DEL DARE UN NOME ALLE COSE, IL CASO DI “DIGITALE”
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DEL DARE UN NOME ALLE COSE, IL CASO DI “DIGITALE”

Non ricordo quando ho sentito affermare per la prima volta che "le cose iniziano ad esistere quando diamo loro un nome", è un concetto che ho in mente da tempo. Una ricerca in rete mi ha confermato che non ha una fonte specifica, ma che ha nella sostanza origini antiche e importanti.

Già da Platone, qualche centinaio di anni prima di Cristo, il mondo delle idee era considerato la realtà vera e propria, mentre il mondo materiale solo una copia imperfetta. Dare un nome a una cosa significa associarla ad un'idea, e quindi darle una sorta di esistenza nel mondo intellegibile.

Poco dopo Aristotele definiva le parole come strumenti che ci permettono di categorizzare e comprendere la realtà. Dare un nome a una cosa significa classificarla e darle un ruolo all'interno del nostro sistema di conoscenza.

La speculazione in materia è andata sempre avanti e nella prima metà del 1900 il filosofo tedesco Martin Heidegger sostiene che il linguaggio non è semplicemente un modo per descrivere la realtà, ma è anche un modo per darle forma e renderla intelligibile. Dare un nome a una cosa significa "portarla alla luce dell'essere".

Non è raro che nel corso della evoluzione di una lingua le parole assumano significati nuovi che convivono con quelli vecchi e infatti i dizionari hanno spesso per la stessa parola diverse indicazioni di significato: pensate a “le scie chimiche sono una stupida credenza” e “le posate le trovi nel primo cassetto della credenza”.  Si tratta però in genere di significati che analizzando il contesto nel quale la parola si trova vengono facilmente identificati.

Nelle tecnologie in questi tempi di ricerca dell’effetto marketing a tutti i costi troppo spesso la stessa parola viene usata a vanvera con significati diversi, ma in qualche modo affini ed è un peccato perché alla fine si perde la aderenza al concetto che le parole dovrebbero esprimere.  Un esperimento interessante è chiedere a chi quelle parole usa di spiegarvene il significato.   “Intelligenza artificiale”, “web 2.0, 3.0, 4.0” , “Meta verso” e “Realtà aumentata” fanno parte di queste locuzioni che si stanno sempre più allontanando da un concetto preciso. 

Questa mania non è nuova, io mi ricordo di tempi nei quali tutto era diventato “a oggetti” anche dove gli oggetti, che intendiamoci sono una delle idee che ha rivoluzionato la scrittura del software, non c’entravano proprio nulla.

Digitale

Il termine digitale già prima dell’avvento della informatica aveva un significato legato alle dita, esplorazione digitale, e un significato legato a una serie di principi attivi derivanti da una pianta, la “digitalis purpurea”, la famiglia dei glicosidi cardioattivi.

Poi è arrivata l’elettronica.

Contiamo con le dita ragione per cui digitale è diventato sinonimo di numerico e abbiamo chiamato digitali le grandezze espresse con numeri.  Ci sono grandezze naturalmente numeriche, per esempio l’età di una persona e grandezze non digitali, si chiamano analogiche, che non sono espresse come numero e possono avere una variazione continua. La memoria dei calcolatori è fatta di numeri e di conseguenza digitalizzare è diventata sinonimo di trasformare una grandezza in numero in modo che possa essere ricordata e fino a qui ci può stare, ma poi siamo andati oltre.

Di circuiti di conversione analogico/digitale e digitale/analogica parliamo da cento anni, se qualcuno fosse interessato trovo interessante questa breve lezione.

Digitale da molti è inteso come un mondo senza carta, “paperless”, perché se ho convertito un documento in formato numerico non ho più bisogno di tenerlo memorizzato su carta.

I dati in formato digitale possono essere elaborarti ed ecco che il termine digitale diventa sinonimo di elaborato su un calcolatore.

In rete viaggiano dati digitali e allora digitale diventa sinonimo di online e chiamiamo servizi digitali quelli che sono erogati online.

La cosa è complicata da giornalisti e guru che troppo spesso più che cercare le parole per farsi capire sembrano cercare di utilizzare quelle che impressionano di più, le buzzword, e che sono più usate per sembrare più informati, per intenderci quelle che vanno di corsa a mettere nelle prime righe del loro profilo su Linkedin vantandosi di esserne esperti.

La torre di Babele

Chiamare tutte queste cose che seppur in qualche modo correlate sono diverse con lo stesso nome ha davvero senso?

Io credo proprio di no, si rischia di fare una grande confusione e di non riuscire a comunicare in modo efficace, mi ricorda la situazione della torre di Babele così ben descritta da Pieter Bruegel il Vecchio.

Pieter Bruegel il Vecchio, la torre di Babele

Forse dovremmo fare uno sforzo quando parliamo di qualche cosa nel definirla in modo più preciso, si lo so il discorso diventa meno sexy, ma certamente più logico e utile.

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