Libera conoscenza e Copyright: come cambia la rete a 50 anni di età

Libera conoscenza e Copyright: come cambia la rete a 50 anni di età

In tutte le prime lezioni dei corsi che tengo, anche un piccolo cenno sul MOTIVO per cui Internet sia nato, mi piace darlo.

50 anni fa, in piena Guerra Fredda, l'allora Presidente e Generale Eisenhower incaricò DARPA (da qui Arpanet), agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, di creare una tecnologia in grado di decentralizzare l'informazione su più nodi. Di rendere indipendente il messaggio dal supporto.

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Questa rete di computer doveva assicurare che dati e informazioni fossero preservati in modalità diffusa, anche in caso di conflitto. In una parola CONDIVISI.

Oggi, che la condivisione ha creato, arricchito, consolidato - oppure distrutto - persone e aziende, la nuova direttiva sul copyright dell'Unione Europea ci porta a riflettere su cosa e quanto sia giusto poter liberamente sharare.

Partiamo da un concetto: a mio modesto parere, è naturale che di pari passo alla libera circolazione dell'informazione, vada tutelato anche il diritto d'autore. Ovvero il diritto di percepire un compenso equo da parte di quei soggetti e realtà economiche che fondano la loro sostenibilità sugli sforzi intellettuali prodotti. E questo sia che si parli di una redazione giornalistica, di una casa di produzione musicale o cinematografica. Oppure, più in piccolo, un blog di cucina.

Cosa prevede la Direttiva UE sul copyright 

In sostanza la nuova norma (al voto in Parlamento oggi, 26 Marzo 2019) nasce con un obiettivo molto delicato, e solo apparentemente semplice. Ovvero garantire - da un lato - la stessa facilità di accesso all'informazione attuale, lato utenti. Dall'altro ribilanciare la responsabilità dalle piattaforme, qualora su di esse siano pubblicati contenuti di terze parti. Un classico esempio: le notizie indicizzate da Google News, che riportano frammenti di contenuto ("snippet") di altri media all'interno della loro piattaforma, ovviamente permettendo a Big G di profilare gli utenti e giovare degli introiti promozionali agganciati a quel tipo di contenuto. Stesso scenario per Facebook e YouTube, anche loro alle prese con il rilascio di nuovi algoritmi per automatizzare l'identificazione - stoppandoli sul nascere - di contenuti coperti da copyright pubblicati dagli utenti.

Le contromisure delle Aziende Tech

In un articolo di oggi, il Corriere della Sera cita un esempio interessante di come i colossi si stiano già attrezzando a livello tecnologico per proteggere i contenuti oggetto di diritto d'autore, direttamente alla fonte. 

L'esperimento da fare (provato in prima persona) è questo: aprite una serie qualunque su Netflix dallo smartphone o tablet. Cliccate play, e provate a scattare uno screenshot, per poi inviarlo via Messenger o condividerlo sui social. Il risultato? Soltanto una schermata nera! 

Questo è solo l'inizio di un processo che potrà portare al cambiamento di gesti ed automatismi assodati in anni di fruizione della rete. Come - per le aziende - ad un ripensamento delle dinamiche di indicizzazione dei loro contenuti, in un orientamento sempre maggiormente volto alla ricerca di qualità ed originalità.

E mentre il movimento Wikimedia incentiva i propri lettori a manifestare il dissenso (sugli articoli 11 e 13) contattando gli eurodeputati, nel mondo social si vocifera in un prossimo futuro di una nuova versione di Facebook. Sarà sempre più integrata con le restanti piattaforme di proprietà (Instagram, Messenger, Whatsapp), più chiusa in termini di privacy, e dotata di contenuti proprietari. Quest'ultimo aspetto con il chiaro obiettivo di rilanciare la qualità dei contenuti del feed, e di conseguenza rinverdire il percepito del brand.

Sara Caramaschi

Postdoctoral Researcher in Urban Studies

5 anni

Ottimo articolo e giusto punto di vista su una questione spinosa che da tempo cerca soluzioni. Bravo!

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