Connettere il discontinuo giocando ai margini
I giapponesi lo chiamano go, in Corea è baduk, ma nella cultura cinese è conosciuto come wei-ch'i.
Il wei-ch'i o go o baduk è un gioco da tavolo composto da 180 pezzi. La sua filosofia ha una storia millenaria che le cronache ufficiali la datano dal X secolo a. C., quando venne registrata la prima partita.
Tattica e strategia sono le chiavi del wei-ch'i, dove i giocatori perseguono obiettivi multipli in contemporanea. Tempo, spazio e posta in gioco sono i pilastri del wei ch'i. Ma non esiste ciò che nel chess game è chiamato “scacco matto”. La vittoria si coglie attraverso vantaggi marginali, piccoli movimenti e altrettanto piccoli e impercettibili, cambiamenti di strategia che occhi non allenati tarderebbero a cogliere.
Accerchiare la complessità
Il wei-ch'i è un gioco di accerchiamento strategico. Tante vittorie tattiche possono non portare a una vittoria strategica. Al tempo stesso, tante sconfitte locali non pregiudicano una vittoria globale. La logica del wei ch'i è altamente complessa, perché prevede tattiche e strategie non lineari.
Henry Kissinger, a più riprese, ha ricordato come il gioco intellettuale principe dell’Occidente siano gli scacchi. Ma gli scacchi si basano su un aut aut: o vinci o perdi. I pezzi, negli scacchi, sono sempre davanti al giocatore che può calcolare in modo predittivo il rischio. Mentre nella via wei-ch'i (Kissinger ha parlato di «the Go way») il rischio è, al contempo, sfida. La sfida è inevitabilmente rischio.
L’avversario, infatti, può sempre introdurre nuovi pezzi sulla scacchiera. La sua agilità sta nella capacità di dominare forze – proprie e altrui – sempre soggette a repentino mutamento. È questa visione complessa del cambiamento a fare del wei-ch'i uno schema di leadership capace di orientare presente e futuro delle relazioni strategiche e delle negoziazioni.
La tattica è il ritmo della strategia
Quanto a stuttura il wei ch'i è un modello differito: vittoria e sconfitta sono solo eventuali e la perdita di territori o pedine non è mai senza rimedio. La teoria dei giochi parlerebbe di uno schema win-win. Sbagliando.
Già negli anni Trenta uno dei suoi primi osservatori occidentali, Edward Lasker, spiegava perché il wei ch'i o go rappresentasse da oltre tre millenni la base del pensiero strategico orientale e possa inserirsi a pieno diritto nel pensiero che orienta l'azione dei moderni decisori globali.
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All'antagonismo degli schemi strategici occidentali, schierati su due blocchi e su due fronti, il wei-ch'i risponde con uno schema non lineare, dove la prevenzione strategica di ogni conflitto senza via d'uscita è sempre preferibile alla tattica della costruzione di vicoli ciechi la cui unica risoluzione strategica diviene il conflitto.
Guerra "a mosaico"
In altri termini, il wei-ch'i è un gioco di lunga durata, in cui l'aspetto strategico prevale su ogni logica aggressiva. Applicato alla strategia bellica, la sua modellizzazione - osserva Borman ne Gli scacchi di Mao.Il wei-ch'i e la strategia rivoluzionaria cinese - dà vita a una di guerra a mosaico dove gli stessi concetti di "vittoria" e "sconfitta" subiscono un ribaltamento, poiché il sacrificio di pedine e la ritirata sono parte integrante dell'offensiva. Ecco perché il gioco sulla periferia della scacchiera è strategicamente cruciale.
Lo spirito del wei-ch'i, spiega infine Lasker, è la capacità di connettere il discontinuo e i concentrare ciò che è disperso, condensando in ogni piccolo gesto la forza di un grande cambiamento.
Riferimenti
Boorman, S. E., Gli scacchi di Mao. Il wei-ch'i e la strategia rivoluzionaria cinese, Rimini, 1973;
Lasker, E., Go and Go-moku, New York, 1934;
Johnson, K., “What kind of play is China playing?”, The Wall Street Journal, 11 giugno 2011;
Kissinger, H., On China, New York, 2011.