To play a game
Un po' di pazienza, perché questa è una premessa
Le regole del gioco: ecco il tema delle prossime Giornate di Bertinoro per l'Economia civile (11-12 ottobre prossimi). Un tema che riporta alla mente la decisiva distinzione che i giuristi (Amedeo G. Conte su tutti) amavano ripetere: quella tra regole costitutive e regole regolative. La distinzione è fondamentale perché interviene tra regole che costituiscono un gioco o generano una pratica e regole che a quel gioco si applicano ma che rispondono alla struttura di un gioco (o di una pratica) già istituita. Sbagliarsi su queste regole significa compromettere ogni efficacia strutturale dell'agire sociale.
Cercare di cambiare le regole di un gioco senza intervenire sulle regole costitutive o smorzando la portata innovativa delle regole regolative porta a un agire che autosabota la propria efficacia fino al punto da compromettere l'agency di un'organizzazione. Nella sua accezione più semplice, l'agency è infatti la capacità di compiere scelte e azioni che hanno un impatto sul sistema di gioco.
Come ritrovare, dunque, l'agency perduta?
Il gioco è la ricerca di un nesso fra l’originalità soggettiva e l’accettazione di una regolaIl gioco è la ricerca di un nesso fra l’originalità soggettiva e l’accettazione di una regola - Bruno Munari
Soffermiamoci sulla questione, una delle tante aperte dal concept note degli organizzatori della XXIV edizione delle Giornate di Bertinoro ( Paolo Venturi Rossella De Nunzio ) Nelle prossime settimane, questa piccola newsletter - spazio marginale, spero libero, di riflessione - si concentrerà su questi ragionamenti e se ne farà provocare. Iniziamo.
To play a game
Per definire il gioco, nelle sue differenti manifestazioni, la lingua inglese dispone di due termini di base: play e game. Per l’atto del giocare, caduto ormai in disuso to game usato talvolta ma nel senso di scommettere, puntare o come sinonimo di to gamble, giocare d’azzardo, l’inglese ha però una forma prevalente in playing, dal verbo to play.
I due termini play e game disegnano un’alternativa non presente nell’italiano “gioco” ma che risuona tanto nel francese jeu quanto nel tedesco Spiel, il cui ventaglio semantico oscilla continuamentetra game e play e si spinge a includere oltre al gioco e al gioco d’azzardo anche l’interpretazione, la rappresentazione e l’opera teatrale (Schauspiel) o musicale.
La compresenza di due termini come play e game che ruotano attorno a uno stesso nucleo concettuale dovrebbe in apparenza rendere più semplice il tentativo di perimetrare i confini di ciò che è gioco (la struttura), distinguendolo da ciò che gioco non è.
In particolare, la definizione di play ha dato luogo a numerosi tentativi di rendere meno oscura una anfibologia che inevitabilmente forza il contesto ludico arrestandosi su una soglia che non può oltrepassare, pena il cadere nel non-gioco.
Play, the game and the generalizate other
La differenza, concettuale e non solo terminologica fra play e game venne posta a partire dai primi anni del Novecento, nei suoi corsi di psicologia sociale all’Università di Chicago, da George Herbert Mead esponente, con John Dewey, Charles S. Peirce e William James, del pragmatismo americano.
Nella terza parte di Mind, self and society, in un paragrafo significativamente titolato “Play, the game and the generalizate other”, trattando delle fasi di sviluppo del bambino George H. Mead distingue il gioco semplice, play, da quello organizzato, game. Il bambino, in una prima fase, gioca in solitudine (play) o con compagni immaginari, assumendo un solo ruolo: il suo. In una seconda fase, attraverso il giocostrutturato e organizzato (game) il bambino interiorizza una realtà sociale, toccando quell’unità che secondo Mead regola i modi di agire dei soggetti e che definisce nei termini di “altro generalizzato”(the generalizated other).
Il bambino infine «assume l’atteggiamento dell’altro» e lascia che l’atteggiamento dell’altro attraverso il gioco (game) determini il suo comportamento, orientandolo «in riferimento ad un fine comune da raggiungere (rappresentato dal gioco stesso), e diventa così un membro organico della società». Se c’è un radicamente comunitario del gioco è proprio a questo livello che si situa.
Il significato originario del verbo “giocare”, nota d’altronde Hans-Georg Gadamer, è quello mediale: nel gioco non si esperisce una relazione del sé o dell’altro da sé, quanto un’esperienza altra della relazione con l’altro e con sé e, in questo senso, con il linguaggio, il mondo e le loro eccedenze simboliche e di senso.
Scelte di campo
La distinzione tra play e game è stata riportata al centro del dibattito dall’importante lavoro pubblicato nel 1944 da Oskar Morgenstern e John Von Neumann.
In Theory of Games and Economic Behavior – testo chiave, fondatore della teoria dei giochi a tutt’oggi tenuta in massima considerazione nei campi dell’economia e della politica – gli autori distinguono tra il concetto astratto di game (il gioco) e quello individuale di play (giocare quel gioco).
Per loro «“game” is simply the totality of the rules which describe it. Every particular instance at which the game is played – in a particular way – from beginning to end, is a “play”» (O. Morgenstern– J. von Neumann, Theory of Games and Economic Behavior, Princeton, Princeton University Press, 19533, p. 49).
L’azione di gioco (play) del singolo che opera una scelta (choise) in base a mosse possibili (moves) viene così circoscritta all’interno di un ambiente “ludico” definito dalle regole (rules) del gioco (game):
A move is the occasion of a choice between various alternatives, to be made either by one of the players, or by some device subject to chance, under conditions precisely prescribed by the rules of the game. (…) The specificalternative chosen in a concrete instance – i.e. in a concrete “play” – is the “choise”. Thus the moves are related tothe choices in the same way as the play of a sequence of choices.
La traduzione è un’ottima cartina di tornasole per comprendere questa ambiguità, poiché anziché risolverla o ridurne la complessità, la raddoppia rinchiudendola in una sola parola, “gioco”:
Una mossa è l'occasione di una scelta tra varie alternative che deve essere fatta da uno dei giocatori o attraverso un accorgimento che sottostà al caso, sotto le condizioni esattamente prescritte dalle regole del gioco (game). La mossa non è altro se non questa astratta occasione. [...]. La specifica alternativa scelta in una situazione concreta, per esempio inun concreto giocare (play) è la scelta. Così le mosse sono correlate alle scelte nello stesso modo in cui il gioco(game) lo è al giocare (play). Il gioco (game) consiste in una sequenza di mosse e il giocare (play) in una sequenza di scelte».
Il giocare (play) diviene così l’attualizzazione concreta, ad opera di un giocatore (player), di un gioco (game) astratto composto da regole. Questo sposta l’accento sul concetto di regola (rule): game ècosì il gioco definito da regole all’interno del quale si muove il gioco (play) che sta a quelle regole.
La lingua in gioco
La distinzione fra play e game posta e proposta da Morgenstern e von Neumann sembra speculare a quella fra langue et parole avanzata da Ferdinand de Saussure nel suo Cours de linguistique générale.
Nella dicotomia di Saussure, convergono e si sovrappongono numerose distinzioni, come quella fra atto e potenza, sistema e struttura, sociale e individuale,codice e messaggio e, da ultimo, anche tra game e play. Per il linguista svizzero langue è il sistemagrammaticale e lessicale virtualmente inscritto in ogni uomo, la parole rende concreta la virtualità della langue. Se la langue è «il prodotto che il soggetto registra passivamente», la parole è un «atto individuale di volontà e di intelligenza».
Per Saussure, la langue è una convenzione sociale, appartiene più alla società che all’individuo e l’individuo deve en connaître le jeu per poterla “giocare” come atto individuale nella parola. Questo porta Saussure a paragonare la langue al gioco degli scacchi. Come il gioco degli scacchi, la langue ha le sue regole, indipendentemente dalla natura e dalmateriale di cui si compongono i pezzi sullo scacchiere. Poco importa, per il game, se quei pezzi sono dilegno, avorio o plastica. Conta però che il numero dei pezzi rimanga lo stesso e che la grammaire du jeu sia fissata da regole.
«Questo è un gioco»
Ma c’è un altro livello di ambiguità, tra game e play, tanto più radicale quanto più ci si addentra nella comprensione di quello che è un paradosso costitutivo del gioco: il suo essere strutturalmente e, di conseguenza, anche terminologicamente inafferrabile.
Il gioco e la creazione del gioco debbono essere visti come un unico fenomeno e anzi, dal punto di vista soggettivo, è plausibile dire che la sequenza può essere veramente giocata solo finché conserva qualche elemento creativo e inatteso. Se la sequenza è del tutto nota, essa è rituale, benché forse sempre formativa del carattere - Gregory Bateson
Il play appare qui come una messa in discussione continua, costante del game: un giocare con regole che premono per mettere in discussione quelle regole.
Decisiva, in tal senso, è la riflessione a cavallo fra linguistica, antropologia e psichatria di Gregory Bateson che spinge fino al limite la contiguità paradossale tra game e play.
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Il gioco è possibile solo dove è possibile una “metacomunicazione”, ossia lo scambio di messaggi che rechino l’informazione «Questo è un gioco».
Due scimmie – come quelle osservate da Bateson nel gennaio del 1952, allo zoo Fleischhacker di San Francisco – che interagiscono come se stessero combattendo, ma senza combattere realmente, che cosa stanno facendo... se non giocando? La metacomunicazione che quello che stanno facendo è “solo un gioco” e si devono comportare “come se” diventa cruciale per non innescare un conflitto mortale nato dal malinteso su regole e gioco.
Bateson pone l’accento sul metalinguaggio, ossia su quel linguaggio designato a discutere sul gioco (game), circoscrivendolo.
Quando parliamo, osserva Bateson, usiamo un linguaggio e un metalinguaggio combinati, ed è in questo caso che le finalità si intersecano e entra in “gioco” il play. L’ambiguità è nuovamente spostata sul concetto di finalità che costituisce un altro degli snodi concettuali critici della riflessione sul gioco.
Se il game è il gioco nella fissità dei ruoli e nella rigidità delle sue regole, il play per Bateson è gioco che mette in questione (e, di conseguenza, pone letteralmente in gioco) quei ruoli e quelle regole.
È un continuo ridefinire il quadro e la cornice – le metaregole – preposte alla definizione del gioco-game e, in questo senso, l’ambiguità del gioco-play non può che essere costitutiva e non unicamente regolativa del gioco. Dunque l’ambiguità terminologica e lessicale, letta nella prospettiva indicata da Bateson, si mostra una spia o un indizio della paradossalità profonda del gioco.
It's time to play the game
Proviamo infine a considerare questa situazione: due persone stanno giocando a canasta, e giocano fino alle quattro del pomeriggio. Alle quatto smettono di giocare [play] e cominciano a discutere delle regole del gioco [game]. Dopo aver concordato di introdurre una modifica nel gioco, alle quattro e mezza ricominciano a giocare con nuove regole. La loro discussione sulle regole, dalle quattro alle quattro e mezza, viene condotta in un linguaggio diverso. è un metalinguaggio se confrontato col linguaggio all’interno del game della canasta».
La separazione non sarebbe possibile negli organismi senza linguaggio verbale e tra esseri umani che verbalizzano in modo imperfetto. Ma generalmente, questa sospensione e separazione tra linguaggio e metalinguaggio non avviene. La natura del gioco [game] forza a proseguire il gioco stesso [play]. Linguaggio e metalinguaggio si compenetrano, in «un unico processo in fieri». È qui che la finalità diventa ambigua e la domanda “perché si gioca?” comincia a debordare da ogni lato.
Il gioco diventa pertanto un continuo salto tra livelli: è game e play allo stesso tempo. È play “del”(non solo “nel” quadro di riferimento individuato dal) game. E per un essere vivente che gioca a un “game” diventa «inevitabile inventare – o cadere in – qualcosa che chiamiamo play». Pena la caduta fuori dal gioco, in qualcosa che gioco non è.
(continua la settimana prossima, con riflessioni meno tediose)
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5 mesiAmedeo G. Conte, lovvo!
Ufficio stampa e comunicazione presso AICCON e The FundRaising School
5 mesiPronti a cambiare insieme le regole del gioco! Grazie Marco per questa riflessione 😉