COME “DEVE” ESSERE UNA DONNA SUL LAVORO
L’altro ieri era la festa della donna. L'8 marzo, o #lottomarzo.
Per natura detesto parlare delle cose quando sono “di moda” o quando è il giorno giusto, perciò lo faccio qualche tempo dopo, quando le mimose già appassiscono, quando i cioccolatini e gli argomenti sono già esauriti, in contrasto con la puntualità della ricorrenza perché, almeno su ciò siamo tutti d’accordo, queste sono condizioni da ricordare tutto l’anno.
Che si chiami Festa della Donna o National Women’s Day, non vedo cosa ci sia da festeggiare, dato che tra i nuovi disoccupati dall’inizio della pandemia il 99% (ripeto: il 99%) è di genere femminile e tra quelle occupate il gap salariale con figure equivalenti maschili è del 20%. In meno, naturalmente. Questi sono solo due dati veloci e reperibili facilmente, ma se vogliamo approfondire dovremmo prendere in considerazione il trattamento sui luoghi di lavoro, il linguaggio utilizzato nella vita di tutti i giorni, il difficile bilanciamento tra carriera e famiglia: informazioni più qualitative e poco misurabili… ma non solo. A completare questo quadro ecco i dati (e quelli ci sono) sulle violenze, le rare denunce, i femminicidi.
Ma torniamo a noi. Come deve essere una donna sul lavoro? Esiste un modo giusto? Meglio essere “bossy” oppure materna e accogliente? Nel primo caso (comprensibile se immerse in un ambiente machista) c’è un’alta probabilità di passare per una stro**a con il ciclo, nel secondo, invece, il rischio è quello di essere la tata di tutti, una rete di salvataggio, una stampella accomodante da dare per scontata. Insomma, non se ne esce. E non ne usciremo mai se continuiamo a incasellare le donne in poche e semplici tipologie senza permettere loro di esprimere tutte le sfaccettature e le diversità. Senza pregiudizi, così come vengono.
Quindi il tema potrebbe diventare come si deve essere donna sul lavoro, perché sì, è giusto portare in ufficio anche il proprio genere. E si deve essere donne in tutti i modi possibili, miscelando aspetti che si compensano e ci compongono.
Cosa significa essere donna, se non puoi portarlo sul lavoro, se devi lasciare questo aspetto fuori dalla porta? Sarebbe come non avere un nome. Un pezzo di identità in meno, invece il genere cui apparteniamo non è un orpello. Ma attenzione all’esagerazione opposta: creare enclave per essere donne, quote rosa, femminismi infiammati di proclama senza praticità.
In un mondo in cui i progetti di emancipazioni passano necessariamente attraverso l'indipendenza economica, allora la soluzione risiede nell’equità di trattamento, lasciando alle singole persone la capacità o la voglia di cogliere determinate opportunità.
Questo è chiaramente un livello sociale molto più difficile che richiede una modifica di mindset e linguaggio: sarà necessario lasciar cadere alcune resistenze, barriere e opinioni radicate, ma come diceva Oscar Wilde, “Date alle donne occasioni adeguate ed esse possono far tutto”.
Commercialista | Revisore legale | Revisore enti locali | Italian Certified Advisor presso IICUAE | Tutor ENM
2 anniMi piace lo stile della tua scrittura (anche i contenuti ...naturalmente!!!!)
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3 anniciao Noemi Galbiati, complimenti per questa tua riflessione. Mi trovi molto d'accordo. Come hai sottolineato tu, bisognerebbe POTER essere donne in ogni contesto, smettendola di stare a sentire chi ci dice come DOVREBBE essere una donna. Siamo noi a scegliere chi vogliamo e chi non vogliamo essere. Siamo noi ogni giorni ad impegnarci a non fare passi indietro, a non rimanere in silenzio. Grazie per il tuo articolo!