Competitività e Libertà. Eccellenza risorse Umane.
Termino oggi la mia analisi del percorso da intraprendere per far ritornare il nostro paese al livello di competitività (e quindi di Libertà) che gli compete come settima potenza industriale del pianeta, invece del 40mo posto che occupa attualmente. Analizzerò dunque il quinto e ultimo fattore (gli altri 4 sono già stati descritti nei miei più recenti articoli), che ho lasciato di proposito alla fine (dulcis in fundo), in quanto nel medio/lungo periodo è di gran lunga il più importante di tutti : L'Eccellenza delle Risorse Umane. In qualsiasi attività si sia coinvolti nel nostro percorso professionale (Istituzioni, scuola, università, aziende, arte, sport e quant'altro ), vige una regola ferrea : si otterranno risultati eccellenti solo se si hanno risorse umane eccellenti. Probabilmente nessuno avrà qualcosa da obiettare, anche perché è difficile andare contro l'evidenza straripante della realtà. Ma l'asino casca sul come si deve applicare in pratica questa incontrovertibile regola. Partiamo allora dalle fondamenta. Ebbene le fondamenta dell'eccellenza vengono poste nella scuola e poi nell'università. Purtroppo vari istituti di ricerca internazionale hanno stilate diverse graduatorie delle prime 100 università nel mondo. Ebbene mi sembra di ricordare che solo un'università italiana è fra le prime 100 e si tratta della Bocconi a Milano che, se non vado errato, è gestita con modalità privatistiche. Ma non solo : non risponde a criteri di eccellenza nemmeno il livello di collaborazione fra scuola e industria, altrimenti non si spiegherebbe il contraddittorio fenomeno in base al quale in parallelo a un 30% medio di disoccupazione giovanile, si verifica che decine di migliaia di posti di lavoro disponibili in tante aziende rimangono scoperti. Se si pensa di poter risolvere questo problema assumendo 10.000 impiegati nei Centri per l'impiego (magari gestiti dai sindacati, vero?), siamo totalmente fuori strada. Se questo ennesimo scempio verrà attuato, sarà solo per acquistare altri 10.000 voti e aumentare la spesa pubblica corrente. Per cortesia, abbiate il pudore di non portate a paragone la Germania, ove l'equivalente dei nostri centri per l'impiego hanno un organico enormemente superiore al nostro, ma lì ci troviamo in un contesto legislativo, burocratico, meritocratico, culturale, formativo, competitivo, interamente diverso e nettamente superiore al nostro. Vi faccio invece un altro esempio di eccellenza in tal senso (collaborazione scuola/università e industria): la mitica Silicon Valley, in California, ove un intenso rapporto di collaborazione fra Università (Stanford) e industria ha portato alla nascita della Hewlet Packard (1939), poi di Intel, della Microsoft, di Google, di Apple e così via. E veri e propri geni come Bill Gates e Steve Jobs hanno trovato un terreno fertile e una cultura favorevole alla imprenditoria e allo sviluppo. Fossero nati in Italia Gates e Jobs sarebbero dei signori nessuno, ma non si sarebbero rassegnati e quindi sarebbero emigrati, il che è molto triste. Cercherò ora di fornire qualche accenno di possibili ricette tendenti a farci uscire da questo perverso circolo vizioso. Ricette non dettate da anacronistiche ideologie, ma da pura esperienza professionale vissuta in vari paesi del mondo. Anzitutto va rilevato che la moderna società pluralista ove siamo immersi, richiede una grandissima molteplicità di risposte formative perché i bisogni sono enormemente aumentati e sempre più diversi. Globalizzazione e sistemi informativi faranno aumentare questa tendenza. Il nostro sistema scolastico /universitario non risponde più da tempo (il declino è cominciato nel '68, lo ripeto sino alla noia) alle richieste e necessità di questo tipo di società. La scuola di Stato, totalmente centralizzata, asfissiata dalla burocrazia imperante e da un quasi totale abbandono del merito (ricordate il 26 politico e le lauree di gruppo del '68), non è in grado di dare risposte adeguate a causa della sua stessa struttura e i risultati sono drammatici e sotto gli occhi di tutti. Il colmo è che l'ideologia egualitaria (favorita dai sindacati), ha finito per danneggiare proprio i più bisognosi. Uno dei maggiori ostacoli per una rapida evoluzione di questo devastante problema è il cosiddetto "valore legale del diploma e della laurea". Ricordiamo l'insegnamento del grande Luigi Einaudi : "Sono vissuto per quasi mezzo secolo nella scuola e ho imparato che quei pezzi di carta che si chiamano diplomi di laurea, valgono meno della carta su cui sono scritti" Chissà cosa avrebbe detto Einaudi se fosse vissuto ai nostri giorni. La abolizione del valore legale del titolo di studio porterebbe notevolissimi, ragguardevoli vantaggi, per di più a costo zero, anzi diminuendo i costi. Anzitutto abolendo il valore legale del pezzo di carta pezzo di carta si rivaluta la qualità dell'insegnamento e dell'apprendimento. Infatti se il titolo di studio non è più privilegio monopolistico dello Stato, il vero valore ritorna alla reputazione della scuola, ai criteri di selezione e alla preparazione degli insegnanti e alla capacità e volontà degli studenti di capire e apprendere. Rappresenterebbe un sano, graduale ritorno alla meritocrazia di insegnanti e studenti. Il secondo importantissimo risultato sarebbe la sostituzione degli esami di maturità o di licenza (assolutamente inutili e molto dispendiosi), con gli esami di ammissione. Copio la frase di un grande esperto di cui non faccio il nome per motivi di privacy : "Non si fanno esami per uscire dalla scuola, ma si fanno esami per entrare a scuola. Gli studenti scelgono la scuola da frequentare e le scuole scelgono gli studenti che possono frequentarle. Non avendo più il titolo di studio un valore legale, tutti i cittadini che hanno i requisiti di legge, possono accedere al pubblico impiego e alle professioni superando severi esami di stato non più scolastici ma extra scolastici. Naturalmente un altro risultato di un tale cambiamento sarebbe la rivalutazione dei professori che non sarebbero più dei soli impiegati dello Stato, ma piuttosto dei veri e propri liberi docenti, molto più responsabilizzati (e valutati), ora si in grado di offrire la loro capacità di insegnamento a tutte le scuole adesso davvero libere di sceglierli e retribuirli a seconda del loro merito e risultati ottenuti. Il risultato finale sarebbe la fine del devastante monopolio (come tutti i monopoli) dell'istruzione da parte dello Stato. Finalmente tornerebbe il pluralismo anche nella scuola, e quindi alla varietà dei programmi, della didattica, della creatività, del merito. Ciò implicherebbe una sana situazione di competitività fra le varie scuole. Sana in quanto la nobile origine della parola Competizione sta nella sua etimologia : Cum-petere, ovvero cercare insieme, in modo competitivo ma ben regolato, la soluzione più giusta e ambita. L'esempio ci viene dato dalla ricerca scientifica che avanza inesorabilmente attraverso questa sanissima competizione. La scuola si potrebbe dunque finalmente liberare da tutti gli infiniti lacci imposti dal governo, dal ministero, dai partiti, dal sindacato e tornerebbe a essere finalmente libera. E lo Stato potrebbe tornare a svolgere il ben più nobile ruolo di garantire il diritto allo studio a chi ne ha davvero bisogno., aumentando quindi la libertà più preziosa di tutte : la libertà di opportunità 8o ascensore sociale, se preferite). Un altra ragguardevole conseguenza sarebbe poi l'abolizione degli inutili Ordini Professionali. Infatti per esercitare una qualsiasi professione non sarebbe più necessaria l'iscrizione , ora obbligatoria, a un ordine o corporazione, ma solo la certificazione di aver superato l'esame di Stato e gli ordini professionali diverrebbero semplicemente una libera associazione volontaria. Potrebbe sorgere il più che giustificato dubbio sul perché una riforma del tipo che ho appena accennato non sia stata sia pur parzialmente attuata, visti gli enormi benefici che porterebbe alla qualità delle nostre risorse umane, fondamentali per migliorare la qualità della vita del nostro paese. Per due motivi fondamentali : primo perché i risultati si vedrebbero solo a medio/lungo termine e questo è sciaguratamente inaccettabile per chi ci governa. Secondo perché il controllo monopolistico della cultura è uno dei più importanti strumenti per il controllo delle masse e quindi del voto. Lo insegnò Antonio Gramsci circa un secolo fa. Da qui derivò, ad esempio, la nomina a ministro della cultura nella scorsa legislatura di una signora dichiaratasi laureata pur non essendolo e con una lunga carriera sindacale (CGIL) alle spalle. Se qualcuno di voi dovesse subire un trapianto di cuore, vi rivolgereste a un infermiere (per bravo che sia) o al primario di cardiologia del vostro ospedale di fiducia? Ecco, in estrema sintesi, la differenza fra la tipologia di istruzione che ho in mente io e quella che deriva dalla gestione politica e monopolistica dello Stato e dei partiti. Perdonatemi la lunghezza dell'articolo, ma l'argomento è per me della massima rilevanza.
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6 anniHo visto ora il tuo articolo sull'istruzione mi era sfuggito. Senza sapere, oggi ho parlato di istruzione e laurea/diploma, ma guarda un po'! Ci vorrebbe una rivoluzione scolastica, un dibattito aperto tra industria e scuola hai detto bene, già raccogliere i dati di richieste dalle aziende, sarebbe un modo per indirizzare gli studenti in certi contesti lavorativi disponibili. Questo ridurrebbe sicuramente la disoccupazione.
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6 anniNotevole condensato