Gioco e guerra

Gioco e guerra

La reazione di molti quando gli dico che sto studiando mediazione familiare è: "Ma tu non hai figli! Non vuoi neanche avere figli!". Mi viene da sorridere. La questione è davvero molto semplice: io SONO una figlia. Passo una buona parte della mia vita, come tutti i figli, ad amare/litigare/preoccuparmi, insomma a pensare ai miei genitori.

La separazione ha da sempre avuto una connotazione negativa. Ricordo che quando ero bambina (ero nell'età dei continui ed assillanti "perché"), un giorno chiesi a mia madre: "Il divorzio è una cosa brutta e non si dovrebbe fare, vero?". Mia madre mi spiegò con pazienza che la mia domanda era molto complicata, ma esemplificò la sua risposta usando la storia di una donna che veniva maltrattata, per farmi capire che certe volte la separazione è un bene. Intendiamoci: i matrimoni si fanno funzionare. Nella mia mentalità le cose rotte si aggiustano, e anche più volte, prima di essere costretti a buttarle via: ma in alcuni casi la separazione è inevitabile.

La diatriba legale che ne segue, spesso, è la ragione di tanta preoccupazione. Sebbene in determinate coppie la lotta legale, intendo nei casi più gravi, sia purtroppo necessaria, in altre la mediazione familiare potrebbe essere un'ottima soluzione. Parere comune, quando spiego in cosa consiste, è che gli ex coniugi non si metteranno mai d'accordo, poiché dopo la separazione i sentimenti sono troppo forti. Ma... Se lo scopo fosse accantonare le linee di principio e trovare una soluzione? Un esito che, magari, verrebbe comunque raggiunto, ma dopo anni di guerra.

Sicuramente è un gioco duro. E bisogna essere duri e pronti a giocare.

Poco tempo fa diedi consulenza ad un conoscente, che si sta separando dalla moglie. Cercava consiglio perché, incredulo, mi raccontava in dialetto e anche con qualche intercalare colorito: “L'ultima volta che ci siamo parlati abbiamo deciso di sederci e decidere assieme cosa fare a tavolino... E poi, mi sono arrivate le carte dal suo avvocato per la separazione!”. Abbiamo parlato per una mezz'ora, solo al telefono, ma conoscendolo, potevo immaginarmi benissimo il suo volto: si sentiva evidentemente tradito, deluso, arrabbiato... triste. Mi spiegava che la moglie era conscia da tempo che la coppia ormai non funzionava più, e sopra ad ogni cosa, erano d'accordo di non farsi la guerra.

Una missiva ha spazzato via tutto. Dichiarazione di guerra.

Quando i libri e i docenti di Mediazione familiare spiegano che, in una coppia che si separa, si verifica un vero e proprio lutto, hanno ragione. Non è, tuttavia, la relazione a morire; quando due persone si uniscono e creano assieme una famiglia il loro legame è per sempre: si trasforma, ma non cesserà mai di esistere. Il lutto è per la morte del sentimento.

L'animo umano è strano: non si smette mai di provare qualcosa. In ogni momento di ogni giorno, siamo coinvolti nostro malgrado in un sentimento, più o meno forte. Ecco, il mio conoscente era trasportato inizialmente da un sentimento di stupore e delusione per quanto fatto dall'ex-moglie; ma mentre mi parlava e ripensava a tutto ciò che aveva fatto per la propria famiglia e la propria compagna, i primi sentimenti lasciavano il posto all'odio e alla rabbia. Quindi, le domande che ha cominciato a farmi erano del tipo: “Posso querelarla?”, “Posso toglierle la casa?”, “Posso farle chiudere l'attività?”. Non erano nemmeno domande serie, l'intento era chiaro: voleva pianificare una strategia di guerra.

Quando una persona ti dona il privilegio di chiederti un consiglio, ammette la fiducia che reca nei tuoi confronti nonché il fragile bisogno di aiuto che sta vivendo. Ignorare una richiesta di aiuto, così mascherata da semplice parere professionale ma evidentemente intrisa di significato, mi è stato impossibile.

Come dicevo, ci siamo confrontati telefonicamente. Non avevo esaminato alcun documento, interpellato testimoni, nulla. Sapevo solo ciò che il mio conoscente mi stava raccontando. Ho immaginato che l'ex-moglie si fosse rivolta ad un avvocato competente, probabilmente anche molto agguerrito. E siccome ci si separa sempre in due, ho immaginato che anche l'ex-moglie avesse avuto qualche freccia nella sua faretra: probabilmente, qualche cosa di male lo aveva fatto anche il mio amico. E mentre lui, al telefono, mi diceva: “Io una causa la faccio, eh! Ho ragione, IO!”; pensavo che non aveva la più pallida idea del procedimento lungo, straziante, esoso e doloroso cui stava andando incontro.

Non potevo dirgli ciò che voleva sentirsi dire. Perciò, ho fatto un bel respiro e gli ho fatto notare che fare la guerra, nel suo caso, non lo avrebbe portato alla vittoria che immaginava. Perché, il punto della questione è: cosa vuoi? Vuoi trascinarla sul lastrico? Vuoi vendicarti? Vuoi impedirle di vedere i vostri figli? O vuoi che i vostri figli possano dire che il papà, nella separazione, si è comunque comportato bene? Vuoi che la tua ex-moglie si mantenga, senza dover chiedere a te di provvedere a lei? Sei capace di rinunciare alla guerra?

Perché fare la guerra richiede una qual certa abilità. Più di tutto, una sottile lungimiranza. L'amico che avevo al telefono, proprio mentre parlavamo, si è reso conto che la lettera dell'avvocato era un gambetto, di un abile avversario. Le persone quando sono adirate commettono errori: fanno mosse sbagliate, per continuare il paragone con gli scacchi.

Vincere la guerra, nella partita giocata da questa coppia, in realtà non era complicato.

Ho pensato subito alla Mediazione familiare: una soluzione per entrambi.

Vincere la guerra senza fare la guerra. 

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