Cultura vs Intelligenza

Cultura vs Intelligenza

Parto subito definendo un concetto: i termini "Cultura" e "Intelligenza" non sono sinonimi e non necessariamente avere cultura significa essere intelligenti e viceversa.

L'intelligenza è da considerarsi l'unità di misura con cui un soggetto è in grado di affrontare e risolvere con successo situazioni e problemi nuovi o sconosciuti, che può esserci o non esserci nonostante aver studiato o imparato a memoria tonnellate di libri di testo.

L’intelligenza non si misura con la preparazione culturale (altrimenti pensate a come dovrebbero essere considerati coloro che di lauree ne hanno due: dei geni!… eppure, molto spesso, la realtà dimostra esattamente il contrario), ma è qualcosa che si misura nelle azioni di tutti i giorni, anche in quelle in cui non è necessaria una preparazione culturale.

L’intelligenza è qualcosa di pratico, di immediato, di intuitivo, qualcosa che si verifica nelle azioni di tutti i giorni, oserei dire in ogni momento della vita individuale, e che nessuna università può certificare, nessun test psicologico può valutare, ma ogni uomo può scoprire, relativamente a se stesso, in ogni istante della sua vita, grazie alle esperienze a cui è sottoposto.

Non me ne vogliano per queste parole i sostenitori della cultura in genere e della laurea: il mio non vuole essere un inno all'ignoranza, il mio vuole essere semplicemente un discorso che aiuti a cacciare certi preconcetti, certi fantasmi della mente, e che dia una mano a considerare ogni cosa che fa parte del nostro mondo fisico nella sua giusta luce.

In questi anni ho conosciuto persone che hanno riempito le aule delle università alla ricerca e alla conquista di una «laurea» e spesso mi sono ritrovato molto spesso a chiedermi quante di esse si siano trovate a varcare la soglia delle aule universitarie perché spinte veramente dal desiderio di imparare, conoscere, approfondire, esercitare una professione di importanza sociale che soltanto attraverso la laurea è possibile esercitare; e quante, invece, si sono trovate in quei lidi soltanto perché pensavano che il possedere una laurea fosse anche qualcosa che ispirasse fiducia e, soprattutto, reverenza da parte degli altri.

La stragrande maggioranza di tutte queste persone (nonostante tutte le mie speranze e la volontà di essere smentito), purtroppo, che intraprendevano questa via non erano mossi dal desiderio di adoperarsi nello studio per il bene degli altri, per il bene della società stessa, quanto piuttosto dal desiderio di avere un certo prestigio, reverenza, rispetto e l’onore di essere chiamato «dottore».

Già… l’onore di essere chiamato «dottore», al di là delle proprie reali capacità intellettive, al di là delle proprie possibilità di attuazione pratica degli studi compiuti.

A volte, ancora peggio, si rifugiano nell'università per l'incapacità di affrontare il mondo esterno e l'università diventa l'alibi perfetto per far passare il tempo nell'attesa di "un'illuminazione".

Perché tutto questo?

I motivi che hanno spinto e, forse per molto tempo ancora, spingeranno i nuovi ragazzi che si affacceranno all'università , sono molti, ma io ne vorrei prendere in considerazione soltanto uno: quello per cui una buona parte della gente comune ritiene che avere una «laurea» significhi, necessariamente, essere persone intelligenti.

Eh no, cari miei (pochi ma buoni) lettori! Se così fosse, considerando il numero dei laureati, le cose nel nostro mondo andrebbero senz'altro molto meglio. Perché in tutti questi anni di osservazione posso dire che ho notato più «stupidità» tra i laureati che non tra le persone poco colte.

Chi mi conosce sa bene quanto ci tenga a rimarcare che l'essere acculturati non voglia per forza dire essere intelligenti, e con questo articolo sottoscrivo e lo metto nero su bianco, dicendo che "laurea" non è uguale a "intelligenza".

Con queste parole non voglio criticare il sistema universitario, perché non risiede lì il problema. Il problema risiede nel retaggio culturale che la capacità di frequentare l'università e di laurearsi dia l'appellativo di intelligente.

Quanti dei vostri compagni di scuola o di corso erano bravissimi a imparare a memoria il libro senza capire un c***o? Ecco. Saranno pure dei bravi memorizzatori, ma non sono di certo intelligenti.

La laurea non è sinonimo di intelligenza, a mio avviso, per diverse ragioni, non ultima quella per cui la laurea altro non è che un attestato di preparazione (per lo più) culturale di una persona in una determinata disciplina; che poi questa persona dimostri di aver compreso quanto ha studiato e riesca a metterlo in pratica (dimostrando così in questo modo di avere una certa intelligenza) è tutto da verificare, da sperimentare. Se la laurea, dunque, dà soltanto la conoscenza, la preparazione teorica, un bagaglio culturale non indifferente, non è detto che dia anche la certezza che quella persona sia in grado di mettere in pratica quanto conosce teoricamente (unico indice, a parer mio, di intelligenza).

Ve lo ripeto: se il numero dei laureati aumenta, aumenta di conseguenza il livello culturale (questo è un dato di fatto di una certa importanza), ma non aumenta senz'altro il livello intellettivo.

Ma, come mio solito, mi sono perso un po’ per strada; lo scopo di questo discorso era quello di dimostrare che identificare l’intelligenza con la laurea è tipico dell’uomo di media evoluzione. L’individuo di media evoluzione è quello che vive in un modo raffinatamente egoista, non è quello che è terribilmente egoista e non si cura degli altri né positivamente né negativamente; è quello che maschera il suo forte egoismo, il suo Io al culmine della maturità, in azioni apparentemente altruistiche. Ma quest’uomo comincia a sentire dentro di sé il desiderio di fare qualche cosa per vincere quell'egoismo di cui, almeno in parte – soprattutto nelle azioni che hanno del macroscopico – si rende conto; è quello, quindi, che si sforza di limitare la spinta egoistica che, purtroppo, è ancora dentro di lui.

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