Dumping articolo NEURODIVERSITÀ O DISABILITÀ? Divercity n. 16, 2022

Dumping articolo NEURODIVERSITÀ O DISABILITÀ? Divercity n. 16, 2022

L’articolo parte col piede sbagliato già dal titolo “NEURODIVERSITÀ O DISABILITÀ?” come se l'una escludesse l’altra e mostrando da subito di avere poca o nulla familiarità con l’argomento.

Nelle prime righe riesce a fare peggio. Si legge “Il paradigma della neurodiversità si è esteso fino ad abbracciare condizioni che interessano la sfera cognitiva, come la dislessia, la discalculia, la disprassia, ma anche la sindrome di Tourette, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e lo spettro autistico.”. In verità il concetto  e il paradigma nascono per dire che qualsiasi sviluppo cognitivo umano afferisce alla neurodiversità. La neurodiversità (neurological diversity) rappresenta una sottocategoria della biodiversità. Se declinassimo quel passaggio usando biodiversità ci leggeremmo “il paradigma della biodiversità si è esteso fino ad abbracciare forme di vita che interessano le alghe, i batteri, gli opilionidi ma anche i mustelidi e altre tassonomie”. Non avrebbe nessun senso e sarebbe anche chiaro a tutti. Il concetto di biodiversità nasce per includere tutte le forme di vita, da subito. Il concetto di neurodiversità fa lo stesso ma in relazione al sistema nervoso umano.

L’articolo prosegue con “In altre parole, si sta passando dal concetto di malattia a quello di differenza.” in realtà non è questo il fondamento del paradigma perché è un paradigma sociale. Quello che dice è: tutti gli sviluppi umani sono egualmente validi, hanno una loro dignità e vanno rispettati. 

I movimenti per la neurodiversità sono in tutto il mondo e non solo negli Stati Uniti d’America, anzi, i movimenti più interessanti ed attivi stanno in UK, Australia ed Europa, incluso in Italia con la presenza di Neuropeculiar.

Nel passaggio “Mettere in discussione il concetto di disabilità e di malattia, percepita come sinonimo di emarginazione, diventa rivendicazione di un’identità: “siamo fatti  così”. Le differenze a livello neurale che caratterizzano le neurodiversità non sono più viste come un ostacolo o un limite: divengono modi “diversi” di relazionarsi al mondo, [...]. Dall’altra parte della barricata c’è chi, come le associazioni di genitori, chiede invece il riconoscimento della malattia e quindi il diritto alla cura e all’assistenza. Sono posizioni molto diverse tra loro, che aprono la strada a un dibattito profondo e complesso, anche con le Neuroscienze.” si mostra ancora di non avere coscienza delle istanze che porta avanti il movimento. Prendendo un passaggio dal mio scritto per “Almanacco TUPS 2022. Nuovi disturbi autistici”, possiamo affermare che “L’intento di Judy Singer è stato quello di aggiungere il concetto di differenza neurologica, Neurodiversità, alle intersezioni di classe, disabilità, etnia e genere alle categorie, precedentemente limitate di disabilità riconosciute dagli strumenti governativi, sanitari e assistenziali, ovvero fisica, intellettuale e psichiatrica (spesso utilizzata come deposito di qualsiasi cosa non compresa dalla professione medica) e alla teoria e attivismo per i diritti delle persone con disabilità. Neurodiversità rappresenta una lente analitica per esaminare questioni sociali come la disuguaglianza e la discriminazione.”. Quindi le neuroscienze non c’entrano nulla con questo paradigma, non è vero che l’intento è quello di non avere supporto o negare eventuali necessità di supporto ma è tutt’altro.

Proseguendo nella lettura dell’articolo troviamo un altro grosso errore “Quello della Neurodiversità è diventato un vero e proprio movimento bio-politico-sociale”. Non esiste nessun movimento “bio-psico-sociale”. Quando si parla di “bio-psico-sociale” ci si riferisce ad un modello medico che è quello su cui si basa l’ICF dell’OMS. Il movimento della neurodiversità poggia le sue basi sul modello sociale della disabilità che è un modello emancipativo e politico creato dalle stesse persone disabili.

Si nota inoltre che in molti passaggi si fa riferimento a “altre condizioni di neurodiversità”, “alle neurodiversità ad alto funzionamento” (sic!) o alla neurodiversità come se fosse un’etichetta che comprende le condizioni neurodivergenti. NO! La neurodiversità comprende tutti gli esseri umani, anche quelli a sviluppo tipico. Ricordiamolo, sarebbe come dire che nella biodiversità ci stanno i gatti ma non i cani. Come scrive continuamente Judy Singer “neurodiversità non è un'etichetta che va a sostituire quelle di autismo, ADHD o qualsiasi altra condizione”.

Le istanze che porta avanti il movimento non sono quelle di eliminare gli interventi ma di renderli etici, rispettosi delle differenze e di affermare che una persona neurodivergente non può essere trasformata in qualcosa che non sarà mai. Chiede di tener conto delle differenze relazionali, sensoriali, comunicative e cognitive. Per fare un esempio che possa chiarire, si chiede di fare ciò che è stato fatto con le persone mancine: smetterla di obbligarle ad usare la mano destra perché l’uso della sinistra era considerato patologico.

Sottolineo un altro problema, che io considero rilevante, di questo ed altri articoli come questo. Parlare di neurodiversità non è cosa da psi*, da medici, clinici, terapeuti o da altra categoria simile. La neurodiversità è un costrutto che afferisce alle scienze sociali. Volete intervistare qualcuno che vi racconti cosa è? Ingaggiate una persona dedita all’attivismo e che sia competente e collocata all’interno del movimento della neurodiversità, unǝ sociologǝ, unǝ folosofǝ o unǝ antropologǝ.

Maurizio Goetz

Corporate Visioneer -founder delle metodologie di Imagination Design Coaching

2 anni

la neurodiversità cognitiva è un fattore di abilitazione degli eco-sistemi sociali di ogni genere, altro che disabilità. Concordo pienamente con l'analisi.

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