GIORNO 4 del mio #CoronaDiario
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GIORNO 4 del mio #CoronaDiario

13/03/2020


⚠️ Sono a casa da sola. 

Mi salva la mia natura di asociale, ma 25 giorni chiusa in casa da sola sono difficili da reggere pure per me.

~ Non l’avrei mai detto, eppure sono un animale sociale anch’io


❌ Tra ieri e oggi sto vivendo un momento di forte down: sto oscillando tra l’avvilimento e la crisi isterica, conditi da una forte nausea e da qualche lacrima.

Sto sperimentando l’irrazionalità che cresce dentro di me, alimentata dalla mancanza di libertà, l'istinto di fuga, l'ansia: mi sono sentita frequentemente soffocare e ho faticato a mantenermi calma e razionale. 

È facile sapere cosa bisognerebbe fare, meno facile è farlo: ci vorrebbe allenamento...

Finché il sito del Governo lo indicherà come possibile (http://www.governo.it/it/articolo/decreto-iorestoacasa-domande-frequenti-sulle-misure-adottate-dal-governo/14278#Spostamenti), uscirò a fare una passeggiata: ho la fortuna di vivere proprio accanto a una zona selvaggia e incontaminata (le grave) e sfrutterò questo enorme dono della natura per non impazzire.

Ho camminato nel bosco con le braccia al cielo, guardando il sole, mi sono stesa lungo il fiume, osservando le nuvole, con la musica a palla nelle orecchie. 

~ Ho respirato la natura cercando equilibrio


✅ Mi piace giocare a riconoscere le forme e gli animali nelle nuvole: ho sempre pensato che, finché riuscirò a perdermi in questo passatempo, non sarò mai troppo vecchia e arida. 

~ Grava e nuvole 🌤


⚠️ Il giorno di crisi mi ha fatto un po' pensare a come si devono essersi sentiti i Berlinesi quando, in una notte, hanno innalzato il muro e famiglie, amici, coppie, parenti, si sono trovati separati.

Non vorrei attirarmi troppe critiche: lo so che è un paragone esagerato. Per fortuna non durerà così a lungo, non c'è la guerra fredda e abbiamo gli smartphone, le videochiamate, ecc.

Ma finché certe cose non le provi sulla pelle, non le capisci davvero in profondità.

E la profondità, pensavo, spesso è proprio nelle piccole cose quotidiane a cui siamo così profondamente abituati.

~ Straordinaria ordinarietà


❌ Leggo di persone che invocano a gran voce la chiusura totale delle fabbriche e delle attività con una facilità e una leggerezza che pare stiano parlando della chiusura del Barattolino Sammontana quando l'hai già finito.

Mi chiedo: ma queste persone avranno mai fatto dei grossi sacrifici per avviare una propria attività? Avranno investito tempo, denaro, tutte le loro sere e i loro weekend a costruire il proprio sogno? Avranno mai versato lacrime e sudore inseguendo un traguardo? Avranno lavorato ogni giorno per anni, col sole e con la pioggia, con la febbre e con le ferite aperte, per realizzarlo? 

Nonostante riconosca la necessità di bloccare questa epidemia, non riesco a invocare lo shutdown con tale faciloneria. Come, penso, nessuno di quelli che hanno vissuto le situazioni di cui sopra.

La nostra vita, l’esistenza di un Paese, del mondo intero si basa sul lavoro: gli stipendi - anche quelli di chi invoca a gran voce il "chiudere tutto subito!" - non arrivano come la manna dal cielo. L'impresa e lo stipendio del dipendente non viaggiano su due binari paralleli. E così pure i servizi e le infrastrutture del Paese. Non è così semplice prendere la decisione di fermare il lavoro. Fermare il lavoro significa fermare il Paese, fermare la nostra vita, tutte le nostre vite.

E poi, quelli che invocano così allegramente il fermo produttivo, sarebbero disposti a non vedersi più disponibili nemmeno i prodotti alimentari, i medicinali, le forniture per gli ospedali, il carburante, l’elettricità? Perché fermare la produzione significa fermare anche questo, non avere più neanche questo.

O forse è fermare tutto “tranne quello”. E quello. E quell’altro…

E allora "chiudere tutto" è il solito parlare a vanvera, il solito slogan, la solita iperbole?

Le solite ciance di chi non ha la minima idea della complessità del mondo in cui vive?

Stare a casa e chiudere tutto non è così semplice: stare a casa e chiudere tutto significa fermare il nostro mondo, il nostro Paese, la nostra vita.

E, per qualcuno, non sapere nemmeno più cosa ne sarà della propria vita “dopo”.

~ Dei sacrifici e dell’impresa: un’epopea italiana, troppo italiana. 

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