto come le
Antichità correggesche e l’Arrivabene, lo riconducano all’episodio della battaglia. Il cane
collarinato, però, compare, in varie versioni, nello stemma di numerose alter famiglie:
della Scala, Signori di Verona, Roberti di San Martino, Canossa, Parisetti di Reggio e in
alcuni rami dei Gonzaga, tra cui quello di Novellara.
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Il significato vero di quella presenza deve quindi essere ricercato non tanto in una
presunta e leggendaria partecipazione ad una battaglia quanto ad uso comune in araldica,
dove il cane, solitamente riprodotto di profilo e passante, cioè nell’atto di camminare e
passare da un lato all’altro dello scudo, simboleggia la vigilanza, la fedeltà, l’amicizia e
l’obbedienza. Per testimoniare in modo ancora più chiaro la fedeltà al Sovrano o a un’altra
autorità, è raffigurato con un collare (collarinato, come nel nostro caso) e talvolta con una
catena.
Tre sono le principali razze riprodotte: il levriere (o veltro), come nell’arme correggesca,
con il corpo magro e slanciato e le orecchie tese, il mastino e il bracco. Ne possono
comparire anche altre, ma con minore frequenza. Può essere rappresentato corrente,
sedente, rampante, coricato eccetera.
Ecco dunque che il vero significato del levriere dei da Correggio deve essere ricondotto
alla fedeltà, alla lealtà nei confronti di un’autorità sovraordinata. In questo caso l’Impero,
seguendo il quale tra Quattrocento e Cinquecento i da Correggio avrebbero raggiunto una
posizione di indubbio rilievo e prestigio tra la nobiltà padana del tempo.
Gherardo, uno dei capi riconosciuti dal partito guelfo in Lombardia (cioè nell’Italia nord-
occidentale) fece testamento nel 1257.
Dei figli, Guido bellicosus miles fuit et ad proelium doctus (così Salimbene) ricoprì numerose
volte la carica di Podestà in città italiane (vedi appendice) e nel 1264 con i fratelli partecipò
alla composizione dei problemi territoriali insorti con il Comune di Reggio e i Lupi di
Canolo. Acquistando Campegine nel 1298 da Lombardino della Gente ostacolò
pesantemente i progetti degli Estensi su Parma, gettando altresì le della Signoria sulla città
di suo figlio Giberto.
Matteo, miless sensatus (Salimbene) fu uno dei da Correggio che ricoprì il maggior numero
di podesterie nelle città italiane, tra cui Perugia dove venne effigiato in una delle sculture
che ornano la Fontana Maggiore della città.
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Guido e Matteo presero il posto di Iacopo da Enzola nella guida di Parma, ma la loro
'signoria', non giuridicamente costituita, fu comunque un'esperienza dalle basi troppo
fragili per avere speranze di continuità. I due fratelli, cedendo nel 1277 al Comune di
Reggio Emilia Budrio, Canolo e San Michele, acquisirono il 'sistema castellano' di
Fosdondo, imperniato sui tre fortilizi di Fosdondo, Camporotondo e degli Orsi, nonché il
territorio a sud del Bondeno e al di qua dell'odierna Strada Beviera.
Guido, morto a Parma il 15 gennaio 1299, nel suo testamento invitò figli e successoria
ricercare l'alleanza del Comune di Reggio, ritenuta strategica per il perseguimento degli
obiettivi territoriali della dinastia, tanto in territorio reggiano quanto e soprattutto in
quello parmigiano.
Un episodio è, a questo proposito, chiarificatore. Narra Salimbene che nel 1285 Guido da
Correggio liberò messer Burigardo, conducendolo dapprima a Correggio poi a
Castelnuovo di Sotto dove lo onorò con i banchetti più importanti e i cibi migliori. Quel
centro era ormai diventava l'effettiva 'capitale' del dominio correggesco per la sua
collocazione strategica: nel reggiano, ma vicinissima al confine parmense, in modo da
costituire un caposaldo per le pretensioni ad occidente ed una forte retrovia nel
malaugurato caso di ripiegamento.
Il secolo si chiude con un episodio emblematico delle condizioni politiche del tempo. Nel
secondo semestre del 1299 venne eletto podestà di Firenze Ugolino di Jacopino (secondo
alcune fonti Ungardo), che già aveva ricoperto cariche analoghe a Pistoia (1286) e Siena
(1298). Un mese prima della scadenza del suo mandato, venne esonerato e condannato a
pagare ben 3.200 lire di multa, motivata con presunti errori procedurali commessi in
occasione di una condanna. Dietro la condanna stava l'antagonismo fra Cerchi (cui
Ugolino era bene accetto) e Donati. Parma non stette a guardare e inviò un'ambasceria a
Firenze per fare annullare la condanna. Non avendo questa sortito alcun effetto, Ugolino
venne autorizzato a rivalersi della somma mediante rappresaglie. Cosa che puntualmente
fece, sequestrando merci e catturando nobili e mercanti fiorentini di passaggio per il
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territorio parmigiano. Solo dopo il pagamento di cospicue somme di denaro essi furono
liberati dalle carceri di Parma, che pure era un Comune amico di Firenze. L'episodio è
significativo di come la tutela materiale e professionale dei propri cittadini fosse ritenuto
un obiettivo prioritario della politica estera di un comune urbano.
Ugolino / Ungardo ebbe una tragica fine. Composta la vertenza con Firenze, nel 1300
divenne nella città toscana Capitano della Taglia (cioè della Lega), per essere assassinato a
Parma in pieno giorno nel 1303 da Pinuccio de Senaza.
Alla fine del XIII secolo l'asse della politica correggesca appare decisamente orientato
verso Parma, lasciando all'antico cuore dei loro domini un ruolo tutto sommario
secondario e di supporto. Ma le cose, di lì a mezzo secolo dopo, sarebbero radicalmente e
definitivamente mutate.
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Appendice
Le cariche podestarili dei da Correggo fra XII e XIII secolo
1159 Alberto di Gherardo Reggio Emilia
1170 Alberto di Gherardo Frignano - capitaneus
1196-1197 Matteo di Alberto Bologna
1203 Gherardo di ... Modena
1203 Matteo di Alberto Parma
1208 Matteo di Alberto Pisa
1210 Matteo di Alberto Cremona
1211 Frogerio di Matteo Modena
1213 Matteo di Alberto Bologna
1214 Frogerio di Matteo Ravenna
1216 Matteo di Alberto Modena
1216 Matteo di Alberto Verona
1217 Frogerio di Matteo Modena
1217 Matteo di Alberto Verona
1219 Matteo di Alberto Brescia
1220 Matteo di Alberto Pavia
1227 Tommaso di Alberto Ravenna
1233 Guidotto di Frogerio Mantova (vescovo e podestà)
1236 Gherardo de Dentibus di Giberto Firenze (eletto ma non in carica)
1236 Gherardo de Dentibus di Giberto Modena
1238 Gherardo de Dentibus di Giberto Parma
1238 Roberto (Uberto - Ubertino)) Bologna
1239 Guido di Giberto Mantova
1240 Gherardo de Dentibus di Giberto Reggio Emilia
1241 Obizzo nipote di Gherardo Reggio Emilia
1241 - 1242 Guido di Giberto Mantova
1245 Guido di Giberto Mantova
1247 Gherardo de Dentibus di Giberto Parma
1250 Gherardo de Dentibus di Giberto Genova
1250 Matteo di Gherardo de Dentibus Piacenza
1251 Guido di Gherardo de Dentibus Faenza
1252 Guido di Gherardo Bologna (?)
1252 Matteo di Gherardo de Dentibus Gubbio
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1255 Matteo di Gherardo de Dentibus Jesi
1257 Matteo di Gherardo de Dentibus Firenze
1258 Guido di Gherardo de Dentibus Orvieto
1258 - 1259 Matteo di Gherardo de Dentibus Padova
1260 Guido di Gherardo de Dentibus Lucca
1260 Matteo di Gherardo de Dentibus Bologna (capitano del popolo)
1261 - 1262 Matteo di Gherardo de Dentibus Bologna
1263 - 1264 Matteo di Gherardo de Dentibus Padova
1265 - 1266 Matteo di Gherardo de Dentibus Treviso
1268 Guido di Gherardo de Dentibus Genova
1269 Guido di Gherardo de Dentibus Mantova
1269 Matteo di Gherardo de Dentibus Mantova
1269 Matteo di Gherardo de Dentibus Padova
1270 Guido di Gherardo de Dentibus Bologna (capitano del popolo)
1270 Matteo di Giberto Treviso
1270 - 1271 Guido di Gherardo de Dentibus Bologna
1271 Guido di Gherardo de Dentibus Mantova
1271 - 1272 Matteo di Gherardo de Dentibus Cremona
1272 Guido di Gherardo de Dentibus Mantova
1272 Jacopino di Giberto Ascoli
1272 - 1273 Jacopino di Giberto Perugia - capitano del popolo
1272 Matteo di Gherardo de Dentibus Cremona
1274 Matteo di Gherardo de Dentibus Modena
1275 - 1276 Guido di Gherardo de Dentibus Firenze - capitano di parte guelfa
1277 Guido di Gherardo de Dentibus Firenze - capitano del popolo
1278 - 1279 Guido di Gherardo de Dentibus Firenze - capitano di parte guelfa
1278 Matteo di Gherardo de Dentibus Perugia (monumento)
1279 Jacopino di Giberto Ascoli (?)
1279 Matteo di Gherardo de Dentibus Bologna
1279 Matteo di Gherardo de Dentibus Padova - capitano del popolo
1280 Matteo di Gherardo de Dentibus Padova
1282 Guido di Gherardo de Dentibus Modena - capitano del popolo
1282 Matteo di Gherardo de Dentibus Modena - podestà
1282 Matteo di Gherardo de Dentibus Bologna
1283 Guido di Gherardo de Dentibus Modena - capitano del popolo
1283 Guido di Gherardo de Dentibus Piacenza e Frignano
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1283 Matteo di Gherardo de Dentibus Modena
1284 Guido di Gherardo de Dentibus Modena
1286 Guido di Gherardo de Dentibus Reggio Emilia
1286 Matteo di Gherardo de Dentibus Pistoia
1286 Ugardo (Ugolino ?) di Jacopino Pistoia
1288 Matteo di Gherardo de Dentibus Reggio Emilia
1293 Corrado di Obizzo Reggio Emilia
1298 Ugardo (Ugolino ?) di Jacopino Siena
1299 Ugardo (Ugolino ?) di Jacopino Firenze (secondo semestre)
1300 Ugardo (Ugolino ?) di Jacopino Firenze - Capitano della taglia
24
Bibliografia essenziale
G. Tiraboschi, Memorie Storiche Modenesi, vol. V., Modena 1795, pp. 1 - 73 (Notizie
Genealogico-Storiche della famiglia de' Signori e poi Principi di Correggio)
I. Nembrot, Note di storia feudale. I. I Frogeridi, Reggio Emilia 1927
F. Fabbi Le famiglie reggiane e parmensi che hanno in comune l'origine con la Duchessa Matilde,
in “ Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi”,
9 serie, vol. III, Modena 1963, pp. 167 – 200.
R. Finzi, Correggio nella storia e nei suoi figli, Reggio emillia 1968 (rist. anast. Correggio 1983)
O. Rombaldi, Correggio città e Principato, Reggio Emilia 1979
C. Dolcini, Clemente III, Antipapa, in “Dizionario Biografico degli Italiani", vol. 26, Roma
1982.
G. Montecchi, Correggio, Guido da, in "Dizionario Biografico degli Italiani", vol. 29, Roma
1983
G. Montecchi, Correggio, Matteo da in "Dizionario Biografico degli Italiani", vol. 29, Roma
1983 (Matteo di Gherardo)
G. Montecchi, Correggio, Gherardo da, in "Dizionario Biografico degli Italiani", vol. 29, Roma
1983
G. Montecchi, Correggio, Matteo da in "Dizionario Biografico degli Italiani", vol. 29, Roma
1983 (riferito a Matteo di Alberto, nato verso il 1170) [tutte le voci sono ora disponibili
anche on-line all'indirizzo http://www.treccani.it/biografie/ (poi alla voce specifica)]
C. Corradini, Territorio, potere e società nei secoli X - XV, in V. Masoni (a cura di), Correggio
identità e storia di una città, Parma 1991, pp. 53 - 66 e 337.
25
G. Fabbrici L'antipapa Clemente III: Guiberto da Correggio?, in "Correggio produce 2008",
Correggio 2008, pp. 91-102.
G. Fabbrici, Guidotto da Corregio, Vescovo e Podestà di Mantova (+1235), " La ricerca storica
locale. Atti della 7^ giornata di studi storici ", Felina 2011, pp. 47-57.
G. Fabbrici, I da Correggio uomini di governo: incarichi podestarili nel Duecento. Prime ricerche,
in " La ricerca storica locale. Atti della 10^ giornata di studi storici", Felina 2015, pp. 57-70.
G. Fabbrici, I da Correggio nel Duecento: i discendenti di Alberto II, in "Correggio produce
2015", Correggio 2015, pp. 89-97.
Tutte le voci relative ai da Correggio compilate da Carlo Dolcini e Giorgio Montecchi per il
“Dizionario Biografico degli Italiani” sono ora disponibili on-line sul sito
http://www.treccani.it/enciclopedia/ Dizionario_Biografico)/
Le fonti documentarie relative ai da Correggio sono edite nei codici diplomatici annessi
alle Memorie Storiche di G. Tiraboschi (il V volume è interamente dedicato, nella parte
narrativa alla storia dei da Correggio), in W. e E. Goez, Die Urkunden und Briefe der
Markgräfin Mathilde von Tuszien, Hannover 1998 (Monumenta Germaniae Historica,
Diplomata), oggi pubblicati anche in traduzione italiana in F. Canova, M. Fontanili, C.
Santi, G. Formizzi cura di), Documenti e lettere di Matilde di Canossa, Bologna 2015, in A.
Tincani, Il Monastero di San Tommaso di Reggio Emilia, Reggio Emilia 2002 (importante
soprattutto per gli atti di Beatrice Badessa del Monastero) e in altre fonti citate nei volumi
indicati in bibliografia.
CITAZIONI
-“Uomo di innegabile forza d’animo e di finissima astuzia, Ottobuono disponeva di milizie agguerrite ed era in grado di imporre la sua volontà con una decisione, che si guardava bene dal correggere con qualche sfumatura di inibizione morale. Ma il lato più caratteristico della sua personalità, in tempi tutt’altro che miti e scevri di violenza, fu la spregiudicata ferocia, passata alla storia attraverso il vaglio degli episodi più disparati. L’elenco dei suoi inganni, dei suoi provvedimenti tirannici, delle sadiche perfidie, delle torture, delle vendette è assai lungo.” CHIAPPINI
-“Fu grandissimo persecutore de Giebelini, e molti ne fece morire. Così de quelli de la parte Rossa a Parma.” CAGNOLA
-“S’introdusse nella militia sotto la disciplina di Giovanni Aucuto: con sì buon maestro divenne in breve egli ancora celebre Capitano.. Fu Otho di volto pieno e di quadrata statura.” ROSCIO
-“Valoroso Capitano.” GAMURRINI
-“Uomo veramente a quei tempi nell’armi senza paragone terribile.” SPINO
-“Terribilis armiger.” REDUSIO
-“Uomo feroce e vendicativo.” ROSMINI
-Con Alberico da Barbiano, Jacopo dal Verme, Galeazzo da Mantova, Facino Cane, Pandolfo Malatesta “Peritissimos belli ducis.” BRACCIOLINI
-Con Facino Cane “Nell’armi assai prodi.” FORMENTON
-Con Facino Cane, Galeazzo Pepoli, Bertolino da Cremona, Paolo Savelli “Tutti valorosi capitani.” MUZZI
-“Reggiano e gran Capitano.” NICOLIO
-“Vir impiger et natura ferox.” CRIVELLI
-“Hominem ferme, si tamen hominem, humani generis parricidam convenit appellari, quem diu caesum oportuit.” BILLIA
-“Vir sane, quo bello nullus ea tempestate habilior.” CORNAZZANO
-“Tre Capitan Parma ha, l’un messer Otto,/ Antonio l’avol mio, il Balestraccio,/ Rardo Aldighier, e Biancardo Ugolotto.” CORNAZZANO
-“Uno dei generali formatosi nel secolo XIV alla scuola di Alberico da Barbiano.” BOSI
-“Condottiere di gran nome e fiero ghibellino.” LITTA
-“Crudelissimus tyrannus..pessimus ille Otho delectatus in sanguine hominum, ut fera sylvestris.” SANT’ANTONINO
-Con Jacopo dal Verme, Alberico da Barbiano, Francesco Gonzaga, Facino Cane, Pandolfo Malatesta “Condottieri di stima assai in questo tempo.” PORRO LAMBERTENGHI
-“Egli fu buono e perciò chiamossi Otto buono e buon Otto. Fu di pelo rossigno e rufo per questo fu detto. E fu de più avventurosi capitani e di maggior nome che havesse l’età sua.” ANGELI
-“Fu.. un mostro di crudeltà.” GOZZADINI
-“Egli fu pessimo tiranno, e tanto più efficacemente pessimo quanto a grande prodezza accoppiava maestria di frode!” PEZZANA
-Con Jacopo dal Verme e Niccolò da Tolentino “Capitani assai celebrati per valor guerriero.” V. DE CONTI
-“Capitano parimente di gran nome.” TONDUZZI
-“Fu in arme fiero e crudele Taliano della dicta scola (del Broglia)..Questo valente capitano,..usò di grande crudeltà alli suoi dì, ma di sua persona (fu) gagliardissimo.” BROGLIO
-“Ve’ Nicolò (Niccolò d’Este), che tenero fanciullo/ il popul crea signor de la sua terra/…/ Farà de’ suoi ribelli uscire a voto/ ogni disegno, e lor tornare in danno;/ ed ogni stratagema avrà sì noto,/ che sarà duro il potergli fare inganno./ Tardi di questo s’avedrà il terzo Oto,/ e di Reggio e di Parma aspro tiranno/ che da costui spogliato a un tempo fia/ e del dominio e de la vita ria.” ARIOSTO
-“Rei militaris peritissimus.” FACIO
-“Singolarmente refrattario alle regole della convivenza civile, responsabile di trasgressioni ed errori clamorosi.” COVINI
-“Si accanì sui rivali Rossi tanto sanguinosamente che un intero quartiere di Parma non bastava a contenerne i cadaveri, e in un’altra circostanza fece bruciare sulla pubblica piazza l’effigie di Jacopo dal Verme, reo di avere tradito l’alleanza per il dominio su Piacenza.” TANZINI
-“Molto celebre in guerra.” CAPRIOLO
-“Tanto celebre quanto famigerato.. Un subitaneo declino (il suo) che tuttavia era stato preceduto dal dilatare di una eclatante fortuna, conquistata sul campo delle armi dal protagonista di spietato pregio militare, ma di esiguo talento politico, incarnato in Ottobono: un tipico condottiero del Quattrocento, della rude psicologia imperscrutabile, la cui storia personale, nella sua terribilità singolare ma non inconsueta, si svolge, quanto mai densa di accadimenti, in un quadro storico composito, tanto frazionato quanto percorso da dinamiche tumultuose…Incarna il tipico condottiero del Quattrocento, dalla rude psicologia imperscrutabile, la cui storia personale, nella sua individuale spietatezza e terribilità singolare..si svolge, quanto mai densa di avvenimenti, in un quadro, politico e bellico delle varie signorie dell’Italia padana e centrale negli ultimi lustri del XIV secolo e nei primi del XV. Ottobono, andando oltre le constatazioni concernenti l’indiscussa eccellenza del suo profilo militare e di gestore d’imprese belliche è stato raccontato da una fitta schiera di storici e letterati, diversamente partigiani. Meritò l’ammirata stima dell’umanista Enea Silvio Piccolomini, poi papa Pio II, che lodò la “magnificentia”, la “potentia” e la “prudentia” del condottiero, ma quello rimase un caso isolato d’indulgente giudizio.” CONT
-“Il Terzi fu accompagnato per secoli da una fama sinistra, che individuava nelle nequizia e nella tirannia i tratti distintivi del suo dominio. Una nomea, questa, alimentata per primo dall’umanista Antonio Loschi – che all’indomani dell’eliminazione di Ottobuono preconizza addirittura meriti eterni per il suo uccisore Niccolò III – e poi costantemente perpetuata da letterati e storiografi vicini alla casa d’Este… Al Terzi si deve la riforma degli statuti di Reggio e dei consigli di Parma, nonché un’interessante disposizione volta a favorire l’integrazione politica fra le due città: nel 1407, infatti, i rispettivi consigli municipali ratificarono la norma secondo cui ciascun abitante dell’una poteva possedere beni nell’altra. Contestualmente fu concessa la cittadinanza reggina a cento cittadini di Parma e quella parmense a novanta cittadini di Reggio.” GAMBERINI
-“Ottobuono era di coloro che non hanno occhi per conoscere ragione, né animo per abbracciare il giusto, pascendosi solamente dell’iniquità…Era uoomo crudelissimo, nato solo a far male.” MURATORI
-“Rei militaris peritissimus..Nemo tot proeliis eius signa retro conversa semel vidit, Parmensium, Placentinorum ac Reginorum princeps. Ad postremus a Nicolai marchionis Ferrariensis copiisinopinato intefectus est.” Facio riportato da ALBANESE
-“Armigerum strenuum honoris avidum et exerciti magia appetentem quietis.” Da un documento d’archivio senese riportato da MULINACCI
-Tiranno di Parma, uomo mediocre.” LO MONACO
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