E'​ così difficile cambiare?
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E' così difficile cambiare?

Certamente sì. Possiamo farne a meno? Certamente no.

Per le organizzazioni cambiare è praticamente un obbligo per poter continuare ad esistere e sopravvivere in un ambiente che è sempre stato e lo sarà sempre in continua trasformazione. Oggi, però, con una velocità crescente.

Le ragioni che possono ostacolare i processi di cambiamento possono essere oggettive oppure soggettive. Le prime risiedono nello specifico contesto in cui opera ogni azienda e nelle sue modalità di interazione con i mercati di riferimento; le seconde, che spesso rappresentano gli ostacoli più rilevanti, dipendono invece dalle abitudini, dagli atteggiamenti, dai comportamenti e dai modi di pensare delle persone. Per una organizzazione tali ostacoli diventano ancora più insormontabili se sono "caratterizzanti" i manager e i gruppi di vertice.

In realtà, però, nelle dichiarazioni espresse tutti vogliono cambiare o hanno compreso l’importanza del cambiamento ma poi all’atto pratico….

Posto che tutto è in continuo movimento e cambiamento, perchè così è la natura delle cose, è opportuno fare alcune precisazioni quando si fa riferimento a questi temi.

Un prezioso contributo viene dalla suddivisione proposta da Ronald Heifetz, Marty Linsky e Alexander Grashow, frutto della loro attività presso la John F. Kennedy School di Harvard. Per loro i cambiamenti possono infatti essere:

  • problemi tecnici
  • sfide adattive.

Oggi siamo chiamati ad affrontare soprattutto cambiamenti adattivi e, per affrontarli, si richiede alle persone che li vivono e che li guidano/gestiscono un diverso approccio di pensiero e soprattutto nuove competenze.

Tale pensiero viene messo in luce anche in ambiti non tradizionali per chi si occupa di organizzazione aziendale quali: le neuroscienze, la fisica quantistica e la biologia evolutiva. Discipline che offrono utili indicazioni sul funzionamento delle organizzazioni e, in particolare, sul modo di pensare e agire delle persone.

Per non sentirsi disorientati e spiazzati di fronte a queste sfide adattive, diventa essenziale dedicare risorse specifiche e un’attenzione nuova a ciò che si richiede per attivare i processi di cambiamento. Prendendo piena coscienza che al centro dei questi processi ci sono le persone nei vari ruoli che esse ricoprono. Con le loro paure e le loro potenzialità. Cambiare le abitudini e uscire dalla propria zona di comfort sono da sempre riconosciute come tra le azioni più difficili da compiere. Anche se razionalmente si accetta il cambiamento, quando ci si trova in situazioni complesse o a lavorare sotto stress è naturale tendere a replicare i "vecchi" modelli di comportamento.

Chi ricopre un ruolo di leadership, per interpretare il ruolo di agente del cambiamento, non deve solo innovare, a partire da se stesso, ma gestire l'innovazione e i processi che ne sono alla base; compito che è sempre più difficile. L’innovazione, infatti, non è solo "composta" di materialità e tecnologia, ma è anche sempre più riconducibile a reti di relazioni, modelli organizzativi, persone, valori e significati. Il problema è capire come gestire al meglio queste diverse dimensioni.

Ciò che è richiesto a imprenditori e manager è una metamorfosi comportamentale che si può ricondurre ad alcune specifiche "sfide":

•      aprire la mente;

•      dedicare un po’ di tempo a fantasticare;

•      rendere l’errore un’opportunità;

•      essere curiosi e affamati;

•      essere non conformisti.

E, soprattutto, prepararsi all’inatteso. Teniamo ben presente che l’inatteso spesso ci sorprende. Il fatto è che siamo "ancorati" con grande sicurezza alle nostre teorie e alle nostre idee, e che queste, spesso, non hanno alcuna capacità di accoglienza per il nuovo. Ma il nuovo si manifesta continuamente e non possiamo mai prevedere il modo in cui si presenterà. Una volta giunto l’inatteso, si dovrà essere capaci di rivedere le proprie teorie e idee più che cercare, a tutti i costi, di incasellare il nuovo nei modelli teorici esistenti e spesso incapaci di accoglierlo veramente.

Tutto ciò ben consci di vivere e agire all’interno di un sistema e senza dimenticare che le organizzazioni sono a loro volta sistemi legati da tessuti invisibili di azioni interconnesse. Dato che noi stessi siamo parte di questa trama, vedere l’intero schema non è sempre facile.

Ma è una necessità se vogliamo interpretare correttamente i problemi e le sfide, se vogliamo trovare le soluzioni più efficaci alla sopravvivenza e allo sviluppo delle organizzazioni di cui siamo parte.

Un contributo rilevante ci giunge dalle elaborazioni di Peter Senge e dal pensiero sistemico. Uno schema concettuale, un corpo di conoscenze e di strumenti elaborato nel corso degli ultimi cinquant’anni per rendere più comprensibile la realtà e per aiutarci a scoprire come affrontarla in modo efficace.

Uno schema che ci indica una chiara strada: per comprendere i problemi importanti dobbiamo guardare al di là degli errori dei singoli o della cattiva sorte. Dobbiamo guardare al di là delle personalità e degli eventi.

Dobbiamo guardare alle strutture sottostanti che modellano le azioni individuali e creare le condizioni in base alle quali i diversi tipi di eventi diventano probabili.

Non si tratta solo delle interrelazioni tra singole persone, che pur hanno un peso rilevante, ma anche fra variabili chiave, come la popolazione, le risorse naturali, i cambiamenti climatici, etc. O, ancora, tra le idee di prodotto espresse dai tecnici e il know how tecnico e manageriale presente all’interno di un’azienda.

Se le cose esistono in quanto risultato di una relazione, una organizzazione similmente è il risultato di un insieme di relazioni. La loro quantità e qualità determineranno le caratteristiche dell’organizzazione e la sua capacità di sopravvivere. Dunque, bisogna comprendere come le relazioni funzionano e imparare a gestirle nel miglior modo possibile.

Ciò richiede uno stile di leadership che faciliti le iniziative sistemiche di cambiamento e sempre meno come un comportamenti di tipo gerarchico basato su un approccio top - down.

Una leadership consapevole della necessità di una progettazione collettiva e caratterizzata da una visione ampia e fortemente legata alla immaginazione.

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