Fare il musicista oggi

Fare il musicista oggi

Ultimamente sento parlare molto di artisti che si stanno ribellando al sistema di promozione discografica contemporaneo, lamentandosi di questi fattori:

  1. La promozione sui social su piattaforme come Instagram e TikTok.
  2. La visibilità sulle piattaforme di streaming.
  3. L’avvento dell'IA come sostitutiva della produzione musicale dell’artista.

Proviamo ad analizzare i tre punti e fare un focus su quale sia il vero problema. Primo, la promozione sui social. Figlia degli ultimi 10 anni di discografia internazionale, la promozione musicale sui social è stata un facile ed inevitabile shortcut per ampliare la propria fanbase. Da un lato, la velocità per raggiungere diversi target segmentati; dall’altro, la potenzialità di diffusione del prodotto, hanno fatto gola a tutte le case discografiche, che si sono trovate in mano uno strumento di analisi basato sui dati col quale selezionare su quali artisti investire e su quali no. Il giudice indiscusso è il target finale: il pubblico dei fan. Il piccolo problema è stato che questa procedura ha distorto completamente il concetto di artista, di musicista nel vero senso della parola, di creatore di contenuti di effettivo valore artistico. Ha favorito la scelta di musicisti con alta visibilità digitale rispetto a creatori di contenuti con un effettivo valore artistico duraturo nel tempo. Nonostante molti musicisti e artisti siano in cima agli influencer e alle celebrità più seguite sui social network, in un mondo in cui la fama è fugace, questi dovrebbero avere influenza e potere di resistenza sui social media. Ma data la necessità di andare in sovrapproduzione per essere visibili, si è abbassato notevolmente il valore artistico del prodotto finale: la musica. La conseguenza ovvia è che la notorietà a breve termine si misura sul trend momentaneo; abbiamo più cantanti che fanno singoli, rispetto a musicisti che fanno album.

Aggiungerei che molti artisti stanno lamentando come queste piattaforme private stiano tagliando loro i contenuti, impedendo loro di fare promozione. Questo succede quando veicoli il tuo messaggio solo a singole piattaforme, rispetto ad investire direttamente sulla tua presenza offline, concerti e alla consistenza del tuo prodotto online: media proprietari come siti, canali privati Telegram o WhatsApp. Non avere la proprietà dei dati rende gli artisti completamente dipendenti dal media sul quale si appoggiano, che decide autonomamente i loro obiettivi e le loro scadenze senza tener conto di chi siano. Se ci fermiamo un attimo su questo concetto, sia Instagram che TikTok non hanno come target generativo il musicista pigro. Affamate di contenuti, le piattaforme preferiscono piacersi di content creator sempre attivi, pronti a sfornare sempre più video e foto che mettano in pubblico costantemente le loro vite, aumentando l’engagement naturale dei fan e il traffico sulle piattaforme stesse. Non stupisce, di conseguenza, che un musicista si confonda sempre di più con un influencer o, complice le case discografiche, che un influencer con tanti follower ma con limitate doti da musicista diventi appetibile per un mercato disattento e distratto.

Questo ci collega al punto due: le piattaforme di streaming. L’algoritmo della piattaforma, unito all’enorme competitività data anche dalle nuove tecnologie, dalle infinite librerie di suoni e samples, all’intuitività sempre crescente dei software, all’integrazione delle AI negli stessi per "rippare" stems, loop e vocals, hanno estremizzato un processo che già si intuiva anni or sono quando le piattaforme di streaming hanno preso il sopravvento sul media fisico.

Artisti che in passato hanno lavorato bene, potrebbero non ottenere gli stessi risultati in futuro. Non sarà possibile registrare musica una volta ogni tre o quattro anni, non possono pensare che basterà.

Daniel Ek

In poche parole, il mercato musicale è cambiato e lo farà ancora, ma si sposterà sempre più nella direzione descritta da Ek; inutile lamentarsi per le royalties, i musicisti devono semplicemente lavorare di più. Ma per un’artista, come per qualsiasi essere umano, l'iper-produttività non solo porta ad un abbassamento naturale della qualità del prodotto, ma trasforma un gesto artistico, come la musica, in un gesto ripetitivo, il più delle volte mirato a stupire un pubblico disattento per pochi attimi, piuttosto che ad educarlo verso un ascolto consapevole.

Questo concetto di iper-produttività per essere visibile a tutti i costi in playlist e trend non solo sta cambiando completamente il ruolo dell’artista, ma lo sta plasmando verso una direzione che lo discosta verticalmente dal creatore di un’opera d’arte completa e articolata: il disco.

L'ultimo elemento che entra in gioco in questo trittico è l’avvento massiccio delle AI nella composizione musicale. Ormai il compositore inteso in modo tradizionale sta smettendo di esistere. Potremmo pensare, soprattutto nell’ambito del pop e della dance music, più a "mashupper", a remixer piuttosto che a creatori di contenuti originali. Musicisti che "rubano" contenuti da altri musicisti, li rielaborano e li riesportano in un prodotto per natura logica sempre più omologato e di veloce release. La possibilità di generare in modo snello e veloce contenuti partendo da contenuti pre-esistenti, prerogativa delle intelligenze artificiali, non solo sta generando un appiattimento artistico globale con release sempre più simili alla hit del momento o al genere in trend, ma insieme alla continua richiesta di materiale discografico, sta focalizzando il ruolo dell’artista più su come appare piuttosto che su cosa produce musicalmente. Differenziarsi, ritornare ad avere un’identità musicale potrebbe essere l’unica via di fuga.

In conclusione, cosa penso siano le possibilità per il musicista o producer contemporaneo per distinguersi dalla massa:

Avere un’identità musicale definita, un marchio di fabbrica riconoscibile che possa rimanere identificabile all’interno di una produzione florida come quella richiesta dal mercato contemporaneo. Identità che si crea generando lui stesso il suono, non avendo paura di affrontare il mercato ma posizionandosi all’interno di esso in modo personale e dichiarato. Come farlo? Ascoltando molta musica, suonando tanto dal vivo, facendo ricerca; dedicandoci amore e passione come ogni artista dovrebbe fare.

Avere un management e un'organizzazione dietro le spalle che si prodighi per mantenere coerente e riconoscibile la sua identità. Affidarsi a professionisti della comunicazione. Occupandosi solo di musica e non di quanti like genera su Instagram. Capendo che per prima cosa si è musicisti, poi forse personaggi pubblici. Solo se ci si riesce. Realizzando che dietro ogni personaggio pubblico che dura nel tempo c’è sempre una forte personalità artistica o un talento fondato su sudore e fatica, ma anche un grande team.

Sfruttare le nuove tecnologie non come shortcut per produrre di più, ma come supporto per fare meglio, senza dimenticarsi che l’arte arriva dall’artista non dal mezzo che lui usa. E proprio per questo un bravo artista deve imparare a diffidare della tecnologia e delle piattaforme digitali. Deve crearsi una fanbase solida, forgiata sul rapporto diretto e sulla proprietà dei dati. Solo così può avere il vero polso dei suoi fan, può creare un filo diretto con loro e farli crescere e crescere con loro. Meglio uno che canta due tuoi pezzi a memoria che mille che ti mettono like su Instagram.

Come vedo il futuro della musica da creative director dell’ambiente quale sono?

Penso si creeranno sempre più sottogeneri di appassionati legati al concetto proprietario di musica generata e musica suonata. Un pubblico più distante e superficiale per la prima e uno più ristretto e intenzionale sulla seconda. I primi più volubili e legati ad un mercato liquido, che vedrà diversi player al di fuori di quelli stabili sovvenzionati da etichette discografiche pronte a investire altissime somme di denaro sugli stessi. I secondi più underground, nicchie musicali caratterizzate da una fanbase più attaccata e old style, pronta ad essere evangelizzatori del prodotto artistico.

Come si deve porre l’artista nel prossimo futuro?

Per prima cosa deve diventare proprietario dei contatti, dei dati. Per una comunicazione sempre più intima. Il fan cerca quello, un’attenzione maggiore verso di lui, un senso di appartenenza. In fondo la musica che cos’è se non il sentirsi partecipe di una community? In secondo luogo rendersi conto che la musica è l’ambito del quale deve occuparsi principalmente. Che arriva prima ciò che produce di come appare sui social. Che è sì importante avere un'immagine coerente alla musica, come avere dei visual e una linea editoriale solida, ma senza una buona musica, non si va lontani. Essere originali. Essere coerenti nei visual e nell’estetica, artisti nel lavoro e artisti nella vita.

Infine, il ruolo delle case discografiche?

Questo è un ruolo chiave; in mia opinione, alcuni dei responsabili principali di questo tracollo sono proprio gli A&R delle case discografiche. Sempre più spesso alla ricerca del successo del momento anziché coltivare l’artista sul lungo periodo. Logica condivisibile nel trittico: tempo, costi, denaro. Ma antitetica al concetto di artista e musicista, soprattutto in un momento storico in cui il tempo la fa da padrone. Così i motori generatori di talenti sono diventati la TV dei talent, i follower sui profili e gli ascolti su Spotify. Tutti fattori fallimentari nel concetto più ampio di fare buona musica. Quindi non dovremmo stupirci se non esistono più band come i Queen, i Pink Floyd o cantanti come Nina Simone o producer del calibro di Quincy Jones, per nominare solo alcuni fondamentali; proprio perché discograficamente sarebbero davvero molto costosi, nonostante per la storia e per l’umanità siano stati molto preziosi.

Lorenzo della Bella

Co-owner presso SDBA BENEFIT

10 mesi

Marco Menaballi Wow, che disamina profonda e completa! D’accordo con te, d’accordissimo! Però siamo boomer; chi lo sa cosa pensano i nostri figli “lobotomizzati” dai social… non hanno il confronto con la qualità di cui abbiamo goduto Noi e sono la fonte del maggior utilizzo delle nostre carte di credito 💳, purtroppo! Sta a noi “rallentare i tempi” all’interno della giornata e tornare alla vita di qualità, soprattutto in famiglia, senza confonderci, però, con quella perdita di tempo anacronistica che è la scuola.

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