I 7 vizi capitali del marketing

Il marketing ha le sue ossessioni, le sue illusioni, le sue kryptoniti, forse più di altri reparti.

A volte sono semplici fissazioni, altre volte errori strategici gravi, altre ancora solo piccoli peccati veniali. Molto più spesso però, semplicemente, sono tutti consapevoli che stanno sacrificando il Posizionamento sull'altare dei risultati di breve.

 Ma “lo sappiamo dai, funziona così, amen”.

 Mi sono divertito a pensare a quelli in cui mi sono imbattuto più spesso, e sono questi 7

1.     PROLIFERAZIONE

“Avere una famiglia di prodotti rafforzerà il marchio del prodotto principale!”

C’è una coincidenza curiosa che ho notato in questi 15 anni, e cioè che il branding e la finanza hanno dinamiche diametralmente opposte: pensate al frazionamento del rischio di portafoglio.

Un’ottima strategia d’investimento è: non mettere tutte le uova nello stesso paniere.

Una pessima strategia di branding è: non mettere tutte le uova nello stesso paniere.

Il motivo è molto semplice, e cioè che il consumatore ha bisogno di messaggi semplici, univoci, possibilmente di 1 solo messaggio che faccia una cosa soltanto: rafforzare il posizionamento di quel brand nella mente delle persone in modo ossessivo, maledettamente coerente e se necessario noioso.

Il consumatore deve ricevere messaggi che lo rassicurino e siano identici a quelli che già possiede (consonanza). Pensare di rafforzare un prodotto lanciando una serie di estensioni è un po’ come avere un annaffiatoio e voler, con quella stessa quantità d’acqua, innaffiare tante altre piantine oltre alla pianta grande: poco probabile che si faccia il bene di quest’ultima.

2.     DESTAGIONALIZZAZIONE

“Ho una grande idea: perché non destagionalizziamo il marchio?”

Ecco la grande chimera, il sogno (quasi erotico) di ogni marketing manager: destagionalizzare. Destagionalizzare il consumo, destagionalizzare il prodotto, destagionalizzare il marchio.

Suona davvero sensato, non trovate?

Fatturati più stabili, linee che lavorano tutto l’anno, processi meno isterici, logistica più pianificabile...basta solo convincere il consumatore ad acquistare tutto l’anno anziché solo per un periodo: facile no?

C’è solo un piccolo problema: non funziona MAI.

Sapete perché?

Perché c’è alla base un’assumption terribilmente presuntuosa, e cioè che il consumatore sia pronto ad accettare nella propria mente qualsiasi brand, in qualsiasi categoria, in qualsiasi occasione di consumo mentre non è così: il consumatore ci assegna un valore, decide che ruolo riservarci (sempre che decida di riservarcene uno), e se siamo intelligenti la cosa migliore che possiamo fare è lavorare per rafforzare quel posizionamento.

Destagionalizzare dunque è impossibile, o non auspicabile? Tutt’altro, anzi!

E’ però un tema di categoria, non di brand.

La categoria è più importante del brand, sempre. E’ la categoria a doversi destagionalizzare agli occhi del consumatore. Prima viene la categoria, le sue dinamiche, i significati che gli attribuisce il consumatore. Poi viene il brand, e la sua capacità di essere l’opzione migliore per quella categoria.

Nessuna campagna pubblicitaria di nessun brand potrà mai convincerci a mangiare il panettone a Ferragosto. Anni e anni di studi scientifici invece, credibili ed imparziali, che ne attestino gli enormi benefici in associazione ai raggi solari, magari chissà…

(P.S. No, non credo neanche che sia una buona idea associare un marchio fortemente connotato nella ricorrenza a prodotti che per loro natura hanno un consumo 365 gg/anno, come merendine o croissant)

3.     IDOLATRIA

“Loro sono grandi: figurati se non sanno ciò che fanno”

Provate ad immaginare un palazzo grande, solido, con pilastri spessi qualche metro, cemento armato e tutto il resto. Ora avvicinatevi ad uno di quei pilastri con uno di quei piccoli martelli con cui al massimo si appendono i quadri, e cominciate a martellare per abbatterlo… è lunga, vero?

Questa è esattamente la situazione che vivono, per loro fortuna, i marchi superstar come Coca Cola: hanno un brand talmente forte, talmente leader, talmente posizionato nella mente dei consumatori, che prima di distruggerlo bisognerebbe inanellare una tale quantità di errori da aver bisogno di 2 generazioni.

La tipica obiezione che viene fatta a chi parla di positioning in genere è: “ma ti pare che un’azienda così importante non c’ha pensato?”

La risposta (al netto di molti epic fail di aziende importanti di cui potremmo parlare ) è “può darsi, ma hanno prevalso le logiche di breve”.

Una delle primissime multinazionali in cui ho lavorato aveva un turn over altissimo, una permanenza media nelle funzioni strategiche che a volte era inferiore all’anno; il tutto in associazione ad uno stress quasi esclusivamente sul fatturato, sulla trimestrale, sulle quote di mercato per singola settimana. Pensate sia il contesto ideale per ragionare su un orizzonte lungo?

4.     SUPERPOTERI

“La nostra strategia? Trasferire i valori del brand in un’altra categoria”

Questa è forse l’illusione più clamorosa di tutte, la più velleitaria.

Lo è perché parte dal presupposto che la mente del consumatore sia un prato verde, immenso e libero, mentre assomiglia di più (come ho avuto modo di dire in un altro post) ad un parcheggio: alcuni posti sono liberi, altri sono occupati.

Provateci voi a parcheggiare l’auto in un posto già occupato!

Trasferire i valori della marca da un prodotto all’altro è come pensare di andare da una bella ragazza, cominciare ad elencare tutti i pregi che abbiamo (e che la nostra ex ci attribuiva) e pensare che questa si innamorerà di noi: molto semplicemente non funziona. Non funziona perché è autoreferenziale, perché noi stessi non abbiamo la credibilità sufficiente per parlare dei nostri pregi e tesserci le lodi addosso. E’ il consumatore che assegna un posto al nostro marchio: a noi il compito di fare delle PR efficaci che, nel tempo, costruiscano un posizionamento solido nella sua mente.

5.     CORTOCIRCUITO

“Dobbiamo lanciare un’estensione di linea per contrastare il calo del base business!”

Ultimamente c’è un certo fermento sul tema “differenza tra brand extension e line extension”: differenza che esiste ovviamente ed è corretto sottolineare (e poi sono sempre contento di rievocare gli studi universitari, il Kotler e tutto il resto…mi fa sentire giovane!!)

Ancora una volta il tema centrale è però sempre e solo il positioning: il tuo marchio possiede si o no quella precisa casella nella mente del consumatore? Se non la possiede (vuoi per un momento di consumo diverso, vuoi per una differente gestualità) no way: persino quando 2 categorie sono così simili, da essere di fatto 2 segmenti di una stessa macro categoria.

L’ultima volta che ho avuto la possibilità di leggere i dati del mercato ADW in Italia, Svelto Lavastoviglie non era tra i primi 3 brand in termini di quota. Possibile che il marchio stra-leader nel lavaggio dei piatti a mano non riesca a fare una cosa così facile (sono ironico ovviamente) come dire al consumatore “ciao, sono già il tuo punto di riferimento per lavare i piatti, lo ero per tua madre e forse anche per tua nonna, perché non ti fidi di me anche quando devi fare la lavastoviglie”?

Si è possibile.

E’ possibile perché caricare la lavastoviglie riporta ad una determinata routine e ad una gestualità diversa dal prendere i piatti e lavarli a mano: sembra la stessa cosa ma qualsiasi indagine U&A, di qualsiasi istituto di ricerche di mercato vi dirà che per il consumatore sono 2 mondi completamente diversi.

Che si tratti di stretching del brand in una nuova categoria, o che si tratti di introdurre la versione light, la versione bio, o la variante limone (Cit...) le varianti sono destinate a cannibalizzare il base business, frazionando i fatturati, frazionando la quota di mercato, e indebolendo il brand. Si pensa siano una buona soluzione al calo del base business base, mentre acuiscono il problema, come spegnere un incendio con una pompa di benzina.

6.     CERCHIOBOTTISMO

“Comunichiamo questo, ma anche quello, senza però tralasciare quell’altro”

Avete presente quei manifesti dei comizi politici, in cui c’è scritto con un carattere gigante il nome del politico più importante, di rilievo nazionale, e poi in piccolo tutti gli altri?

Ecco, quella è una comunicazione ben fatta.

Nessuno dice che debba parlare solo lui, o che gli altri non servano anzi: magari grazie a loro il comizio riuscirà benissimo.

Ma 3 messaggi funzionano meglio di 4, 2 funzionano meglio di 3, e 1 meglio di tutti.

Individuare il prodotto eroe e caricare tutto sulle sue spalle è sempre la scelta migliore. Ho un bagnoschiuma in 5 profumazioni? Ne comunico una, quella che meglio rafforza e ribadisce il mio posizionamento.

Nella mia vita avrò visto qualche centinaia di curve ABC e sono praticamente tutte identiche: puoi avere anche 20 sku, ma le prime 3-4 fanno il fatturato vero, quello con la F maiscuola (spesso 4 referenze fanno più del 75% delle vendite e la prima, in genere, ruota in rapporto di 2:1 rispetto alla seconda). Tutto il resto è poesia.

Ma non è questa la parte grave del problema: la parte grave del problema è che anziché fare “ALL IN” sulla referenza n.1, spesso, si prende il budget di comunicazione e lo si spezzetta nella pia illusione di “far crescere il resto della gamma”. E via a campagne multisoggetto, codini dove al massimo puoi dire qualcosa tipo “da oggi anche in versione Lavanda e Mughetto”, e amenità varie. Se un brand nasce per sua natura come “multi sku” (flavour, formato, qualsiasi cosa) la scelta migliore è sempre quella di concentrarsi sul super eroe.

 7.     FINE

“Ma come, avevi detto i 7 vizi e ne hai scritti solo 6?”

Certo, e confesso che il titolo iniziale era diverso.

Ma come ho avuto modo di dire i messaggi più efficaci sono quelli che sfruttano idee, nozioni, assunti, modi di dire che sono già ben sedimentati nella mente di chi ascolta.

E “le 6 cose che bla bla bla, sapevi o non sapevi o credevi di sapere etc etc etc” funziona maledettamente peggio dei 7 VIZI CAPITALI!

Alessandro Scuratti

Consulente di (web) marketing | Da oltre 20 anni specialista in marketing e comunicazione per PMI | Grazie a un metodo sperimentato, aiuto la tua azienda a promuoversi per vendere di più | Formatore

6 anni

D'accordo su tutta la linea. E poi, visto che il settimo vizio è libero, mi permetto di aggiungerne uno io (che è tra i miei preferiti!): confondere il marketing con la comunicazione. Sono invece due cose ben distinte. Il marketing stabilisce gli elementi differenzianti da comunicare al mercato, la comunicazione martella incessantemente su quegli elementi. Molti credono invece che la comunicazione, da sola, basti. Così, senza accorgersene, finiscono per comunicare i messaggi dei competitor, facendo il loro gioco. In effetti, se non hai un marketing che ti dice che cosa comunicare, finisci per copiare i messaggi altrui "che vanno". Un errore che si paga caro, perché non fa altro che rafforzare il posizionamento dei competitor che hai copiato (e che, a differenza di te, hanno fatto marketing).

Riccardo Sanna

Direttore Commerciale presso Orlandi Spa D.C.

6 anni

yessssssssssssssssssssssssssssssssss!!

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