EL CAMINO, o la rivincita di Jesse Pinkman.

EL CAMINO, o la rivincita di Jesse Pinkman.



Ci eravamo lasciati il 29 settembre del 2013 con un Jesse Pinkman che schizzava via a bordo della Chevrolet “El camino” come un proiettile verso chissà dove, barbuto, puzzolente, pieno di ferite, di cicatrici e parecchi kg di traumi e volontà di resilienza. Un Jesse Pinkman che corre tra le braccia della libertà, con tutte le clausole possibili e immaginabili. Un Jesse sollevato, felice, le cui urla sono accompagnate da un pianto liberatorio e isterico perché è stanco e non vede l’ora di allontanarsi non tanto dai poliziotti, quanto invece da quel posto maledetto come se fosse Auschwitz. Scappare per riprendersi la propria vita in mano: per alcun un atto di codardìa, per altri un nobile atto di coraggio. Un Jesse Pinkman che sapeva cosa lasciava, ma non ciò che poteva trovare lì dietro l’angolo. 


La straordinaria capacità di Gilligan di creare, descrivere e scavare a fondo nelle paure e nella forza dei suoi personaggi è una qualità che si vede sempre meno nei serial e in questo film, per così dire crepuscolare e che completa un po’ il cerchio, ce ne rendiamo pienamente conto. 


Il fascino di Breaking Bad è fatto dei suoi personaggi. A partire da Walter White/ Heisenberg, così iconico, così giusto e sbagliato: nemmeno ce ne rendiamo conto che in realtà ci ritroviamo a tifare per uno che non sta facendo altro che fabbricare morte. Skyler, la donna più odiata d’America che a momenti spodesta Madalyn Murray O'Hair. 


In El Camino si dà molto spazio anche a Todd. Uno dei personaggi più inquietanti. Perché fa paura con la sua banalità. Todd è questo, un uomo banale. Un soldato che esegue, che pensa con la testa di un altro, quella di zio Jack. Banale perché no sa più cosa è giusto e cosa è sbagliato. Un uomo banale perché è pronto ad uccidere un bambino in bici senza pensarci troppo. O lasciarlo orfano. Uno che vuole essere amico del prigioniero, ma non sa che è fuori luogo e inappropriato. Uno che si mangia la zuppa con un cadavere a soli 5 metri da lui. Uno che ha perso tutta l’empatia che una persona normale potrebbe manifestare. Da una persona così ti aspetti tutto e niente. Un uomo senza più umanità.

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Il film ci ricorda che la vita è fatta di scelte, delle persone che ci circondano, di come vivono la la propria esistenza e noi abbiamo una scelta: seguire o essere seguiti. Jesse non è mai stato un leader e quelle volte che ci ha provato ha fallito, lo vediamo anche qui. È rimasto sé stesso: ha seguito il consiglio del nonno che si è scelto (Mike) è maturato e ha seguito il suo cuore con razionalità.


Ci lasciamo con un Jesse Pinkman che con calma va verso un posto che si chiama Alaska, l’ultima frontiera. È ripulito, indossa un maglioncino chiaro e ha tanta voglia di ricominciare. Ma non è un Jesse sollevato, no. È un Jesse consapevole e maturo, una persona che porta delle cicatrici sia fuori che dentro di sé, che attraversa in silenzio una strada innevata e fredda, uno scenario davvero insolito, ma non nuovo in Breaking Bad. 

Ora possiamo andare a dormire tranquilli. Anche Jesse ha avuto al sua redenzione.

Ora è un uomo a tutti gli effetti. Un Jesse Pinkman che sa da dove viene e che sa dove andare.

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