FACCIO PRIMA A FARLO IO
Industry 3.0 e nanismo aziendale italiano
Perché le aziende italiane non crescono come le aziende di analoghi comparti nel resto di Europa? E’ noto che molte di queste aziende sono gestite a livello familiare, nel senso che l’imprenditore spesso rappresenta una continuità generazionale orgogliosamente esibita, poco incline a partnership , merge e quant’altro. Ritengo comunque che spesso una concausa sia da ricercare nel concetto del “faccio prima a farlo io…” che regna specialmente nel mid management, qualora si presenti il tipico quesito “Make or Buy”. In un mondo fortemente competitivo, dove difficilmente si possono far valere breakthrough technologies, il focalizzarsi sulle competenze core, delegando all’esterno attività importanti ma non strategiche , è segno di lungimiranza e focalizzazione sulle priorità. Ma qui nascono i problemi, perché un processo produttivo, un servizio, un accessorio, una documentazione tecnica, si possono esternalizzare se si hanno chiari i vari perimetri di confine tra le attività, e si ha una nitida visione di cosa si vuole o meno includere nelle competenze core. Il piu’ delle volte, mi è capitato di vedere in azione il “faccio prima a farlo io…” piuttosto che mettere in condizione una parte terza di svolgere un’attività non strategica, per liberare risorse per l’eccellenza e la specificità. Perché accade questo? Io credo che nelle nostre aziende valga spesso il concetto del “meglio un uovo adesso che una gallina domani” (tradotto: prendiamoci l’ovetto ora che non è detto che ci sia la gallina domani) , della frenesia di realizzare quanto prima un passo in avanti , o presunto tale, e di trascurare la visione o semplicemente l’ immaginazione, della meta finale. Tutto cio’ denota due aspetti che mi interessa sottolineare:
a) Una scarsa propensione alla pianificazione delle attività ed alla manutenzione della stessa nel medio/lungo periodo, che complica la gestione/identificazione delle priorità
b) La tendenza a chiudersi in sé stessi, a non fare sistema, a perdere occasioni di contaminazione culturale, di accrescimento e di visibilità, che sono importanti prerequisiti per la crescita.
E’ evidentemente una semplificazione eccessiva generalizzare questo tema, perché in Italia esistono eccellenze che hanno affrontato queste problematiche decadi fa, ma la mia impressione è che alla base del “nanismo” industriale italiano ci sia molto di questo “faccio prima a farlo io…” . Ed il lavoro di cambiamento di questo paradigma, specialmente nei managers con una importante seniority aziendale, è una sfida che molti imprenditori ritengono non valga la pena di essere affrontata. L’estremizzazione del concetto “faccio prima a farlo io…” è l’azienda , o meglio l’intellectual property aziendale che in buona parte risiede nelle teste di pochi personaggi, cresciuti con essa e convinti di fare il bene della stessa (e di sé stessi) rendendosi quotidianamente indispensabili. Queste “aziende nell’azienda” sfuggono facilmente a qualsiasi due diligence, che tradizionalmente si basa sui parametri finanziari/amministrativi, e non potrebbe essere altrimenti, almeno fino a quando non inventeremo la telepatia; inutile sottolineare quanto tutto cio’ esponga l’organizzazione a rischi importanti, sotto svariati profili.
In sostanza, lanciando una piccola provocazione, ritengo che prima di affrontare seriamente il tema dell’evoluzione Industry 4.0 (quella vera, non quella del solo super/iper ammortamento), ci sarebbe la necessità di arrivare all’Industry 3.0, se mi passate il termine, ovvero all’azienda che pianifica, che definisce e chiarisce le procedure e che detiene il pieno controllo delle competenze core .