Digitale italiano: cosa c'è che non va?
Sempre più spesso mi imbatto in articoli o in semplici status che lamentano la mediocrità e lo scarso spessore del panorama digitale italiano, scagliandosi soprattutto sui suoi protagonisti, accusati di qualsiasi nefandezza. Ai "digital guru" nostrani viene contestato di non essere capaci di fare rete (o al contrario di creare le solite piccole cricche), di non condividere davvero le loro competenze, di guardare soltanto ai propri orticelli, di essere egocentrici, autoreferenziali e in perenne lotta tra loro, mentre scalano l'olimpo del web italico tra eventi, pubblicazioni e apparizioni sui media "tradizionali", ancora troppo influenti per non essere considerati da molti un traguardo.
Vengono accusati di incoerenza e di ipocrisia, perché se da un lato esaltano i prodigi del digitale e del web, dall'altro si fanno grandi dei loro libri di carta e delle pagine a loro dedicate da giornali e magazine, oltre che degli inviti in trasmissioni televisive o radiofoniche. Materiale che poi spammano pesantemente sui propri canali con malcelato orgoglio e senza alcun pudore, generando un'ammirazione che spesso rasenta il culto della personalità, in quelli che non provano fastidio o addirittura intolleranza nei loro confronti, come invece accade in alcuni casi.
Confesso che talvolta lo sconforto contagia anche me, ma faccio davvero fatica a scagliarmi contro la maggior parte di loro (tutti quelli che non esagerano), perché il problema giace molto più in profondità e non riguarda soltanto il panorama digitale; questo, io credo, ha la sola enorme colpa di non essere ancora riuscito a trovare una strada nuova, un modello che sappia esaltare davvero le opportunità della rete e portarci finalmente in quell'epoca nuova che in molti attendiamo da anni.
In questi ultimi 25 anni, dall'arrivo di internet all'affermazione della rete, infatti, ciò che è accaduto è che il web è servito ad aziende e professionisti del settore e del suo indotto per fare qualcosa che è da sempre nel loro DNA: mettersi in evidenza, proporsi, affermarsi e posizionarsi sul mercato per imporre la propria egemonia, guadagnando denaro, potere, fama e ammirazione. E insieme a tutto questo anche l'inevitabile invidia dei perdenti, ovviamente.
Non c'è nulla di strano o di nuovo, in questo, perché chi fa impresa sa bene che l'obiettivo ultimo di tutti gli sforzi è quello di fatturare, ma il disagio che molti provano verso il web è proprio in questo, io credo. Ci aspettavamo qualcosa di più e di meglio, dalla rete. Nessuno si illudeva che essa avrebbe rovesciato in breve tempo il sistema e dato vita ad un nuovo modello, ma c'erano comunque delle aspettative che, a mio avviso, non hanno prodotto alcun risultato.
Al contrario, lo stato dell'arte del panorama professionale del digitale italiano assomiglia in modo imbarazzante a tutti gli altri ambiti, settori e comparti del business, in cui cricche e cartelli di aziende e di professionisti si spartiscono il mercato con mezzi e modalità assolutamente tradizionali, così come i media che da sempre li supportano nella loro azione.
È il business, bellezza, e noi non ci possiamo fare niente. Oppure si? In tutta onestà credo che la vera sfida del digitale italiano (e non solo) sia in questo e in poco altro, nei prossimi anni, perché se vogliamo una rete che faccia davvero quello che promette dobbiamo essere capaci di sconfiggere le logiche del business tradizionale e trovare strade nuove da percorrere.
Strade sulle quali le persone non vengano più giudicate in funzione dei loro titoli e del denaro che sono capaci di farsi pagare da clienti, committenti e datori di lavoro, ad esempio, ma in base alla loro capacità di fare rete e di mettere le proprie competenze in sinergia con altri professionisti, aziende e risorse.
Strade sulle quali le aziende non siano pesate sulla base del loro fatturato, dei premi e riconoscimenti vinti in chissà quale competizione o contesto e del numero e prestigio dei clienti, ma sulla loro attitudine alla coopetizione e alla ricerca.
Ma soprattutto strade sulle quali non ci sia più spazio per tutte quelle realtà che non sono disposte a spegnere i riflettori che le illuminano in modo esclusivo e a far luce su tutto il panorama, condividendo davvero e consentendo a tutti di crescere e di respirare in sinergia, piuttosto che in lotta, perché non è più vero (ammesso che lo sia mai stato) che la concorrenza migliora il prodotto.
Essa migliora solamente la capacità delle aziende di sviluppare prodotti e servizi che piacciano di più ai consumatori e che abbiano un margine di guadagno più alto. È così che sono nati pessimi prodotti di massa, apprezzati e acquistati perché imposti, mentre oggi le PERSONE cercano qualcosa di profondamente diverso: qualcosa che faccia vincere tutti (ambiente compreso), non soltanto le aziende e i professionisti che ci fanno business.
Se il panorama digitale italiano saprà fare questo miracolo, cambiando davvero il modo di fare business e di stare sul mercato, allora tutti i suoi protagonisti avranno vinto e potranno davvero definirsi dei Guru. Fino ad allora saremo tutti soltanto delle scimmie nude che raccontano sul palco la loro idea di digitale, a persone che si illudono di sentirci dire che questa rivoluzione è davvero compiuta.
CONSULENTE CREATIVO
7 anniDevo dire che trovo deleterie le varie frasi che si incontrano sul web e che mi ricordano quei libercoli che titolavano "Chitarristi in 24 ore" . Fanno sembrare facile ciò che non è. Condividere realmente le esperienze non è cosa semplice. Forse per una radicata propensione a tirare su muri intorno ai propri orticelli. Resto convinto che il miglior insegnante è colui che spera di essere superato dall'allievo. Perché solo così si ottiene quella spinta necessaria a progredire.
Buyer at Procurement Intelligence Innovability Enel Green Power
7 anniSacrosante parole, unite al fatto che servirebbe quel minimo di umiltà ai cosiddetti guru