Dall'Industria 4.0 alla Società 5.0: il ruolo del digitale nel futuro della formazione
Intervento al Seminario Istituzionale AICQ SICEV "Evoluzione della formazione verso Society 5.0" con il patrocinio di AIF Associazione Italiana Formatori e AiFOS Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul lavoro.

Dall'Industria 4.0 alla Società 5.0: il ruolo del digitale nel futuro della formazione

Proverò un brevissimo momento di sintesi per rilanciare, soprattutto, la funzione di “servizio” della tecnologia, ribaltando una visione finalistica che ha spesso portato a elevare gli strumenti dalla condizione di mezzi a quella di obiettivo, tanto da parte di chi auspica quanto da parte di chi teme, una sorta di supremazia della tecnologia: lasciatemi fugare ogni dubbio, la tecnologia  deve servire l’uomo.

Con l’idea di Società 5.0, ribadisco il concetto già espresso, vogliamo  indicare e, soprattutto sostenere, l'avvento di una società in cui le tecnologie avanzate, che già sono in misura e con impatti differenziati, parte della nostra vita e della nostra socialità, siano finalmente asservite alle vere necessità delle persone: mi riferisco all'intelligenza artificiale (AI), i big data, l'Internet of Things (Iot) e la robotica.

Queste saranno ulteriormente migliorate e implementate, questa è la speranza e l’attesa, cambiando la nostra società in un modo talmente dirompente, un termine che oggi sentiamo spesso, disruptive, da non avere precedenti nella storia dell’evoluzione umana.

Il cambiamento tecnologico, nel contesto definito di Industria 4.0, ha accelerato la sua velocità, lo vediamo quotidianamente, in un modo che fatichiamo a comprendere: questa fatica, che è anche di adattamento, deve trovare, in qualche modo ristoro in un cambio di paradigma anche per quanto riguarda la formazione e l’apprendimento.

Abbiamo bisogno di modi nuovi di relazionarci con la conoscenza, le competenze e i processi necessari al loro sviluppo e gli strumenti che devono essere posti al nostro servizio per questo scopo.

Il tempo, unica risorsa che non ammette moltiplicatori, è tiranno ma per quanto riguarda la formazione, vorrei in questo momento proporvi almeno due aspetti, tra tanti, e portarli alla vostra attenzione:

  • Il primo che interseca il tema introdotto da Beatrice Lomaglio e riguarda un rischio ciclico ad ogni nuova rivoluzione, accentuatosi nella corrente fase: La velocità del cambiamento, soprattutto tecnologico porta con sé la creazione di una useless class di persone che non sanno usare la nuova tecnologia e non possono essere inserite nel processo produttivo, sopra tutto quando queste sono così pervasive come le attuali; la formazione e l’abilitazione possono essere decisive per ridurre le schiere di questa popolazione.
  • Il secondo è un tema attualissimo, evidenziatosi soprattutto nella fase della pandemia ed ha avuto nella scuola la sua massima espressione, purtroppo negativa: fare cose vecchie con strumenti nuovi; penso alla dad ma penso anche e soprattutto ad un uso depotenziato, laddove non sia controproducente e castrante, della tecnologia nella formazione; su questo porterò anche un’evidenza scientifica basata sul Percorso di Formazione Formatori Digitale

Possiamo fare di più, possiamo fare meglio, dobbiamo farlo e, mi slancio a dire, lo faremo.

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Industria 4.0 e poi? - Ogni nuova tecnologia costruisce un mondo nuovo (e distrugge quello vecchio…)

Per provare a costruire il futuro dobbiamo, però, avere coscienza della strada che abbiamo fatto (come ci ha ben indicato il prof. Vitale nella sua introduzione) e del momento che stiamo vivendo; non solo, anche dei metodi, dei processi e degli strumenti a nostra disposizione per interpretare e ridisegnare lo scenario secondo l’evoluzione del contesto.

Ogni volta che si introduce una nuova tecnologia questa cambia per sempre il mondo e questo, grazie all’accelerazione che stiamo vivendo, sta avvenendo ad un ritmo impressionante, devo ammettere, anche per me che faccio della tecnologia, soprattutto digitale, il mio pane quotidiano.

In tutto questo un punto di ottimismo, che mi sento di ricondividere, riguarda un’analisi di Deloitte sull’introduzione delle nuove tecnologie e il rapporto con l’occupazione, riprendendo anche le osservazione fatte dalla dott.ssa Lomaglio: le nuove tecnologie producono più lavori, anche nuovi, di quanti non ne rendano obsoleti. 

Questo è stato sicuramente vero fino all’industria 4.0 dove però la situazione cambia radicalmente: in passato le macchine e la tecnologia, pur soppiantando molto del lavoro, soprattutto in azienda, svolto da una forza lavoro meno qualificata, permettevano, con la necessità di essere supervisionate, di creare nuovi posti di lavoro magari con una relativamente rapida riqualificazione delle persone, che sarebbero diventate operatori, controllori o altre funzioni lungo la linea. 

Un'evoluzione tecnologica continua ci ha portato ora sull’orlo di una crisi senza precedenti: le macchine stanno rendendo inutile l’affiancamento umano: l’intelligenza artificiale è in grado di supervisionare autonomamente il lavoro acquisendo quindi anche la funzione di controllo, anche su se stessa. In realtà sta diventando in grado di soppiantare anche molte delle attività effettuate dai cosiddetti colletti bianchi: nessuno è più al sicuro.

Alla luce di questa evoluzione degli scenari aziendali, le organizzazioni stanno ora cercando sempre più di sviluppare iniziative di rafforzamento delle capacità e delle competenze della forza lavoro.

L'upskilling, il reskilling e l'apprendimento permanente sono diventati imperativi come tendenze emergenti, mentre l'apprendimento automatico (ML) e l'intelligenza artificiale (AI) continuano a trasformare il modo di lavorare.

In questo schema che riporto nella slide vedete la convergenza tra l’evoluzione industriale e l’evoluzione della società; in molta letteratura si tende a far coincidere industria 5.0 e società 5.0 anche in considerazione del tentativo, per ora, di riportare al centro l’essere umano in quello che è definito un approccio human centered all’utilizzo della tecnologia.

Non dimentichiamo, per orientarci nelle definizioni, che il concetto di società 5.0 nasce in giappone mentre quello di industria 4.0 nasce in germania e anche per questo la commissione europea in un documento di programma, facilmente reperibile su internet,  ha invece posto l’attenzione su industria 5.0 salvo poi riconoscere la sostanziale convergenza con society ,5.0

Aldilà delle definizioni, l’accento comune è sulla necessità di rimettere l’uomo al centro, aggiungo valorizzandone competenze, capacità e attitudini: nuovamente quindi un ruolo centrale per la formazione e l’apprendimento.

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Cambiamento e persone - un'eterna rincorsa

Cominciamo quindi, prendendo in analisi il primo dei due punti: cosa fare con queste risorse che tendono ad essere messe velocemente ai margini del mercato del lavoro: la formazione diventa la chiave per il loro upskilling e reskilling.

L'accelerazione tecnologica, anche grazie all’impulso della crisi pandemica, è diventata dirompente per l’azienda. Si è resa ineludibile la necessità, per le imprese, di evolvere nel settore dell’IT, pena l’estinzione, in linea con il moderno dictum della sopravvivenza del più forte digitalmente; più forte in tecnologia ma non solo, vorrei evidenziare: più forte nella capacità di gestirla attraverso chi nelle aziende lavora.

In questo trend, che in pochissimo tempo ha visto una transizione dal PC personale al Cloud, all’intelligenza artificiale e all’IOT, le Risorse Umane delle organizzazioni non sono riuscite a tenere il passo, allargando la forbice della disparità tra tasso di introduzione della tecnologia e capacità da parte dei dipendenti (voglio mettere in evidenza: tutti i dipendenti, non solo un settore specializzato e dedicato) di utilizzarla al meglio: questo è diventato il principale ostacolo alla digital transformation che è un requisito ineludibile per la competitività e l’esistenza stessa delle aziende.

Riuscire a colmare questo divario significa trasformare l’organizzazione e accrescere il valore della forza lavoro: le imprese che riescono a sfruttare al massimo la tecnologia, grazie ad  una forza lavoro preparata, che sanno prendere decisioni data-driven, avranno un più alto ritorno sugli investimenti, secondo quanto afferma Gartner.

E questo perché una forza lavoro più evoluta digitalmente:

  • riesce ad adattarsi meglio al cambiamento;
  • ha maggiore spirito di collaborazione;
  • è in grado di sfruttare le tecnologie (IA, Machine learning, Data analytics etc) al momento e nel modo giusto
  • riesce a sfruttare al meglio i canali che la mettono in contatto con il resto dell’organizzazione e gli altri stakeholder.

La riflessione quindi che accenno nella slide è: come far si che le persone riescano a stare al passo con il cambiamento e l’evoluzione tecnologica?

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Competenze digitali - un abito per tutte le stagioni

Si evidenzia, quindi, come le imprese abbiano bisogno di lavorare nella direzione di promuovere una cultura e un comportamento aziendale tech-friendly per permettere ai lavoratori di operare con maggiore flessibilità, innovare e collaborare di più, sviluppando anche la capacità di assumere rischi per raggiungere gli obiettivi aziendali.

La direzione nella quale andare però non può essere quella di definire dei programmi formativi specifici, di immediata applicazione, su argomenti e componenti predefiniti che rischiano di essere obsolete nel medio periodo (e data l’esponenziale accelerazione nell’evoluzione tecnica probabilmente anche nel breve). 

Faccio formazione, dalla fine degli anni 80 e ho sempre sentito proporre la formazione continua come rimedio al cambiamento: l’idea di fondo è giusta, l’applicazione, mi sento di dire, non altrettanto corretta.

Il mito della formazione continua non è mai diventato realtà, non è mai partito compiutamente ma ha sempre visto forme più o meno articolate di contenuti formativi messi a disposizione della platea aziendale, magari attraverso lms carichi di offerte di formazione linguistica, comportamentale, specialistica e obbligatoria ma comunque cristallizzata a qualche momento nel passato, generalmente attraverso dei cataloghi di produttori di elearning, anche molto nutriti, ma a cui, in fin dei conti, adattarsi: quando lo dico non nego di sentirmi, da sviluppatore di corsi di elearning, in qualche modo colpevole…

Se vogliamo veramente realizzare questo processo, invece, quello verso cui dobbiamo rivolgerci è l’abilitazione: abilitare le persone, chi lavora in azienda e non si può permettere di restare indietro, abilitare ciascuno a essere il primo fornitore della propria formazione

Dobbiamo essere in grado di sviluppare un nuovo approccio, un Growth mindset secondo Carol Dweck, caratterizzato da curiosità e spirito critico (competenze chiave ricordate anche nelle ricerche citate dalla dott.ssa Lomaglio) in contrapposizione a un fixed mindset che ancora contraddistingue molte organizzazioni basate più sul precedente come elemento di sicurezza che sull’innovazione come elemento di crescita.

Voglio proporvi una similitudine con quello che era il mito dell'enciclopedia, un luogo dove imparare tutto quello di cui si può avere bisogno nell’arco di una vita (non solo lavorativa), nel momento esatto in cui se ne ha bisogno (nelle parole sempre illuminanti di Umberto Eco “Per me l'uomo colto è colui che sa dove andare a cercare l'informazione nell'unico momento della sua vita in cui gli serve.”): oggi quel luogo lo abbiamo, forse dobbiamo imparare ad abitarlo differentemente per ottenere e fornire, a nostra volta, risultati nuovi più vicini ai bisogni individuali e organizzativi.

Credo che una delle ragioni che impediscono l’affermarsi di una vera cultura della formazione continua sia la natura top down della sua implementazione: se si invertisse il processo trasformandolo in bottom up, rimettendo le persone al centro (nuovamente il concetto fondamentale della Società 5.0) e ripartendo dall'abilitazione continua avremmo persone e non risorse che diventano agenti del proprio cambiamento personale e motivati a supportare attivamente il  cambiamento organizzativo.

Si tratta di riuscire in un processo di abilitazione che favorisca un nuovo approccio, un nuovo mindset: in questo la destrezza digitale è sicuramente un punto di partenza, una componente fondamentale per la definizione di un framework che ne strutturi l'introduzione in azienda e nei contesti organizzativi.

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Un nuovo ecosistema - Digitale, esperienziale, pervasivo.

Veniamo ora al secondo punto che vi avevo proposto in modo anche semplicistico ma di facile comprensione: fare cose vecchie con strumenti nuovi. 

E’ La tecnologia che ci ha permesso negli ultimi quasi due anni  di fare fronte a una situazione senza precedenti, di vincere la distanza, riuscendo a lavorare da casa, a far studiare i nostri figli anche con le scuole chiuse; di collaborare da remoto quasi come (e, in certi casi, meglio che) fossimo in presenza. Il rischio ora è che si voglia tornare indietro, misconoscendo i risultati (molti) raggiunti.

La vera sfida è riuscire a dare a tutta questa tecnologia un volto umano, a fare in modo che riesca a supportare un processo, quello formativo, che deve ancora esprimersi compiutamente nel nuovo scenario (digitale e non solo) post pandemico.

La vera sfida è soprattutto rendere esperienziale la formazione a distanza e fare in modo che sia possibile disegnare un nuovo ecosistema dell’apprendimento che abbia nella transizione al digitale non un mero update (penso alla dad) ma un modo nuovo di integrare e proporre la formazione. 

Il futuro che immagino in questo senso è l’azienda, tutta l’azienda, come vero e proprio ecosistema di formazione, in grado di integrare apprendimento formale e informale, il learning by doing e la formazione sincrona e asincrona, le necessità del business ma anche le aspirazioni personali, perchè no…?.

Questo insieme di metodi, processi e strumenti, organizzati e indirizzati, trova origine nella disruption digitale che è riuscita, con un parto anche travagliato, a superare i limiti della formazione tradizionale (rappresentata dall’aula classica) ed ha aperto nuove opportunità di apprendimento con una molteplicità di luoghi (dentro e fuori le organizzazioni), di tempi, di forme, di canali e anche di piattaforme.

Nella slide ho riportato la versione italiana della ruota padagogica uno strumento che lega la tassonomia di bloom, il metodo samr e gli strumenti digitali in una nuova sintesi dalle combinazioni infinite e quindi in grado di rispondere, in linea di principio, a tutte le esigenze sopratutto in ambito didattico.

Proprio per questo è sempre più importante creare consapevolezza sulle trasformazioni legate all’innovazione digitale in atto nel mondo e nelle imprese e riuscire a pensare nuovi modelli organizzativi che facilitino questo processo.

Arrivo al cuore della mia tesi: posso dire per esperienza personale che il digitale può essere trasformativo e voglio qui superare le polemiche che qualcuno solleva sulla semplice trasmissività della formazione a distanza; possiamo arrivare a renderla esperienziale attraverso la creazione, per i discenti, di un ecosistema digitale di apprendimento, che sia multipiattaforma e multicanale, che stimoli curiosità e desiderio (eros della formazione) anche nel virtuale.

Voglio riportarvi l'esperienza di progettazione di un percorso di  formazione formatori digitale dove è stato possibile superare, direi addirittura vincere, la distanza, sostanzialmente, creando un ambiente di apprendimento online che fosse in grado di supportare i partecipanti nel continuo, 24/7 e quindi non solo nelle ore, relativamente poche (e questo vale, in genere, anche per un percorso formativo tradizionale), di formazione frontale, ma come un luogo a cui ritornare per trovare e lasciare contenuti e proseguire in modo asincrono la relazione che si è instaurata, positivamente, nelle lezioni sincrone e nei gruppi di lavoro informali supportati dagli strumenti social.

Questo obiettivo è stato definito sin dalla progettazione del percorso, altro elemento centrale, proprio per riuscire  a superare il vincolo della distanza appunto, favorendo, allo stesso tempo, l’autonomia dei discenti (che potevano seguire e riseguire le lezioni attraverso le registrazioni) e salvaguardandone gli stili di apprendimento, lasciando ad ognuno i propri tempi. In questo modo, grazie alle attività personali e di team (che hanno costituito parte integrante del corso) è emersa la relazione, proprio nel senso di proprietà emergente.

L’aspetto tecnologico è importante ma la progettazione insieme alla facilitazione sono state centrali: hanno permesso di generare un’esperienza formativa estremamente partecipata da cui, possiamo affermare senza tema di smentita, è emersa il coinvolgimento anche sul piano emotivo. 

Questo percorso diventa ciclico: le evidenze dell’edizione precedente hanno rappresentato le basi per la progettazione della nuova edizione.

In estrema sintesi una nuova strada per la formazione e l’apprendimento è possibile e il digitale ne sarà un fattore abilitante.

Riuscire a riprodurre il livello di complessità che si genera all'interno di un percorso formativo d'aula tradizionale, è la chiave per far superare alla formazione online il limite della trasmissività.

La trasformatività può diventare proprietà emergente della formazione a distanza se si costruisce un analogo sistema di relazioni generative che coinvolgono persone, strumenti, ambienti e metodologie: all'inevitabile diminuzione della quantità/qualità delle relazioni può fare da contrappeso la concorrenza di strumenti (multicanale, multipiattaforma) utilizzabili per rinforzare le altre componenti.

Il new  next normal - Natura non facit saltus

Vado alle conclusioni.

Ho scritto qualche giorno fa e ne sono convinto, oggi più che mai: "La tecnologia è al nostro servizio, nella formazione più che in altri campi. 

Chi la rifugge dimostra di non averne compreso la funzione, le potenzialità e, soprattutto, l'ineluttabilità.

Nella 'prossima normalità', nel next normal, che ci attende non c'è posto per fraintendimenti sul ruolo del digitale: chi spera nel 'ritorno alla normalità' diventerà il nuovo pifferaio, sempre pronto a sviare chi avrebbe bisogno di essere abilitato e non demotivato."


Vorrei aggiungere ancora una cosa: la normalità non è uno stato e non credo al new normal… (non amo la definizione di new normal quasi a significare un salto ma preferisco e trovo più adatta l’idea di evoluzione, di una iterazione).

Una personale epifania in questa pandemia è stato rendermi conto che i segni del futuro emergente sono sempre intorno a noi, alcuni, particolarmente dotati, riescono a vederli e anticiparli, altri sono bravi a reagire in tempi rapidissimi, altri finiscono subito sott’acqua, la maggioranza cerca solo di ritornare alla normalità, normalità che non è mai esistita, che è sempre stata solo un miraggio della superficialità con cui vivono il mondo.

La normalità è un processo e la creiamo giorno per giorno, con le nostre mani.















Margherita Da Cortà Fumei

Formatrice, Docente esterno Università Ca' Foscari di Venezia

3 anni

Condivido Vivaldo il taglio che hai proposto

Maurizio Michieli

Executive Director at PDQ - Pillole di Qualità

3 anni

grazie Vivaldo! In merito agli STRUMENTI per coinvolgere maggiormente la platea, sto capitalizzando l'opportunità di trarre spunti anche dall'action learning, "adattandolo" all'erogazione via web. https://it.wikipedia.org/wiki/Action_learning Per i corsi sistemici (in primis i "40 ore") in CSQA stiamo rendendo sistemico il modello "esplorazione / scoperta / rinforzo", un classico nell'educazione agli adulti. Un esempio: se devo trattare la analisi "CARO" - Contesto, Attese, Rischi, Opportunità - ovverosia la SCANSIONE che deve sempre precedere Pianificazione, Attuazione ecc. (PDCA) in qualsiasi assunzione di scelte, i 3 step in ottica discente sono: 1) Esplorazione: si affronta un caso studio, talora con parziale uscita dalla confort zone (pur restando in area di eu-stress) 2) Scoperta: nel debriefing il docente analizza gli elaborati dei discenti e fornisce loro i feedback 3) Rinforzo: si analizzano i requisiti HLS (in questo caso 4.1, 4.2, 6.1) inerenti il caso studio Procedendo in tal senso l'ingaggio dei discenti dovrebbe essere maggiore, visto che prima si analizza la sostanza (efficacia, impatti...) e solo dopo si rinforzano i concetti emersi con la condivisione della "forma" (requisiti ISO).

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