I bambini ai tempi del Covid 19 - ovvero i piccoli invisibili
Margherita, 5 anni, è molto contrariata dal fatto che il costume da principessa che ha preparato in famiglia per la festa all’asilo rimanga appeso all’armadio. Intonso. È lunedì 24 febbraio e con il fratello e tutti gli studenti milanesi è costretta a rimanere a casa da scuola, in via precauzionale. Per una settimana, si dice. La sua festa di Carnevale salta.
Non sanno ancora gli studenti, i genitori e gli insegnanti che le scuole non riapriranno per parecchie settimane.
All’inizio la si prende come una inaspettata vacanza. Qualche giorno in più per il carnevale ambrosiano. Lo smart working , il menage famigliare un po’ rimescolato. I genitori che fanno la staffetta per intrattenere i bambini ed evitare ore di cartoni animati.
Un po’ di altalena nel parchetto sotto casa. È ancora permesso. Ma con attenzione a non stare troppo vicini.
Intanto il numero dei contagiati comincia a salire. Lodi, Cremona, Codogno. Anche da noi arrivano le prime immagini “cinesi”. Personale medico in tuta bianca e mascherina. Gli ospedali che si riempiono. E volti e nomi di infettivologi prima sconosciuti entrano nel lessico familiare.
Le maestre iniziano ad inviare i compiti a casa e i genitori si organizzano per ritirare i libri rimasti a scuola.
Poi arriva la serrata dell’ 8 marzo. Tutti in casa. Nascono i primi striscioni con l’arcobaleno e l’hashtag andrà tutto bene. Ce lo ripetiamo tutti con il sorriso un po’ forzato di chi deve caricarsi ogni mattina di ottimismo per rassicurare i propri cuccioli .
Poi partono i flashmob dei balconi: prima l’applauso per il personale medico, poi le canzoni cantate a squarciagola dalle finestre di mezza Italia. I bambini sono più audaci dei loro genitori, chi con il karaoke della nonna, chi con i megafoni. Si ride, ci si abbraccia, ci si commuove un po’. Si fanno video, si condividono video. Ci si sente vicini.
Poi passano anche le canzoni trascinate via dalle sirene delle ambulanze. E le grida dalla finestra : A casa devi stare! Contro i runner, contro i proprietari dei cani, contro chi va a fare la spesa più di una volta alla settimana, contro i vecchietti, le mamme con i passeggini.
Si prova mantenere un po’ di normalità scandendo la giornata al minuto: sveglia alle 7, 30, colazione, doccia, compiti, ginnastica, pranzo, gioco e poi un’ora di tv prima di cena. E così passa il tempo, giorno dopo giorno, tutti uguali, tutte sospesi.
Finché Margherita una mattina sveglia i genitori con il costume da principessa sopra il pigiamino: “Mamma mammaaaa! Ti sei dimenticata di Carnevale!! Dobbiamo andare a Venezia, ricordi? Ce lo avevi promesso”
E mentre la mamma la abbraccia, pensa a tutti questi piccoli fantasmini pallidi, i bambini dai 4 ai 9 anni, in casa sempre perché nessuno li ha considerati una categoria di individui con bisogni propri. Troppo piccoli per la didattica online, troppo piccoli per studiare da soli, troppo piccoli per capire, per non spaventarsi, ma troppo grandi per accettare mezze spiegazioni o mancanza di risposte.
Penso alla primavera che stanno perdendo, i cespugli di forsizia, gli alberi di Giuda, i ciliegi selvatici che guardano da dietro i vetri, al sole che non prendono, all’aria di Milano pulita per la prima volta da quando sono nati, alle corse che non fanno, alle risa e alle grida di gioia oramai dimenticate, alle partite a pallone agli abbracci e le piccole baruffe tra amici che hanno disimparato.
Ma penso soprattutto a tutti i piccoli invisibili. Ai figli di chi non è nella chat della scuola, ai figli di chi ha perso il lavoro in questi giorni, di chi è arrivato da poco, di quelli che non parlano ancora italiano.
Ce ne sono diversi nelle classi dei nostri figli. Bambini nati qui o arrivati da poco. Le mamme ed i papà non si vedono quasi mai, non vengono alle feste di compleanno, alle feste di fine anno, alla festa di Natale. E mai come ora ci dispiace per non aver insistito un po’ di più quando c’era la possibilità di farlo, per non esserci fermati a parlare, a chiedere se andava tutto bene, a costruire una piccola relazione. Noi genitori sempre di corsa, distratti, nervosi, ora ci chiediamo: “questi bambini dove sono? Cosa fanno? Chi li aiuta nei compiti? Come vivono?”
Lontani dalle “antenne” sociali costituite dalle maestre, dai maestri, dagli stessi compagni di classe. Spariscono, dimenticati da chi dovrebbe averli più a cuore, noi, la società tutta, in questo periodo di “distanziamento sociale”.
È troppo tardi? Forse no. C’è ancora qualcosa che possiamo fare. Cerchiamo i contatti dei loro genitori attraverso le rappresentanti di classe. Contattiamo le famiglie, offriamoci di aiutarli in remoto con i compiti. Non è indispensabile avere un pc. Basta un telefono.
Proviamo inoltre a far partire nei nostri quartieri iniziative come le “spese sospese” con l’aiuto dei piccoli esercizi commerciali, dei municipi; per molte famiglie anche il pranzo del bambino arrivava dalla scuola. Un pacco di pasta, il latte, i biscotti, le uova acquistate e lasciate lì per chi ne ha bisogno, o per chi è temporaneamente senza risorse.
Abbiamo una responsabilità verso la memoria di chi oggi è bambino e domani ricorderà questi giorni. Non sarà il carnevale perduto, ma un’esperienza di senso e di valore.