Elezioni americane, tutto in discesa per Trump?
Il dibattito tra Trump e Biden | AdnKronos

Elezioni americane, tutto in discesa per Trump?

Biden esce sconfitto dal dibattito contro il Tycoon e mina le certezze dei Democratici che pensano a un sostituto. Ma la vera arma di seduzione di Trump è la politica realista che piace (anche) agli elettori

Il dibattito tra Biden e Trump ha visto un solo vincitore. E non stiamo parlando del Presidente uscente Joe Biden, che ne è uscito talmente malconcio che un gruppo di governatori democratici gli ha chiesto un confronto privato, per discutere delle prossime mosse nel quadro della campagna elettorale, in vista delle elezioni presidenziali di novembre.

Nella corsa alla Casa Bianca, Donald Trump è avanti di 3 punti percentuali sul rivale democratico – 41% contro 38% - secondo un sondaggio di Usa Today, svolto a margine del primo e recente dibattito.

E per quanto la forbice non appaia così ampia, la notizia va letta in termini pessimistici dalla compagine democratica, poiché secondo un altro sondaggio – condotto da Harvard Caps/Harris, il 1° luglio – più del 70% degli americani ha già deciso per chi votare. E il vincitore non sembra appartenere al gruppo dei Democratici.

Tra le contromosse, al vaglio dei massimi dirigenti Dem, vi è anche l’opzione – un po’ a sorpresa – del cambio di candidato. L’Agenzia Reuters, citando fonti ben informate, sostiene la possibile candidatura di Kamala Harris che “succederebbe” a Biden in caso che di rinuncia, ereditando dal Presidente americano l’ampia rete di contatti e di fondi (circa 240 milioni di dollari) ad ora in cassa, per il prosieguo della campagna elettorale.

Tuttavia, anche in questo caso, secondo un sondaggio della CNN (del 3 luglio) Harris è data perdente contro Trump: 45% contro 47% dei consensi.

Perché Trump piaccia così tanto agli americani, in questo momento storico, è stato chiaramente messo in luce da A. Byers (ricercatore presso l'Albritton Center for Grand Strategy della Texas A&M University) – e da R. Schweller (Professore di Scienze politiche e direttore del Programma per lo studio della politica estera realista presso l'Ohio State University) dalle colonne di Foreign Affairs, importante rivista di politica internazionale americana.

Con la fine della Guerra fredda, gli Stati Uniti sono divenuti il primo e unico “dominatore del mondo”, legando – tramite i c.d obiettivi di ambiente (tra cui libertà, democrazia e libera impresa) – il benessere degli attori della comunità internazionale al benessere della potenza dominante a cui questi sono legati, dunque agli USA.

Ma poi, il sistema di alleanze, si è inceppato, dando vita a potenze revisioniste che hanno provato a ritagliarsi il loro “spazio di benessere” lontano dal controllo americano, come la Cina. La politica estera americana, a detta dei tanti sostenitori di Trump, è stata fin troppo muscolosa ed espansiva: «Perché pagare per la difesa dell’Europa, quando in Europa è pieno di stati ricchi che non spendono nemmeno il 2% del PIL in armamenti?»

È questo più o meno il pensiero di Trump, che ha portato avanti durante il primo mandato, mettendo a segno una politica realista dove la competizione ha la meglio sulla cooperazione.

Trump, in seno al partito, combatte contro due grandi nemici: i neo-conservatori e i primatisti che ben rappresentano l’establishment tradizionale repubblicano del Senato americano, e che sostengono con forza la difesa dell’Ucraina; nella sua lotta che vede contrapposta la democrazia all’autocrazia russa. Ma il tycoon sta riuscendo nell’impresa di far cambiare idea a tanti senatori tradizionalisti, avvicinandoli alle sue idee: quelle dell’America First e del massimo astensionismo possibile dall’uso della forza militare quando la minaccia non riguarda direttamente il suolo americano. E qui, cari lettori rileggete il Trump-pensiero: «Perché pagare per la difesa dell’Europa, quando in Europa è pieno di stati ricchi che non spendono nemmeno il 2% del PIL in armamenti?».

Dall’ottica americana, e di Trump, la presa di posizione è difficilmente attaccabile.

Se Trump verrà rieletto, proseguirà con il suo programma di riduzione e/o astensione dall’uso significativo di forza militare, concentrando le attenzioni verso Pechino (e Taiwan). Beninteso, Taiwan non è un alleato degli USA ma per Trump è necessario scoraggiare una eventuale invasione da parte della Cina, facendo uso di armi economiche come il controllo sulle esportazioni di tecnologie all’avanguardia.

Questo, perché Trump vede la politica mondiale in termini geoeconomici piuttosto che geostrategici.

La politica interna trumpiana, infine, sarà guidata da misure volte a depotenziare la dipendenza dai Paesi del Golfo, spesso al centro di instabilità politica, sociale ed economica, allargando – tra le altre cose – le maglie normative che disciplinano le modalità e le aree in cui trivellare per estrarre gas e petrolio sul suolo americano.

Armando ZIPPO

Promoter presso CLUB B2B ADRIO-BALTICO

6 mesi

Speriamo per Trump! Basta Rimbamb-Biden per finire con le Guerre in casa altrui!!!

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