…e se il commercio mondiale si incaglia?
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…e se il commercio mondiale si incaglia?

Per iniziare in allegria, è giusto chiedersi: poteva andare peggio?

Sì.

Un articolo pubblicato sul sito web del World Economic Forum afferma che se l’incidente si fosse verificato qualche chilometro più a nord, dove la costa non è sabbiosa ma rocciosa, la nave avrebbe iniziato a imbarcare acqua. E se già non è facile disincagliare un bestione di 400 metri di lunghezza e 16 metri di pescaggio quando è intatto…figuriamoci se è anche pieno d’acqua, magari inclinato su un lato.

L’intraversamento della portacontainer Ever Given ha riacceso improvvisamente i riflettori sulle problematiche delle catene di approvvigionamento mondiale. E ci apre gli occhi su una verità forse mai del tutto compresa: l’equilibrio su cui si regge il commercio internazionale è fragilissimo.

Il blocco del canale di Suez costa 9,6 miliardi di dollari al giorno e questo conteggio riguarda solo il valore delle merci giornalmente trasportate da un lato all’altro del canale. Se a questa cifra sommiamo i ritardi nella consegna delle materie prime necessarie per le imprese manifatturiere, i disagi della logistica e le perdite delle società che lavorano nei porti il problema diventa ancora più serio. Un articolo interessante pubblicato su Trasporto Europa, afferma che le prime stime si assestano su una cifra pari a 400 milioni di dollari all’ora di danni. D’altronde, sono 19.000 le navi che hanno percorso il canale nel 2019, facendo transitare merci pari al 12% del commercio mondiale.

A volte la realtà supera la fantasia e il risk based thinking a cui ormai tutti sono abituati, anche le imprese più esposte verso l’estremo oriente con la propria supply chain (dite la verità, chi di voi aveva inserito l’interruzione del canale di Suez tra i possibili rischi per la propria azienda?). #suezBLOCKED dà una sveglia, mostrandoci come le economie siano tanto interdipendenti quanto indifese di fronte ad eventi naturali o a blackout tecnologici.

Per risolvere il problema pare che sul tavolo ci siano varie opzioni: continuare con i tentativi di traino con i rimorchiatori, liberare la prua della nave con escavatori, alleggerire la nave rimuovendo parte del carico o tutte queste tre azioni messe insieme. Alcuni esperti dicono che nel worst case scenario potrebbero servire settimane per riaprire il canale, cosa che porterebbe a una sofferenza nelle scorte di materie prime già messe a dura prova dagli aumenti di prezzi e dalla scarsità presente da inizio 2021 e ad un aumento di prezzi dei prodotti: basti pensare che in questi soli 3 giorni di chiusura, una quantità di petrolio pari a 13 milioni di barili è rimasta bloccata dall’altro lato del canale.

Mentre attendiamo fiduciosi le decisioni degli armatori, combattuti tra l’attendere la riapertura o circumnavigare l’Africa, 3 riflessioni:

  • Se mai ce ne fosse stato bisogno, abbiamo l’ennesima dimostrazione di quanto sia importante tutelare le imprese manifatturiere affinchè continuino a produrre nel nostro Paese
  • Da troppo tempo manca una politica industriale che tenga conto del settore della logistica e dei trasporti, senza cui tutto resta fermo
  • Emergenza Covid e “crisi di Suez” porteranno a supply chain più corte e reshoring?
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Fabio Varano

Ceo - Demac S.r.l.

3 anni

Problema storico basato su interessi internazionali

Marcella Uttaro

Of Counsel - Market Access & Development - Andersen in Italy - Italian Manager for International Trade

3 anni

È un tema che va affrontato seriamente.

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