Fatti di parole: dai Nabbi a Keyser Söze.
La riflessione oziosa di oggi non è una roba da nabbi, ma è riservata a chi si è upgradato e vuole atteggiarsi da pro. Oggi parliamo di parole.
Iniziamo con la prima fra quelle citate in apertura, che si stanno diffondendo a macchia d'olio a partire dalle generazioni più giovani. "Nabbi" è una deformazione dell'inglese "newbies", cioè i principianti, ed è molto diffusa fra i giocatori online, specialmente di Fortnite. Sulle piattaforme social dedicate al gaming online come Twitch, dove i ragazzi passano ore guardando i giochi che poi giocano per altrettante ore, le parole utilizzate sono queste, e a aumentando le proprie presenze si passa da Nabbo a Pro fino a diventare Hacker, altra terminologia che dalla rete sta arrivando nella vita reale.
Le parole servono da sempre per comprendersi fra tribù, e in tempi digitali le tribù sono le reti sociali cui si appartiene, che spesso nascono dalle tecnologie utilizzate per tenersi in contatto. L'ultima tribù è quella delle VSCO girls che no, non sono groupie dell'ex ministro delle finanze ma utilizzatrici di una app per il fotoritocco che migliore gli scatti da postare poi su Instagram o video da mettere tu TikTok o su YouTube. Le VSCO girls, ultima emanazione delle Tumblr girls, hanno le Birkenstock ai piedi, gli Airpods nelle orecchie e in mano una borraccia di acqua per sopravvivere con stile al riscaldamento globale (no, non sono una VSCO girl anche se coincido in quasi tutte queste abitudini). Altra caratteristica delle VSCO girls è l'uso di tecnologie retro come le macchine fotografiche usa e getta o le fotocamere istantanee come le vecchie Polaroid, che sono state alle radici del successo di Instagram.
E nessuna tecnologia di comunicazione è più vecchia della voce, della comunicazione fatta di parole che sta tornando a riprendere il posto che le era stato rubato dalla scrittura e dalla lettura silenziosa. Parliamo di audiolibri e podcast,: in Italia nel 2017 ad ascoltare almeno un audiolibro è stato il 7% della popolazione fra i 25 e i 44 anni, e gli ascoltatori di podcast sono passati da 850mila a 2,7 milioni (ricerca Nielsen per Audible, raccontata sul Corriere della Sera). Negli USA i numeri sono ancora più imponenti: il 24% della popolazione ha ascoltato almeno un audiolibro (48% erano under 35) mentre un americano su tre ascolta almeno un podcast al mese. Insomma, pare che la capacità di intrattenimento del vecchio Omero che, cieco, raccontava Iliade e Odissea ai suoi contemporanei seduti intorno a lui stia tornando a riprendere il posto alla figura del lettore silenzioso (per inciso, il primo che la storia ricordi è stato il milanese Sant'Ambrogio, che aveva stupito Sant'Agostino con la sua abitudine di sedersi in disparte con un libro in mano che guardava senza muovere le labbra).
Le parole pronunciate stanno diventando importanti anche in termini di SEO. Google ha lanciato già dal 2009 la Voice Search, la possibilità di fare ricerche senza muovere un dito ma usando la voce, e ora questa possibilità sta diventando predominante. pare che entro il 2020 il 50% delle ricerche sarà affidata alla voce, e il 30% delle navigazioni sulla rete saranno realizzate senza utilizzare né lo schermo, né i tasti. Per non parlare degli acquisti effettuati con la voce, che nel 2022 dovrebbero superare i 40 miliardi di dollari (dati da questa infografica).
Con numeri così, chiaro che stia aumentando notevolmente la richiesta di analisti in grado di aiutare l'intelligenza artificiale a riconoscere e rispondere correttamente alle richieste multiformi ed estremamente variabili del linguaggio naturale. L''uso di meno parole chiave singole, e un numero maggiore di "long-tail" cioè di frasi strutturate ha già invaso anche il SEO tradizionale. Inevitabile, se solo ci fermiamo a riflettere che raramente nella vita reale ci esprimiamo con il linguaggio freddo e razionale di una flow chart, ma il nostro rapporto con i computer e le intelligenze artificiale sta diventando sempre più simile a quello intrattenuto dagli astronauti con HAL9000 di "2002 Odissea nello Spazio" o con il suo figliolo più svagato, Eddie il computer di bordo di "Guida Galattica per autostoppisti" (sempre restando in tema, non perdetevi la lettura del libro "Ad Alta Voce" su Rai Radiotre, anche in podcast).
Sempre più, quindi, stiamo tornando a essere definiti dalle parole che pronunciamo e che tracciano sulla rete un nostro ritratto preciso: i più sofisticati programmi di ricerca delle "mention" sulla rete riescono a raggruppare le persone che utilizzano parole chiave importanti e a capire a quali cerchie appartengano. In questa settimana lo ha fatto, come sempre in modo egregio, Alex Orlowski dell'agenzia "Water on Mars": analizzando la diffusione di uno degli hashtag più diffusi #parlatecidibibbiano ha mostrato come tutto sia partito da una nota "dama sovranista", la stessa che lo scorso anno aveva diffuso la bufala sullo smalto della naufraga Josefa.
Le parole, insomma, sono quelle che davvero riescono a dare un ritratto di chi siamo, come fa anche un tool specifico di photoshop che aiuta a realizzare dei veri e propri "typography portraits" come quello in apertura di articolo. E ci aiutano a fare un ritratto della società, come quello in divenire creato dal progetto "Odycceus - Opinion Dynamics and Cultural Conflict in European Spaces", che studia le discussioni sui social media per cercare di coglierne le principali tendenze, cercando di prevedere le possibili aree di conflitto sociale pronte a emergere nel dibattito pubblico anche al di fuori delle piattaforme. Perché i conflitti sociali non hanno le loro radici soltanto negli interessi economici contrapposti di parti avverse, se fosse così saremmo davvero degli esseri razionali. I conflitti nascono dalle differenti rappresentazioni che diamo, attraverso le parole principalmente, di noi stessi, di chi consideriamo "vicino" e di chio consideriamo "avversario" se non "nemico". A Venezia, dal 15 al 20 settembre, Odycceus terrà una "summerschool" sul tema "La democrazia nell'era dei big data e dell'intelligenza artificiale". Un tema da tenere d'occhio, perché ormai è da lì che passano in anteprima gli argomenti caldi e le tendenze capaci di trasformarsi in necessità.
Purtroppo è anche da lì, dalle parole in rete, che spesso si cerca di far passare presunte verità come gli evangelici cammelli attraverso le proverbiali crune degli aghi. Così l'omicidio di un povero carabiniere non può che essere attribuito a "due magrebini", credendo alle parole di un informatore che cercava così di depistare le indagini. Sfruttando, chissà quanto inconsciamente, il "cognitive bias" che porta tutti a credere alle cose che confermano le loro opinioni, la sua dichiarazione ha portato a prese di posizione sdegnate da parte di giornalisti, parlamentari e ministri che non si sono poi minimamente fatti carico di smentite. consapevoli, loro sì, che anche le parole rivelatesi sbagliate alla prova dei fatti contribuiscono a costruire un mondo preciso in cui far abitare il loro pubblico. A chi ama il cinema, la figura di quell'informatore che si inventa i due magrebini non può non ricordare il più famoso creatore di realtà parallele attraverso le parole, l'immortale Keyser Söze de "I soliti sospetti". Perché il nemico, in fondo, è quello che ci vogliamo sentir raccontare, partendo dalle parole che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.