Giovani di poche parole.
Sono un figlio del periodo in cui la scuola rappresentava davvero uno strumento di elevazione sociale, il primo della sua famiglia ad aver fatto il liceo classico e che grazie a un viceparroco illuminato aveva scoperto la figura di Don Milani e la sua frase "L'operaio conosce cento parole, il padrone mille. Per questo è lui il padrone".
La frase mi è tornata in mente rileggendo per l'ennesima volta una citazione di Umberto Galimberti che prevedeva un triste destino per la nostra nazione, basandosi su una ricerca di Tullio de Mauro del 1976 "per vedere quante parole conosceva un ginnasiale. Il risultato fu circa 1.600 parole. Lo stesso sondaggio, ripetuto 20 anni dopo nel 1996, disse che i ginnasiali ne conoscevano circa 600 / 700 di parole. Se lo dovessimo ripetere oggi credo che non si andrebbe oltre le 300 parole". Se così fosse, prendendo alla lettera la frase di Don Milani saremmo comunque arrivati al triplo delle parole conosciute dall'operaio, ma così non è, nonostante la popolarità di questa frase sia quasi pari a quella di Umberto Eco secondo cui i social sono popolati da legioni di imbecilli, condivisa da legioni di abitanti dei social che evidentemente ritengono che gli imbecilli siano solo gli altri.
Tediato dal continuo ripetersi di questa citazione, sono andato a rileggere un articolo di Internazionale pubblicato nel 2016 quando, a pochi giorni dalla morte, proprio Tullio de Mauro aveva pubblicato la nuova edizione del Vocabolario di Base ch elenca come 2000 le parole fondamentali, 3000 quelle ad alto uso. 2000 sono, per intenderci, le parole con cui si esce dal ciclo delle elementari e dai mitici anni settanta che per molti rappresentano l'età dell'oro le cose sono fortunatamente cambiate. Nello stesso articolo si spiegava come "l’indice di scolarità (numero medio di anni di scuola superati da ultraquattordicenni) era circa 5 (prossimo a quello dei paesi meno sviluppati), oggi è più di 12 (simile a quello dei paesi più sviluppati, mentre è sei o sette per i meno sviluppati). Gli ultraquattordicenni con licenza media erano il 23 per cento della popolazione, oggi sono il 64 per cento. Più della metà della popolazione parlava e capiva soltanto un dialetto, oggi in tale condizione si trova solo il 5 per cento; soltanto il 25 per cento della popolazione parlava sempre e solo italiano, oggi fa così la metà della popolazione; quelli che nel parlare alternavano italiano e dialetto erano poco più d’un quinto, oggi sono quasi metà della popolazione". A qualcosa, dunque, la scuola pubblica è servita. Certo,quando poi si passa all'università i dati sono meno confortanti : "a fronte di una media del 41,2% di giovani europei con un titolo di studio di livello terziario, che comprende percorsi come quello universitario o in istituti tecnici superiori, nel nostro paese la quota si attesta al 28,3%. Si tratta del secondo dato peggiore dopo quello della Romania col 23,3%" (elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat al 28 aprile 2022), ma qui stiamo parlando di parole.
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Quella fra i giovani e le parole è sempre stata una "relazione complicata", dal "parole, parole, parole" di Amleto fino al "bla bla bla" di Greta. Anche perché le parole dei giovani sono, da sempre, diverse da quelle degli adulti: adolescenti e giovani adulti tendono a costruire un linguaggio che prende origine, e cerca di maneggiare, riferimenti culturali che comprendonoi manga ai videogiochi, ibridati con i linguaggi differenti che si parlano in classi sempre più multietniche. Come nei testi di Ghali, dove si mischiano italiano e sudanese "nuba nuba vedo jnun", espressioni prese dalla stampa con termini gergali presi dal parkour "Io sono fuori, Brexit, Fluttuo come un backflip" assemblandoli in metriche interessanti e con rime inedite. Nel loro linguaggio la presenza dell'inglese è fondamentale, come nel caso di "spawnare" per "apparire all'improvviso" o "ghostare" per scomparire improvvisamente. Ricordo ai boomer come me che cercare di imitare questo linguaggio è estremamente cringe: non è obbligatorio parlare il linguaggio dei giovani, mentre è sempre più essenziale ascoltarli.
In fondo un famoso pre-boomer, in questi giorni stalkerato da orde di fotografi che stazionano fuori dal San Raffaele aspettando che spawni proprio al cancello di uscita, già nel 2001 auspicava che la Scuola si rifondasse su tre pilasti, le famose "tre I" del programma elettorale che prevedeva nelle aule Internet, Inglese e Impresa. Ora Internet e Inglese sono demonizzati, e con loro i giovani e il loro linguaggio, anche se per farlo si utilizzano le piattaforme social dove i gruppi di puristi della lingua esprimono il loro dissenso dall'invasione di termini dalla perfida Albione con lo stresso sprezzo del ridicolo di chi difende l'italica lingua creando un ministero del "Made in Italy". Resta l'impresa, che si sta muovendo per colmare il divario fra le sue esigenze e la formazione dei giovani. Invece di demonizzare la presunta scarsa voglia di lavorare dei giovani, le imprese più accorte stanno cercando soluzioni innovative per avvicinare alla loro realtà le giovani generazioni, e lo fanno proprio attraverso la formazione. Paradigmatico è il caso di un'azienda lombarda, la Torneria Automatica Alfredo Colombo, che all'interno dell'azienda ha creato in un capannone costruito ad hoc un'accademia meccanica che forma i giovani studenti con un corso ITS, assumendoli già con contratto di apprendistato che copre sia la parte teorica sia la parte che normalmente viene chiamata stage curricolare. Perché le parole, in fondo, sono anche strumenti tecnici che ci aiutano ad afferrare il mondo che ci circonda, a definirlo e a formarlo, e i giovani hanno bisogno non di essere demonizzati perché usano un linguaggio che non comprendiamo, ma di condividere conoscenze ed esperienze.
E non è detto che chi sceglie un percorso di studi tecnici non sia interessato alla cultura alta. Durante le lezioni che sto tenendo con studenti fra i 20 e i 27 anni proprio per corsi di Istruzione tecnica superiore, ho potuto notare un grande interesse per tematiche non strettamente professionalizzanti. Abbiamo parlato di soft power, passando dalle infrastrutture in costruzione negli Emirati al concerto di David Guetta in diretta dal Louvre di Dubai, di contaminazione creativa guardando l'edizione del "Sogno di una notte di mezza estate" del national Theatre in cui l'incantesimo d'amore avveniva fra Bottom con le orecchi d'asino e Oberon (sì, Oberon e non Titania: l'incantesimo d'amore supera i generi) al ritmo di "Love on Top" di Beyoncé, e sono stati conquistati dall'edizione di "Les Indes Galantes" di Rameau dove l'incontro fra i civilizzati occidentali e i selvaggi delle indie scoperte da poco veniva raccontato unendo le musiche originali alle evoluzioni di bravissimi ballerini Hip Hop. E credo gli piacerà anche quando mostrerò spezzoni della meravigliosa Boheme messa in scena da Gianfranco Aliverta, con Parpignol trasformato in IT che trascina dietro di sé i bambini del coro con promesse di delizie consumistiche.
Se è vero, infatti, che le parole sono importanti, in un'epoca in cui tutto è organizzato a rete diventano più degne di nota le connessioni che le parole possono riuscire a creare: chiudersi nell'illusione di essere gli unici depositari della verità, alzare barriere fra formazione tecnica e formazione umanistica, confinarsi in linguaggi settoriali o barricarsi dentro un presunto senso di superiore purezza di una lunga non contaminata non può portare lontano. Le parole sono fatte per comunicare, non per scavare fossati e il futuro, che per definizione appartiene alle giovani generazioni, non può essere costruito solo con le parole del passato. Il rischio è quello di musealizzare la conoscenza, trattandola con lo stesso rispetto che si riserva alle reliquie di un Santo defunto, invece di tramandarla in un codice adeguato: in fondo anche i Vangeli sono stati scritti in greco, e non in aramaico per una presunta fedeltà all'epoca storica in cui erano ambientati. E per chi crede, l'autore è quello che ha iniziato il suo best-seller con "in principio era il logos". Insomma, uno che al potere delle parole credeva davvero.
Giornalista
1 annoLe parole sono armi a doppio taglio e sono in gara tra loro. Se dico 100 volte 'migranti' in crescendo rossiniano, scompare 'soldi sottratti ai lavoratori e regalati alle imprese'. Se titolo ovunque 'difesa della lingua' (che sia con taglio serio o ironico) non resta spazio per titolare 'diritti della persona'. Se si rende urgente il parlare di 'emergenza ecoterrorismo' (sic!) si sommerge la realtà della crisi abitativa delle fasce deboli. Parlatori vs parolai. Entrambi molto ben attrezzati. In mezzo, i topi di Hamelin...
Bellissimo articolo!