GIAMPIERO POGGIALI BERLINGHIERI TRA GIOIA E LIBERTÀ Laura Monaldi
Lo studio di Giampiero Poggiali Berlinghieri è un mondo ironico e favolistico da scoprire e dal quale rimanere meravigliati nella gioia che sprigionano le forme variegate e i multi-cromatismi che si presentano a prima vista; è un luogo di personaggi, macchine, paesaggi e animali nel quale immergersi per scoprire una poetica della materia e dell'oggetto, che dalla banalità e dall'insignificante porta alla visione di una storia infinita fatta di ironia e di immaginazione, dove le nuove creature si muovono e vivono fra artigianalità e tecnologia, fra tecnica e ingegno, fra concettualismo, astrattismo e materiali poveri. Quadri, pittosculture e oggetti interattivi si muovono nella presa di coscienza dell'artista che non esiste limite alla creazione e alla possibilità di creare opere d'arte, poiché è solo attraverso l'intuizione primaria e l'intenzionalità che la mano estetica, plasmando e colorando, può giungere all'autenticità e alla purezza di un prodotto in grado di musealizzare lo spazio più angusto di questo mondo.
Artista autodidatta da sempre «innamorato della pittura» e del Futurismo - suo primo «amore primitivo» - Giampiero Poggiali Berlinghieri si è mosso per i sentieri impervi dell'Arte cercando di indagare, analizzare e scoprire il mistero celato fra le pieghe cromatiche e formali delle opere che più lo affascinarono nella sua giovinezza, riuscendo pian piano a soddisfare le proprie frenesie di ricerca e giungendo a una decisa presa di coscienza individuale su come le personali esigenze espressive dovevano evolversi. Trovata la propria dimensione, la strada più consona a una personalità gioiosa e giocosa, il lavoro di Giampiero Poggiali Berlinghieri è andato nella direzione del divertimento e del continuo rinnovamento di sé e delle forme che man mano hanno preso concretezza nelle sue mani, con una spontaneità, una immediatezza e una istintività inedita e originale. Le sue opere di fatto nascono da una libertà ludica, quasi estemporanea, che non guarda a modelli di riferimento, ma si riflette perfettamente nel proprio presente storico, in quanto sintesi culturale di un mondo in continua trasformazione, esattamente come l'animo dell'artista che non si ferma di fronte ad alcun supporto, ma continua a sperimentare i limiti della propria immaginazione e un infinito richiamo al desiderio di vedere oltre la razionalità. È proprio dai segni che la vena artistica può essere percepita, ponendosi empaticamente di fronte a un'opera d'arte nata da un atto di vera follia platonica solo apparentemente semplicistica, poiché al proprio interno racchiude un mondo labirintico di desideri, necessità, immagini e fantasie da scoprire e contemplare.
La produzione di Giampiero Poggiali Berlinghieri si è sviluppata negli ultimi cinquant'anni per cicli tematici e formali storicizzabili all'interno del complesso Sistema in cui si è sviluppata l'Arte Contemporanea dal secondo Novecento a oggi. Non a caso nei primi anni Sessanta i paesaggi sintetici, insiti nel clima della Pop Art, si ponevano agli occhi dei fruitori estetici come una rivisitazione del Secondo Futurismo, attraverso cui emergeva con trasparenza una poetica della purezza formale rigorosamente immaginaria e libera, tesa alla comunicatività estrema di un "qualcosa" che solo un lettore attento può percepire.
D'altra parte è questo il vero scopo dell'artista, ossia: produrre opere che possano essere recepite, fruite a più livelli interpretativi. […] ritengo da sempre che artista e fruitore sono due elementi complementari nel processo creativo; anzi, il fruitore quando recepisce il messaggio contenuto in un quadro fin nelle diramazioni più profonde, è artista quanto colui che l'ha prodotto: è l'altra metà dell'artista.
Giampiero Poggiali Berlinghieri, in Il gioco serio dell'arte. Intervista,
a cura di Teodolinda Coltellaro,
in Pierre Restany, Poggiali, Taverna (CZ),
Museo Civico, Centro per l'Arte Contemporanea, 1995.
Si tratta certamente del Mistero della fruizione artistica, di quell'ignoto e ancora non-esplorato legame che collega la relazione trivalente artista-fruitore-opera d'arte e che Giampiero Poggiali Berlinghieri ha cercato di sondare fin dagli albori della sua produzione estetica, mediante un'artigianalità attiva che dalla fantasia lo guida nei procedimenti indecifrati e imperscrutabili della creazione. Pierre Restany affermava con ragione che «il mondo di Giampiero Poggiali è quello del discorso […] una permanente affabulazione […] una realtà ludica basata sulla pratica di un gioco civile, ingenuo ed umano nel senso più profondo della parola», dove il colore gioca un ruolo di primo piano, innestandosi concretamente nell'espressività comunicativa che le opere dell'artista evocano dal proprio interno.
Giampiero Poggiali Berlinghieri ha operato lontano dalla "mischia" contemporanea, lasciandosi ispirare solo dal proprio ego poetico, sensibilizzando il proprio animo a un individualismo ricercato e aulico nella resa formale dei segni, dei multi-cromatismi e della realtà immaginaria destrutturata nelle sue opere: manufatti visivi sapientemente elaborati da un pensiero che non si lascia costringere in razionalità limitative, ma procede oltre i confini delle campiture e dei toni per farsi poesia allo stato puro. Il gusto e il sentimento onirico si uniscono alla vitalità delle figure che subito a prima vista danno l'idea di un'evoluzione continua, di uno stato mentale in trasformazione attimo dopo attimo, poiché tutta la produzione dell'artista si muove nella presa di coscienza che non esista un limite all'operato estetico e che dal desiderio creativo possa nascere qualsiasi altra immagine da rielaborare con i più svariati linguaggi a disposizione.
L'Arte di Giampiero Poggiali Berlinghieri è epifanica, poiché a ogni ciclo è l'artista stesso a scoprire un nuovo particolare da indagare e contemplare, seguendo la propria poetica e la propria spiritualità. Non a caso intorno agli anni Settanta con il ciclo Adesivi (1972-1975) scorge nella sintesi ottica del colore e della geometria una nuova via di realizzazione: veri e propri idilli nei quali sperimentare le infinite possibilità della resa estetica e linguistica dell'Arte Contemporanea libera, giocosa e gioiosa nel divenire da manufatto a vera e propria opera d'arte. Nell'atto della creazione si esplica un inedito gioco di ruoli, in cui l'artista s'immedesima con corpo e anima nelle architetture paesaggistiche, nelle prose liriche e nelle narrazioni sviluppate nel ciclo Nuovi racconti (1976-1977), fino a scoprire l'importanza dello spazio che la prospettiva può forgiare nella bidimenzionalità della tela, come nel ciclo The new space (1978-1980), nato dall'esigenza di «vivere altri spazi, di esperire altre potenzialità al di là del quadro»: un gioco d'illusioni visive che pongono il lettore di fronte alla presa di coscienza che dietro al reale si nascondono un'infinità di altri mondi, che vale la pena immaginare per non rimanere vincolati a un'apparenza priva di consistenza concettuale. In tal senso la semantica immaginaria di Giampiero Poggiali Berlinghieri si è fatta beffa della rappresentazione, in virtù di tutto ciò che l'immagine non può dare emotivamente: in Structural dream (1981-1982) lo spazio illusorio dello spirito umano si trasforma in un universo edificato e immaginato in cui perdersi e ritrovarsi nella libertà interpretativa di uno spettatore che, in questo caso, diviene viaggiatore affamato di novità e rivelazioni. I quadri dell'artista sono poemi irreali che sospingono l'immaginazione trascendentale del lettore lontano da una realtà che veste male i panni dell'Arte e che deve obbligatoriamente lavorare in nome della liberalità spirituale e concettuale, esattamente come Poggiali ha fatto in questi cinquant'anni di produzione, vincolati a un costante lavorio della fantasia e del divertimento: un ludus poetico che ha voluto comunicare, esprimere e far vedere al mondo, in quanto necessità di una non saturazione delle pratiche estetiche e poetiche. In Germogli & G.E.R.M.O.G.L.I (1983-1985) e in Physis (1985-1986) l'elemento vegetale invade le strutture oniriche e illusorie, facendo unire allo spazio immaginario le architetture fantastiche e le strutture geometriche: sono spazi concreti nei quali l'artista gioca con le forme astratte e dinamiche dei Germogli, stanziati in primo piano in quanto presenze fisiche che in realtà alludono a un vitalismo in fase di crescita. Proiettati in un futuro - dall'ambiguità spazio-temporale - da immaginare i Germogli e Physis ricordano l'esistenza come elemento costitutivo dal quale nessun artista può prescindere né può dimenticare. In tal senso nel ciclo Impronte di memoria (1987-1988) embrionali presenze invadono uno spazio astrale privo di consistenza, lontano dalle architetture geometriche dei decenni precedenti, ma in continuità con il senso vitalistico e dinamico che il dualismo realtà/non-realtà porta in sé. Qui la memoria gioca l'importante ruolo di essere portatrice di una "storia" posta al di là del tempo e dello spazio, di una irrealtà che si concretizza sulla tela oltre il sogno e la fantasia: questa, come un'impronta, lascia il segno effimero e indecifrabile dell'esistenza. L'esistente diviene per Giampiero Poggiali Berlinghieri un'allegoria del non-visto, ma certamente vivente.
Allo stesso modo nelle opere degli anni Novanta (come Eclissi 1988, Translation 1990-1991, Virtuale 1992-1993, Complexity 1993, Bona Dea 1994 e Simposio 1995, tanto per citare alcuni cicli) l'attenzione fisica e vitale lascia il posto all'occasione epifanica e profetica, mentre la fisicità dell'ambiente diviene spazio d'inserimento e d'azione dell'opera. Paradigmatica in tal senso è la serie Orizzonte degli eventi (1989), un omaggio alla teoria dei «buchi neri» di Stephen Hawking, in cui l'artista si è lasciato ispirare dall'idea degli spazi inesplorati dei cieli, dalle «estensioni sfuggenti» e vuote dello spazio cosmico. Tuttavia se da una parte le opere di Giampiero Poggiali Berlinghieri hanno sondato il campo cromatico e geometrico, il dinamismo e la percezione irreale della realtà, mantenendo intatto il filo conduttore della libertà giocosa della sua personale ispirazione, sono questi gli anni in cui si registra un netto scarto dalla norma nelle sue opere. Sono gli anni delle pitto-sculture, dell'uscita dalla dimensione limitata della tela e della sperimentazione della tridimensionalità e dell'interazione fra ambiente e opera d'arte, fra la possibilità di fruizione a trecentosessanta gradi dell'oggetto artistico e la vitalità che un quadro-oggetto può restituire al paesaggio, interagendo con il proprio contesto. Non a caso dagli anni Duemila la nuova fase di ricerca dell'artista si è mossa nell'indagine di confine tra la pittura e la scultura in cui convergono il design, l'opera-oggetto e la dinamica dell'installazione e dell'interattività dell'opera d'arte. Le visioni embrionali e le geometrie sono divenute bestiari reali e fantasiosi, in grado di indagare la complessità quotidiana a partire dai concetti più semplici che si possono immaginare: tecnologia, ecologia, natura, artificialità, robotica, design e poetica dell'oggetto sono divenuti i pilastri portanti di una produzione estetica ancora in atto, che non cede ad alcun limite immaginario. Vi è in questa prassi la volontà di operare una sintesi concettuale fra ciò che il materiale estetico può far scaturire nell'immaginario e ciò che la tecnica può realizzare, nella consapevolezza che il ludus è prima di tutto un piacere che da estetico si fa contemplativo e porta a perdersi e a fantasticare ancora, oltre i limiti di una realtà sempre più ottusa e costringente. Il linguaggio di Giampiero Poggiali Berlinghieri gioca fra l'ironia e la purezza dell'idea che creare significa spingersi oltre, rimanendo sempre fedeli a se stessi e alla propria poetica, dando allo spettatore la chiara sensazione di trovarsi al centro di un meraviglioso mondo da esplorare. Le pitto-sculture scaturiscono di fatto dall'universo immaginario che nelle prime tele tentava di varcare la soglia della razionalità e della geometria, ma allo stesso tempo, oggi come non mai, si riappropriano di quel realismo dimenticato e ciononostante consapevolmente libero e gioioso, prosastico e nostalgico di una favola infinita popolata da personaggi, animali, oggetti e ambientazioni incredibilmente comunicativi.
La cinquantennale carriera artistica di Giampiero Poggiali Berlinghieri mette in luce l'originalità di un artista che non ha voluto chiudersi in "mischie" e compagine, che è rimasto sempre fedele a se stesso, che ha cercato nell'arte il più alto slancio vitale che tale linguaggio può dare e che ha donato mediante le sue opere a fruitori ignari di trovarsi di fronte a una genialità inedita, all'estro di un demiurgo passionale che pian piano si è trasformato nel "burattinaio" per antonomasia, perché le sue pitto-sculture vivono nella fantasia e nella coscienza di ogni uomo, ma che solo Giampiero è riuscito a realizzare con le sue mani e con il suo dolce e armonioso modo di vedere il mondo.
50 anni… a cura di Carlo Palli e Laura Monaldi, testo di Laura Monaldi, edito dalla Fondazione Opera Santa Rita, Prato 2018. p. 64, con 70 foto a colori, cartonato, e un filmato del regista Stefano Cecchi.Sala conferenze ex Convento dei Padri Cappuccini Fondazione Opera Santa Rita -Collezione permanente