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Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali è arrivato alla quinta edizione, tralasciando critiche e punti di forza, ecco una classificazione sempre basata sui sintomi ma ridotta a due importanti categorie diagnostiche. Ovviamente è un’operazione impropria, ma dividerei le categorie di malati in chi occupa una posizione fissa in queste due categorie:
- Coloro che si ammalano anche di malattie mentali
- Coloro che fanno ammalare gli altri
La prima categoria la conosco bene, sono delle persone “buone” e tante volte anche sane mentalmente ma solo in condizioni di indigenza.
Scusate faccio una divagazione sul reddito e pensione di cittadinanza, provvedimento tanto odiato perché non premia il merito ma da un filo di pane a chi si trova in condizioni di bisogno, e getta le basi per un reinserimento nel mondo del lavoro.
Credo sia tanto odiato non solo dalla seconda categoria di persone che cito, ma idealmente anche da chi vede un mondo basato su gerarchie dove solo chi esercita efficacemente volontà e virtù può aver diritto a un sostentamento. Infine una riflessione che spero non corrisponda del tutto al vero, il provvedimento è osteggiato dai penultimi di questa generale classifica di chi ha diritto di avere una vita dignitosa, perché avere gli ultimi troppo vicino ricorda anche a loro di non essere poi cosi dominanti. In questa gerarchizzazione delle relazioni umani ovviamente si guarda solo il vicino in basso, mai sopra.
Ritorniamo alla seconda categoria di persone, che nessuno mai definisce come malati o meglio “ammalanti”, appaiono sicuri di sé, decisi, non dubitano e non esitano, e con la verità in tasca risolvono la complessità del mondo con azioni e frasi nette e semplici, con micro-verità che rimesse insieme non ridanno mai il senso del tutto. L’altro è visto come un oggetto relazionale, come un bene di consumo, da usare e sostituire quando logoro.
I primi invece hanno una coscienza inquieta, sono dubbiosi, desiderano ma hanno paura, sono vulnerabili ma non si piegano a diventare prototipi normalizzati della “cultura gerarchica” dominante. Nelle relazioni con gli altri sono spesso empatici, disorganizzati ma sentono l’altra persona, la riconoscono.
Ma la prima è una posizione difficile e dolorosa, la cultura dominante di questo tempo ci suggerisce una facile scappatoia, un’operazione facile e indolore, basta rafforzare l’ego e costruire barricate e muri per non far passare il pensiero dell’altro e passare quindi alla seconda categoria.
Posizione che va rafforzata puntualmente trovando folli, sfaticati, diversi su cui depositare le nostre angosce, dei colpevoli freschi di giornata. Ecco con questa semplice operazione, rafforzando l’ego e chiudendosi, prendiamo le distanze dalla nostra follia e la attribuiamo ad altri, riprendiamo così il controllo, e chi non ce la fa è solo uno che non si impegna abbastanza.
Roberto Petrini
Mergo 20-10-2020