Copyright | Facciamo luce sulla direttiva UE
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Copyright | Facciamo luce sulla direttiva UE

Il 26 marzo scorso è stata approvata dal Parlamento europeo nuova direttiva UE legata al tema dei diritti d’autore contro il parere degli esperti di settore, nonostante le proteste di Wikipedia e una petizione firmata da oltre 5 milioni di utenti su change.org


Cosa contiene la nuova direttiva?

La direttiva getta le basi per una futura regolamentazione europea in tema di uso, diffusione e proprietà di contenuti digitali e costituisce una linea programmatica che, nei prossimi due anni, servirà agli Stati europei per adeguare le proprie leggi.

Sinteticamente: l’UE si sta muovendo per regolamentare l’uso improprio di contenuti come immagini, audiovisivi, audio e testi che, dall’avvento di Internet fino ad oggi, sono stati manipolati dagli utenti del web con molta libertà, favoriti dall’ambiente digitale che consente una facile di trasmissione delle informazioni e che ha reso estremamente difficile tutelare il diritto d’autore.

Nello specifico, la direttiva pone l’accento su alcuni temi principali: il mondo della ricerca non a scopo di lucro, il settore editoriale dei giornali e delle riviste, gli audiovisivi, la musica e quella che potremmo definire superficialmente la categoria dei grandi social network e dei siti Internet.

Prima di proseguire facciamo un rapido excursus sul diritto d’autore.


La tutela dei diritti d’autore prima e dopo Internet

Prima di Internet, quando i supporti alle opere autoriali erano ancora prevalentemente – se non esclusivamente – di natura fisica (libri, dischi in vinile, videocassette, quadri, rullini fotografici, fumetti…), la tutela dei diritti era cosa ben meno complessa da mettere in pratica. Il controllo sul supporto che veicolava il contenuto era più stretto.

Oggi un contenuto digitale possiede un supporto impalpabile: la maggior parte di noi neppure ne ha consapevolezza, ma lo vediamo nei pixel di un’immagine, lo leggiamo nei caratteri di un font o lo sentiamo nel campionamento audio di una traccia mp3. Tutti questi contenuti hanno una cosa in comune: sono stati realizzati una volta soltanto ma possono essere istantaneamente riprodotti e duplicati uguali a se stessi – e all’infinito – per essere condivisi ovunque in qualsiasi momento. E mentre un tempo la riproduzione era regolamentata da patti più o meno chiari fra autori e distributori, oggi questi patti vengono meno, perché le barriere d’accesso ai contenuti sono diminuite drasticamente e la velocità di un clic ci rende tutti più propensi a ignorarle, anche quando legalmente non potremmo.

Concretamente questo significa che per gli autori dei contenuti è molto più difficile sapere cosa viene fatto con il frutto del loro lavoro e di conseguenza è molto probabile che non possano trarne un legittimo vantaggio.

Comunque è bene ricordare che leggi nazionali e internazionali sul diritto d’autore (come nei casi analoghi ma diversi dei brevetti e della tutela dei marchi) esistono già e le tutele si possono mettere in atto. Semplicemente Internet lo ha reso estremamente difficile e al costo di un grande dispendio di tempo e energie; da qui la necessità di prendere provvedimenti più adeguati e funzionali.


Da dove nasce il dibattito?

Il dibattito si è concentrato soprattutto sull’attuale articolo 17 (ex articolo 13 nella passata versione poi emendata) e sugli upload filter che descrive. Nel suddetto articolo è stato visto un possibile attacco alla libertà di espressione poiché attua un meccanismo di censura. Lukas Mezger, un giurista esperto di copyright membro del board di Wikimedia Deutschland e attivo nella realtà di Wikipedia ha affermato che:

“Da avvocato faccio attenzione a usare il termine censura, però questo significa avere qualcuno che controlli che un contenuto, prima che venga pubblicato, non violi una legge o gli interessi di un terzo. Gli upload filter, in un certo senso, fanno la stessa cosa.”

Ecco come il punto 1 dell’articolo 17 (ex articolo 13) presenta gli upload filter:

“I prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno pubblico accesso a grandi quantità di opere o altro materiale caricati dagli utenti adottano, in collaborazione con i titolari dei diritti, misure miranti a garantire il funzionamento degli accordi con essi conclusi per l’uso delle loro opere o altro materiale ovvero volte ad impedire che talune opere o altro materiale identificati dai titolari dei diritti mediante la collaborazione con gli stessi prestatori siano messi a disposizione sui loro servizi. Tali misure, quali l’uso di tecnologie efficaci per il riconoscimento dei contenuti, sono adeguate e proporzionate. I prestatori di servizi forniscono ai titolari dei diritti informazioni adeguate sul funzionamento e l’attivazione delle misure e, se del caso, riferiscono adeguatamente sul riconoscimento e l’utilizzo delle opere e altro materiale.”

In sostanza: le piattaforme online che ospitano contenuti caricati dagli utenti ne sono responsabili e devono verificare adeguatamente che non ne vengano infranti i diritti d’uso, mediante tecnologie che consentono di individuare il materiale da bloccare.

Questo articolo mette sul tavolo della discussione temi molto importanti e delicati. Da un lato è giusto e legittimo che gli autori di contenuti possano essere tutelati e retribuiti per il frutto del loro lavoro; dall’altro questo sistema mette a rischio la libera espressione e genera delle aree grigie relativamente ad eccezioni e casistiche di usi che difficilmente potranno essere valutate efficacemente da un software automatizzato che dovrà giudicare decine di migliaia di scenari (giusto per citare alcuni esempi: casi di satira e di parodia).

È legittimo chiedersi chi pagherà il ‘prezzo’ di un filtraggio tanto massiccio: le aziende responsabili delle verifiche vorranno investire nelle risorse necessarie per consentire a tutti di esprimersi liberamente nei limiti della legalità, usando un setaccio moderatamente largo, o preferiranno delle maglie finissime e rigide per evitare a tutti i costi le ripercussioni legali indesiderate?

Chi avrà soldi e mezzi potrà continuare a disporre dei contenuti in maniera più libera, ma tutti gli altri fino a che punto vedranno ridotta la propria libertà di condivisione? Per gli amanti del genere, una domanda umoristica ma non troppo: quanti meme morirebbero sotto questa mannaia?

Uno dei nodi fondamentali della questione, sia sul piano etico, ma non di meno su quello pratico, è un mero fatto di numeri e di tempo. Ci sono troppi contenuti (per fartene un’idea ti invito a leggere i requisiti necessari per il sussistere dei diritti d’autore), troppi autori e troppe persone disinformate che mettono in circolo questo materiale online affinché la tecnologia ci fornisca un metodo adeguato e efficace per garantire pieni diritti a tutti quanti.


Cosa significa concretamente?

Facciamo un esempio pratico: Facebook dovrà garantire che sulla piattaforma verrà bloccato qualsiasi tipo di contenuto protetto da diritto d’autore senza previo accordo fra l’azienda e il proprietario dei contenuti. Questo comporterebbe una infrastruttura di filtro estremamente costosa e avanzata tecnologicamente, per poter verificare l’idoneità di ogni singola immagine, video o stralcio di testo pubblicato dagli utenti.

Se consideriamo che negli ultimi tre mesi del 2018 Facebook contava più di 2 miliardi di utenti attivi ogni giorno, ipotizzando un solo contenuto giornaliero a persona, senza considerare le Pagine e i Gruppi, sarebbe un numero enorme che richiederebbe ingenti risorse computazionali, giganteschi ed esaustivi database di raffronto sempre aggiornati e centinaia di addetti alla gestione dei reclami e dei ricorsi. Insomma, l’upload di ogni singolo contenuto potrebbe diventare come la fila alle poste.

Tutto questo va applicato anche alle altre grandi piattaforme social, ai siti Internet minori e a tutte quelle realtà online che distribuiscono contenuti.

Non tutti saranno in grado di pagare e/o sostenere un sistema di controllo tanto stringente: probabilmente tante piccole realtà online usciranno di scena con svantaggio anche per tutti i fruitori.

Prendendo atto della faticosa e lentissima soluzione dei problemi legati al controllo delle fake news, del cyber bullismo e della violenza verbale e ideologica online, la tutela dei diritti d’autore sembra ancora di più una causa persa per mere questioni pratiche. Probabilmente questo tema suscita l’interesse delle grandi aziende più di quanto non facciano gli altri citati, ma il limite pratico lo rende comunque eufemisticamente ‘difficile da gestire’.


Cosa cambierà davvero?

Finché gli Stati europei non adotteranno leggi in linea con la direttiva sarà difficile valutare le conseguenze reali sul destino della condivisione dei contenuti online.

La direttiva presenta alcuni passaggi abbastanza vaghi, soprattutto nelle misure in cui viene descritto cosa si dovrà fare per adeguarsi ai cambiamenti concordati ma per i quali non è definito il modo in cui si dovrà attuare. Le leggi dei singoli Stati potrebbero generare casi di ambiguità legale e i risultati effettivi dell’intera manovra potrebbero risultare poco fruttuosi sia per gli autori sia per i soggetti che vorranno fare uso dei loro contenuti sulle proprie piattaforme.


Font: un caso emblematico per riflettere

Il caso esemplare dei font, i caratteri tipografici digitali, la dice lunga sulla tutela del lavoro creativo e sulla sua distribuzione.

I font sono file che definiscono l’aspetto estetico di un testo. Li usano tutti, da Microsoft Word fino ai software di grafica più sofisticati. I font sono realizzati da designer e sono protetti da diritti per i quali in molti casi (non stiamo parlando dei font di sistema che tutti conoscono, come il Times New Roman) è necessario pagare una licenza al fine di poterli installare e usare.

Chi opera nel settore creativo sa perfettamente che la pirateria è una costante alla quale è difficile porre rimedio in maniera definitiva.

I font sul mercato sono troppi e gli utenti vorrebbero poter testare l’efficacia di questi caratteri all’interno dei loro progetti grafici, prima di investire nel loro acquisto, ma quasi sempre non è possibile e da qui, come da altri intenti meno nobili (perché c’è anche chi semplicemente non vuole pagare per un servizio offerto), nasce il proliferare di un file illegale.

“Il mondo corre a una velocità tale da impedirci di fermarci per verificare che tutti rispettino le regole”


Conclusioni

Le forme di tutela perseguibili ad oggi si sono dimostrate deboli rispetto alla mole di contenuti digitali disponibili online. Se in circa venti anni dalla nascita di Internet non è stato possibile tutelare neanche un prodotto particolare come il ‘font’, riusciremo davvero a proteggere i file ‘pop’ di uso quotidiano come immagini, musica e documenti?


Fonti: Wired | Wired | Wired | ilPost | ilPost | ilSole24Ore | Commissione Europea | Commissione Europea

(Dati su Facebook presi da App Annie )

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