Dialogo sulle terre e rocce da scavo
Immagine dal sito del Comune di Pescara

Dialogo sulle terre e rocce da scavo

È sempre interessante quando in seguito ad articoli o post si ricevono commenti costruttivi.

È proprio quanto accaduto in seguito al mio ultimo articolo sul confronto tra elettrodotti interrati ed aerei (Togli la terra, metti la terra), con il commento della Dott.ssa. Maira Albano.

Nel mio articolo affermavo che lo scavo per realizzare una linea elettrica interrata permette di eliminare una maggiore quantità di terreno inquinato ed è quindi preferibile ad una linea aerea. Con il su commento Maira mi chiedeva se fossero da prediligere gli elettrodotti interrati a quelli aerei nel caso in cui il terreno scavato, invece, non fosse inquinato.

Ho abbozzato una risposta nei commenti sotto all’articolo, ma poi mi sono reso conto che si trattava di una replica parziale e che per dare un riscontro più esaustivo ci sarebbe stato bisogno di un approfondimento.

È allora che ho scritto a Maira e ne è nato un interessante scambio tra due professionisti che si occupano entrambi di ambiente, ma da posizioni e con competenze diverse. Una sorta di botta e risposta tra un ingegnere e una scienziata ambientale che riporto, in accordo con lei, di seguito.


MATTEO

Mi chiedi quale tra le due soluzioni sia preferibile se il terreno non fosse inquinato? Innanzitutto devo dirti che nel mio articolo ho ipotizzato che il terreno fosse contaminato perché era la tematica che mi interessava affrontare. Inoltre, per renderla di più immediata comprensione, ho immaginato che le due soluzioni (aerea ed interrata) avessero la stessa lunghezza.

In realtà, però, quando si progetta un elettrodotto, si deve partire da un punto A ed arrivare ad un punto B e, di solito, la soluzione aerea è più breve di quella interrata. In sintesi, per costruire quella aerea si scava di meno, per cui, se non devo sostituire il terreno perché ipotizziamo che non sia inquinato, è preferibile, anche perché si tutela maggiormente la morfologia del territorio. In ogni caso, esistono delle tecniche di ingegneria ambientale che sanano gli eventuali danni.”


MAIRA

Grazie Matteo per la tua accurata risposta. 

Dalla mia esperienza ho potuto constatare che, a livello di pianificazione territoriale, la normativa tende ad avere meno restrizioni laddove si parli di elettrodotto interrato 

piuttosto che aereo, soprattutto per il minor impatto paesaggistico del primo. 

I cavi interrati tendono ad essere preferiti rispetto a quelli aerei anche dalle comunità stesse per la peculiarità di essere impercettibili all'occhio umano.

Proprio per questo avrei piacere di approfondire l'argomento riguardo la soluzione "cavo interrato" ed in particolare: quali sono i potenziali danni e, in caso di necessità, 

come avviene la loro riparazione? In caso di linee interrate da dismettere, come avviene la loro rimozione/sostituzione dal terreno?


MATTEO

Ti faccio un esempio: se si posa una linea interrata lungo una strada che costeggia un pendio, lo scavo rischia di essere una specie di taglio che indebolisce il pendio stesso, soprattutto in territori già fragili. In questi casi si possono creare dei muretti di sostegno al pendio verso valle. 

Quanto alla dismissione di un cavo interrato, bisogna scavare e rimuoverlo, con disagi per la circolazione stradale, seppur temporanei. Se è stato posato dentro a delle tubazioni, si può scavare solo in alcuni punti e sfilare, ma in questo caso i tubi non vengono rimossi. 

Mi chiedo se nella pianificazione territoriale si tenga conto anche di questi aspetti negativi. Ho l'impressione che si consideri solo il problema visivo.


MAIRA

La tua impressione è anche la mia. 

Purtroppo non mi è mai capitato di leggere normative che prevedessero un ripristino della situazione di partenza

relativamente alla ai cavi interrati. 

 Alcune volte, quando ad esempio gli elettrodotti in cavo prevedono un sistema di raffreddamento ad olio (e quindi più inquinanti) vengono rimossi totalmente, in forma preventiva; altre volte invece vengono prelevati solo gli elementi di valore (ad es. il rame).

Ma ho la sensazione, che in generale, i sottoservizi, essendo appunto "sotto terra", tendano ad essere trascurati e che quindi molte volte, come hai detto tu, rimangano dimenticati all'interno del sottosuolo come rifiuto.

Dipende quindi dalla situazione e dal buon senso, ma così non dovrebbe essere in quanto si tratta di un problema reale che andrebbe risolto con le opportune prescrizioni.


MATTEO

Effettivamente non avevo mai pensato alla possibilità di imporre un piano di dismissione già dalle fasi di progettazione per i cavi interrati, così come si fa, ad esempio, per i campi fotovoltaici.

Oggi la maggior parte dei cavi in alta tensione è fatta in alluminio con isolamento in XLPE, un materiale plastico che non inquina come l'olio. Tuttavia non lo so quanto si inquini per produrlo.

In ogni caso, che problemi ambientali possono creare dei sottoservizi inutilizzati nel sottosuolo?


MAIRA

Dopo averci pensato un po’, sono arrivata a queste conclusioni:

- la normativa copre il ripristino dei siti contaminati (laddove vi siano eventuali superamenti soglia di determinate sostanze), ma non il ripristino del sottosuolo di sottoservizi semplicemente dismessi;

- dal punto di vista ambientale non so che problemi possano comportare dei sottoservizi abbandonati: probabilmente deteriorandosi nel tempo possono comportare inquinamento, ma a prescindere andrebbero rimossi trattandosi di abbandono rifiuti.

Premesso ciò, ritengo che oltre che alla progettazione ed alla realizzazione, bisognerebbe focalizzarsi altrettanto attentamente anche sulla manutenzione e la fine della vita dell’opera.

Nel caso specifico dei sottoservizi, nel momento di dismissione di questi,  l’azione più spontanea e logica sembrerebbe quella di rimuovere l'opera in disuso in quanto rifiuto.

In alcuni casi però ciò potrebbe comportare una perdita/danno sull’ecosistema ricreatosi al di sopra  nel corso del tempo.

Quindi bisognerebbe cambiare prospettiva e non pensare più all’opera finalizzata al suo utilizzo, bensì come parte integrante dell’ambiente in cui viene inserita, pensarla nell'insieme del suo ciclo di vita anche in termini di utilizzo di materiali che non comportino danni o rilascio di inquinanti in caso di permanenza "perenne".


MATTEO

Mi pare di capire che la normativa, così come le discipline che si occupano di questi aspetti, abbia delle lacune e necessiti di ulteriori studi. D'altronde il settore è molto specialistico. Quando si incontrano sottoservizi abbandonati, (ma anche quelli ancora in uso), si deve spesso cambiare tracciato o utilizzare la trivellazione orizzontale controllata (TOC). Ma di questo ne parliamo un’altra volta.

Maira Albano

Analisi Territoriali e GIS

3 anni

Grazie a te Matteo Zanatta! è stato immensamente costruttivo per me e spero di avere altre occasioni di scambio come questa in futuro. Di sicuro gli argomenti di cui parlare non mancano.

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