DIGIFRENIA

DIGIFRENIA

Ho letto un libro che mi ha fatto riflettere su come “ci troviamo in un’eternità breve piena di contraddizioni e paralizzata dal peso di una storia indelebile e di un destino prestabilito”.

Con la rete, il nostro passato viene a galla molto più in fretta. Ad esempio, trovare un amico delle elementari è molto più facile e può capitarti anche se non lo cerchi, grazie agli algoritmi che governano e sovraintendono al mondo digitale. Anche il futuro è condizionato, quando ricerchiamo un albergo in montagna, sui social siamo subissati di pubblicità in questo senso, quasi che un grande vecchio sia lì a prepararci ciò che ci serve.

Un altro elemento evidente è l’accessibilità alla conoscenza (che non è necessariamente cultura), servita all’istante grazie a Google, Wikipedia. Una volta occorreva un lungo viaggio per trovare la conoscenza e accumularla, ma quel tempo ci serviva per sedimentare l’apprendimento e, attraverso l’esplorazione, irrobustire la nostra esperienza in un circolo virtuoso tra andare, imparare e ritornare per poi ripartire. Adesso la lentezza non c’è più concessa e “festina lente” sembra uno slogan rivoluzionario. Ci guida la fretta, falsa apparenza dell’efficienza e della produttività, che ci assorbe in un gorgo che lascia fuori i pensieri più profondi e ci rende sempre più incapaci di riflettere. L’approccio cognitivo e riflessivo della lettura, ad esempio, è ridotto a vantaggio delle attività più superficiali e compulsive della rete.

Consumiamo tutto e subito senza doverci ricordare niente, tanto lo possiamo ripescare con un click. Ma ripeschiamo una stringa di testo, non il cammino necessario al dato per diventare prima informazione, poi conoscenza e infine cultura.

La compressione del tempo presenta però il conto, facendoci diventare, forse inconsapevolmente, digifrenici, persone che vivono molteplici ruoli: quello della vita reale e quello dei social, ad esempio. Dialoghiamo con la tastiera con persone che non abbiamo mai visto e con le quali, dopo un caffè preso insieme, forse non vorremmo più avere a che fare. Giochiamo su più scacchiere, passando in fretta da un ruolo a un altro, senza il distacco necessario tra le due situazioni. Anche la bulimia d’informazioni superficiali, che ci arrivano sul telefonino senza troppi filtri, ci sballotta di qua e di là.

In rete si sente una pressione che “trasuda urgenza e immediatezza disperata”, peccato che l’essere umano evolva molto più lentamente della tecnologia. D’altra parte ai computer non interessa il tempo, funzionano ventiquattro ore al giorno per sette giorni la settimana. E così sembra naturale scambiarsi mail alle undici di sera, anzi, questo è un segno di quanto siamo legati al nostro lavoro, un compiacimento per farci dire: “che bravo che lavori anche a quest’ora!”

Salvo poi che ogni nostra attività può essere interrotta con una facilità estrema: telefono fisso, cellulare, bustina gialla che ti dice che è arrivata una mail, WhatsApp, Twitter, Messanger…E non vuoi vedere cosa succede su Linkedin, o se c’è qualche cosa di nuovo su Instagram? Tutti questi aggeggi che riempiono le schermate dei nostri smartphone, computer e tablet entrano senza chiedere permesso nel nostro tempo, siamo sempre connessi: ma per fare cosa?

Nel 1956, per disporre di 3,75 MB, occorreva un macchinone di una tonnellata, che costava 3.200 USD al mese. Adesso con 500 euro abbiamo uno smartphone di poco più di cento grammi e una memoria 17.000 volte superiore. Se a questo assommiamo la diffusione incredibile che questi aggeggi hanno avuto, la quantità di parole, immagini e suoni che scambiamo in rete è inimmaginabile.

Grande quantità, ma la qualità di ciò che scambiamo? Sono certo che non sia migliorata, anzi, il sospetto è che la comunicazione via rete sia oggettivamente degradata, superficiale e molto inefficace. “Io non appartengo al tempo del delirio digitale” canta Vecchioni. Noi invece siamo intossicati da questo digitale, che spesso diventa il fine e non il mezzo. Mi rendo conto che disintossicarsi non è facile, però mi piacerebbe iniziare a provarci.



Patrizia Lombardi

Consulente manageriale e di supporto alle organizzazioni, coach, trainer competenze gestionali e comportamentali

7 anni

Anch'io ho gli stessi dubbi, forse non abbiamo imparato ad usare nel modo giusto tutta la tecnologia e ciò che ne consegue. Siamo in un periodo di "ingordigia" di informazioni e di conoscenze, niente ci deve sfuggire! Ieri sono passata camminando da un parchetto giochi e c'erano dei bambini con i nonni che invece di giocare stavano alle spalle per guardare il cellulare col quale il nonno stava "smanettando"! Occhi fissi su 10 cm quadrati, o giù di lì. Mentre intorno tutto era bellissimo: il verde, i fiori, i giochi, gli uccelli, il cielo azzurro, i profumi e gli altri bimbi... ma il mondo chi lo guarda più?

Davide Bonora

Senior Executive (CEO/CCO) | Management Consultant | Temporary Manager | Industry

7 anni

Condivido le considerazioni fatte e aggiungo che si vedono comunque segnali di una qualche reazione a questa digifrenia anche nel mondo del business: riunioni senza smartphone, "obbligo" di restare scollegati per almeno 24 ore, "divieto" di rispondere alle mail oltre certi orari, locali pubblici "wi-fi free" (che significa "senza wi-fi" , anche se molti locali espongono questa dicitura per intendere"free wi-fi", cioè libero accesso al wi-fi, beata ignoranza dell'inglese!), etc. etc etc. E comunque trattasi sempre di "strumento", per quanto invasivo e affascinante, e quindi l'uso che se ne fa dipende sempre da chi lo maneggia.... Leggerò il libro, grazie del suggerimento Lauro

Aurelio Luglio

Senior HR Advisor | Randstad HR Solutions | Aiuto le Imprese a valorizzare i Collaboratori | Premio Eccellenza 2021 - Lido Vanni di ManagerItalia | Vice Presidente AIDP ER

7 anni

Grazie delle considerazioni...

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