EXPORT DI VINO: UN SISTEMA “MOLTI A MOLTI” O “UNO A UNO”?

EXPORT DI VINO: UN SISTEMA “MOLTI A MOLTI” O “UNO A UNO”?

Quello che sta avvenendo al mercato del vino italiano nel mondo è un cambiamento importante. Ha a che fare con un diverso mix di vini esportati: più bolle, meno vini importanti. Ha a che fare con il cambiamento del consumatore, mediamente più evoluto di pochi anni fa. Ha a che fare con nuovi canali distributivi, che non significa solo online. E come in ogni cambiamento, non è mai possibile sapere con anticipo quali saranno gli scenari in un futuro anche vicino: nuovi paesi si affacciano all’orizzonte, sia come mercati di sbocco, che come paesi produttori, quindi competitor per le nostre cantine. La Cina, tanto per nominare quella sulla bocca di tutti, rappresenta solo un mercato potenzialmente interessante, o diverrà a breve anche un produttore degno di competere sui mercati internazionali? In altri ambiti, ha dimostrato di saper correre a velocità inimmaginabili per l’Occidente. Nella tecnologia, è riuscita a passare nel giro di pochissimi anni da paese follower (guardo e copio a basso prezzo) a paese leader, con aziende che innovano ben più di quelle occidentali.


E dato che sono fermamente convinto di quanto (non) ha detto Darwin, ritengo che “non sia il vino più buono, o quello più economico a sopravvivere, ma quello che sa meglio adattarsi al cambiamento”. Mi perdonerete la parafrasi, spero.


Siamo sicuri che l’approccio all’Export adatto fino a qualche tempo fa sia ancora valido? Come possono i vari produttori adeguare la propria offerta, per essere attraenti verso il nuovo compratore/consumatore? La risposta a questa seconda domanda (la risposta alla prima la diamo per scontata…) comprende molti aspetti, non tutti analizzabili in questa occasione, ma su un aspetto vorrei porre l’attenzione.


Finora la gran parte delle Cantine ha approcciato l’estero con una modalità “molti a molti”; molti produttori insieme (fiera, b2b ecc) si rivolgono a molti buyer insieme. L’esempio classico è la cantina che fa il Vinitaly, il Prowein o il Vinexpo, sperando nel passaggio di un buyer. Molti che offrono, molti che comprano, con un matching lasciato più o meno libero. Più libero nella fiera, più guidato in un b2b.

Non si vuole certo negare l’importanza delle fiere, che anzi rappresentano uno strumento importantissimo (scrivo questo articolo in un hotel in attesa di una fiera), ma oggi la scelta è talmente ampia che una cantina potrebbe passare 360 giorni l’anno in fiera. Dispendio di risorse: alle stelle.

Un approccio diverso è invece quello rappresentato dal modo “uno a uno”; un produttore che si rivolge ad un buyer in particolare. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

Credo che (quasi) ogni Cantina ed ogni vino abbiano un potenziale acquirente, da qualche parte del mondo. Può trattarsi di un importatore, di una grande distribuzione, di un’enoteca, o anche di un club di privati. Può sapere di aver bisogno di quel tipo di vino, ed in tal caso probabilmente si è già attivato nella ricerca o, più probabilmente, può non saperlo, semplicemente perché non conosce la Cantina, né la denominazione, né magari la regione di provenienza. E non perché sia “ignorante”, anche se Aldo e Giovanni direbbero che lo è, nel senso che ignora, ma perché l’offerta di vini nel mondo è talmente ampia che nessuno può conoscere tutte le potenzialità che gli si prospettano davanti.

Provo a spiegarmi con un esempio. Un osservatore attento ed onnisciente potrebbe rilevare che in un determinato mercato sta aumentando il consumo di vini strutturati, veicolati principalmente da ristoranti importanti, bevuti principalmente da consumatori maturi, in prevalenza maschi, che vedono nel vino una scoperta ed un fattore di prestigio. Ora, questo cliente ben profilato, ha “bisogno” di una cantina ben particolare. Preferirà una Cantina con una storia da raccontare, meglio se da più generazioni della stessa famiglia. Preferirà un vino importante, complesso, meglio se affinato, e che abbia vinto premi o riconoscimenti. Preferirà un’etichetta “classica”, anche seriosa. Avrà probabilmente una buona capacità di spesa, e preferirà una Cantina con accoglienza, perché magari in futuro la potrebbe visitare.

Ora, seguitemi nell’esempio, ipotizziamo che la mia Cantina rispecchi queste caratteristiche: fondata da mio nonno nel 19XX, gestita da sempre dalla mia famiglia, produciamo vini affinati in barrique, siamo stati citati da Pinco Pallo, i nostri prezzi non sono entry level, le nostre etichette rispecchiano i nostri vini ed abbiamo alcune camere in un bel contesto. Non siamo in una zona “famosa” , la nostra DOC/DOCG non è conosciuta, ma questo non rappresenta un grande problema.

A questo punto il mio Export Manager, se ne ho uno, cosa può fare: agire con il “molti a molti”, e cercare un evento nella zona di interesse. Prende uno stand, un tavolo, o un banchetto, e cerca di entrare in contatto con l’importatore di turno.

Oppure può agire con il “uno a uno”, e cerca il contatto di cui ha bisogno. O meglio, cerca il contatto che ha bisogno del mio vino, anche se ancora forse non lo sa. Il lavoro è più a monte. Si parte dal capire DOVE il mio vino può avere un mercato, poi si cerca di capire CHI può essere il mio cliente, sia inteso come compratore che consumatore finale, ed al quel punto si fa l’offerta personalizzata. Torniamo nell’esempio di cui sopra. Il mio Export Manager dovrebbe allora contattare un distributore della zona (per semplicità ipotizziamo che non ci siano monopoli, o three tier systems), e fargli una proposta mirata, solo per lui, esclusiva per lui. Gli spiegherà che non gli sta proponendo UN vino di UNA cantina, ma IL vino DELLA cantina che ha le caratteristiche giuste (storia, vini, etichetta, struttura, ecc) per fargli fare business. Da uno a uno, da me a te.


Il lavoro, come detto già sopra, è più a monte. Il costo? Sicuramente tempo, soldi, conoscenze del mercato sono necessari, ma quanto sarebbe costato, anche in energie, partecipare ad una fiera?


Con il metodo “uno a uno” non si spara nel mucchio sperando di colpire qualcuno, ma si sceglie con cura la preda e si calibra il colpo in modo specifico, dettagliato. Certo, è richiesta conoscenza dei mercati, anche delle nicchie, abilità nel preparare l’offerta specifica, pazienza e perseveranza, perché non è detto che il primo colpo sia quello che va a segno.


L’alternativa, però, è che se non lo facciamo noi, lo faccia qualcun altro, magari un cileno, o un cinese che hanno più fame e più voglia di crescere di noi.

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