In cosa investono i super-ricchi?

In cosa investono i super-ricchi?

L’acronimo inglese non è dei più accattivanti: UHNWI. Gli Ultra-High Net Worth Individual sono i 580 mila super-ricchi del pianeta (9000 in Italia) che dispongono di un patrimonio di almeno 30 milioni di dollari. Tra questi, secondo Forbes, i miliardari sono 2640. Tra i primi della classe, i soliti noti: Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison, Warren Buffet, ma anche Bill Gates, Sergey Brin, Larry Page, Steve Balmer, Mark Zuckerberg. Salta all’occhio che la metà di questi signori è diventata ricca, ricchissima grazie a Internet, e che per la quasi totalità hanno passaporto americano.   

Ma come investono i super-ricchi? Perché, diciamoci la verità, navigare la volatilità dei mercati sull’onda delle azioni preferite dai Paperoni a stelle e strisce è una prospettiva intrigante. Gli Americani, dal 1975, hanno questa possibilità grazie al modulo 13F, un documento che viene presentato trimestralmente all’autorità di Borsa americana, la SEC, dai gestori di investimenti istituzionali con almeno 100 milioni di dollari di asset in gestione e riepiloga le partecipazioni detenute dai maggiori investitori della nazione.  

Insomma, replicare le strategie delle rockstar del money management e dei miliardari si può: i piccoli investitori possono cioè usare queste ed altre informazioni, come per esempio la rendicontazione degli investimenti dei membri del Congresso, per determinare cosa sta facendo il "denaro intelligente" sul mercato.

Uno strumento che doveva incentivare, nelle intenzioni del Congresso, la fiducia in Wall Street dei piccoli investitori, nel tempo, ha però perso di credibilità ed efficacia. Per esempio, veniva scrupolosamente compilato da un tipino a modo come Bernie  Madoff mentre gestiva con successo una truffa da 18 miliardi di dollari.

I dati inseriti, dicono i critici,  non sono affidabili, la rilevazione è troppo vecchia in un mercato che cambia alla velocità della luce e poi i money manager tendono a copiarsi l’un con l’altro, col risultato che le azioni di una società possono salire o scendere senza una correlazione con la sua effettiva solidità. La SEC, va detto, sta intervenendo con una certa energia per restituire alla rendicontazione dei grandi investitori di Wall Street un maggior grado di trasparenza.

Per capirne di più, la società di ricerca Knight Frank ha intervistato oltre 500 banchieri privati, consulenti patrimoniali e family office che rappresentano un patrimonio complessivo di oltre 2,5 trilioni di dollari.

Il 26% dei portafogli di investimento delle persone più ricche del mondo si concentra sui titoli azionari e in America questa percentuale raggiunge un terzo. Nel 2022, Warren Buffett, per esempio, ha investito in azioni la cifra record di 68 miliardi di dollari.

Un altro 34% del portafoglio dei super-ricchi è investito nel mattone: il 21% direttamente in immobili commerciali, il 13% attraverso fondi comuni di investimento immobiliare (REIT).

Le obbligazioni, a loro volta, rappresentano il 17% del portafoglio medio di un UHNWI.

Un altro 9% del portafoglio dei Paperoni americani viene allocato come private equity in aziende che non sono ancora quotate in borsa, o sotto forma di venture capital, in aziende più rischiose, ma con un elevato potenziale di crescita. Prendete un tizio come Peter Thiel: fu il primo angel investor di Facebook nel 2004 e i suoi 500.000 dollari iniziali si trasformarono in 638 milioni di dollari quando la società venne quotata in borsa otto anni dopo.

Il 5% del portafoglio medio viene dedicato ai cosiddetti “passion investments”: arte, vini, orologi, auto d’epoca, borsette.  Nel 2017, il "Salvator Mundi" di Leonardo da Vinci è diventato, con 450,3 milioni di dollari, il dipinto più costoso mai venduto, ma l’hedge fund manager Steven Cohen, che è anche il proprietario dei New York Mets, ha investito più di 1 miliardo di dollari in arte moderna, incluse le opere di Jeff Koons, Picasso e Andy Warhol.

L’oro rappresenta il 3% degli investimenti dei super-ricchi. Che si apprezza durante i rallentamenti economici e le crisi internazionali, dalla Grande Depressione al COVID-19. Ultimo esempio in ordine di tempo? L’aumento di quasi cinque volte della domanda di lingotti d'oro dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Un altro 2% del portafoglio è costituito dalle criptovalute: nel rapporto dello scorso anno, Knight Frank aveva rilevato che il 18% degli UHNWI possedeva un qualche tipo di criptovaluta, anche se molti hanno cambiato idea dopo la drammatica implosione, lo scorso novembre, di FTX, la più grande piattaforma di scambio di valute digitali.

Torniamo ai nostri miliardari e ai loro investimenti in titoli azionari. Molti detengono quote di controllo nelle aziende cui hanno dato vita. Elon Musk, per esempio, investe quasi esclusivamente nelle sue imprese: SpaceX, Neuralink, The Boring Company e Tesla, di cui possiede azioni per 84 miliardi di dollari e questo dopo averne vendute un bel po' per comprare Twitter, ribattezzata X.

Jeff Bezos detiene il 10% di Amazon, che capitalizza in Borsa 1,4 triliardi di dollari, Larry Ellison ha la maggior parte della sua fortuna investita in Oracle, mentre Warren Buffet controlla Berkshire Hathaway.

Di lui, il leggendario oracolo di Omaha, l’erede di Benjam Graham, il pioniere che inventò il value investing negli anni ‘20, un approccio che punta sull’acquisto di azioni con un prezzo inferiore al loro valore intrinseco, è stato detto tutto. Dal 1965 la sua società produce un ritorno del 20% all’anno, quasi il doppio dello S&P500.

Altri miliardari come Bill Gates sono andati in pensione e hanno ceduto le redini delle loro aziende, dando vita ad una fondazione. Nel portafoglio della Bill & Melinda Gates la partecipazione più importante, dopo quella in Microsoft, vale circa 9 miliardi di dollari in azioni della Berkshire Hathaway di Warren Buffet. Poi ci sono titoli della Waste Management, che si occupa di smaltimento rifiuti, della Canadian National Railway Company, azienda di trasporti, della Caterpillar, ramo macchinari pesanti, e della Schrodinger, colosso sanitario. Non è certo un paradosso che Bill e Melinda ripongano la loro fiducia nell’oracolo di Omaha, ma fa riflettere che abbiano investito nel settore industriale (40%) più che nella tecnologia (31%) e nella finanza (20%). Gli altri titoli del portafoglio sono una rassegna del gotha di Corporate America: Coca Cola, Walmart, Fedex, UPS, Crown Castle, Kraft Heinz.

Un investitore sui generis è Bernard Arnault, il patron di LVMH. Con le partecipazioni in Dior, Louis Vitton, Moet & Chandon, Hublot, Givenchy, Dom Pérignon, Tiffany e Bulgari ha creato un impero del lusso che, dal 1989, rende in borsa il 16,4% all’anno contro il 7,4% dello S&P500.

Jeff Bezos, invece, crede fermamente in Internet. E’ stato tra i primi investitori di Twitter, Google, Uber e Airbnb. Nel 2013 ha acquisito il Washington Post, che ora ha più unique users del New York Times, ha lanciato con Amazon Prime una società che ofrre streaming telvisivo ma,  come molti della sua generazione, ha subito sin dall’adolescenza il fascino dell’esplorazione spaziale. A differenza dei suoi coetanei, però, ha avuto le risorse non solo per (quasi) orbitare intorno alla terra a bordo di una astronave di sua proprietà, ma anche per creare una società dedicata all’esplorazione spaziale come Blue Origin (in cui investe un miliardo di dollari all’anno) e dedicarsi al collezionismo dei manufatti della NASA, inclusi i razzi booster dell'Apollo 11 recuperati dal fondo dell'oceano.

Bezos ha un portafoglio di titoli a elevata diversificazione e lungo termine (molte delle sue partecipazioni azionarie sono vecchie di 5 o 10 anni), con investimenti in private equity o venture capital rivolti alla generazione Z, in settori che vanno dalla sport all’alfabetizzazione tecnologica, dai social media alla sostenibilità. Oggi queste aziende, come SpaceX di Musk,  non sono ancora sul mercato, ma è possibile che diventino casi di groth investment, una filosofia di investimento che punta sulle società più innovative e con un maggior potenziale di crescita, ma anche più rischiose di un’azienda consolidata. 

Cathie Wood, CEO e fondatore di Ark Invest, ha sposato questa filosofia e ha nel suo portafoglio, tra le altre, azioni di Tesla, Zoom e Shopify.

Più in generale, i super-ricchi investono, come detto, nel mercato azionario e una parte dei loro portafogli è composta dagli stessi tipi di società che si possono trovare nel portafoglio dell'investitore al dettaglio.

Hanno posizioni nell'energia, nei beni di consumo di base, nella tecnologia e così via: la differenza più grande è che le loro posizioni sono enormi. Apprezzano l'importanza di titoli stabili e affidabili in grado di offrire una crescita costante e, in alcuni casi, grandi dividendi, ma hanno anche le risorse per raccogliere informazioni e analisi approfondite su asset meno noti e più rischiosi delle Blue Chip, per investire nelle IPO (offerte pubbliche iniziali) di aziende nuove col potenziale per diventare la prossima Apple o Amazon, per acquistare azioni nei mercati emergenti o scommettere su startup promettenti in modi che altri investitori non possono eguagliare.

Possono investire con relativa tranquillità in metalli preziosi o in altre materie prime come bestiame, diritti minerari e prodotti agricoli, ma anche in beni tangibili meno liquidi, come proprietà commerciali, terreni e progetti di sviluppo, sia per il profitto che garantiscono, sia per la maggiore stabilità che possono fornire per bilanciare le partecipazioni azionarie.

Anche i conflitti militari possono essere sfruttati da chi ha le risorse per farlo, e non solo vendendo armi. Basti pensare al boom dell'acquisto di terreni agricoli: l'invasione russa dell'Ucraina ha dimostrato il rischio di fare affidamento su una piccola area per una porzione sproporzionata dell'approvvigionamento alimentare mondiale.

La morale è che i super-ricchi hanno molte più scelte dell’investitore medio. Hanno meno preoccupazioni per la liquidità e possono permettersi di correre alcuni rischi. Ogni tanto, però, piangono anche loro, come è accaduto nel 2022, quando – sempre secondo le rilevazioni di Knight Frank – hanno perso collettivamente oltre 10 trilioni di dollari in totale.

Nel frattempo, per molti, la storia è cambiata circa un anno fa quando l’Artificial Intelligence è diventata mainstream. Chatgpt e i suoi fratelli promettono di creare 15 mila miliardi di PIL globale aggiuntivo e una nuova ondata di milionari e miliardari, e forse anche il primo triliardario. Coming soon.

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