I bambini fanno boh
Ancora non so quale posto avrà in classifica, ma la canzone di Mr Rain presentata a Sanremo ha quanto meno il pregio di parlare di un argomento, quello della depressione che di solito viene messo sotto il tappeto dalla società, come del resto tutti gli altri disturbi mentali anche se rappresenta un argomento molto trattato a in che spesso sono il fulcro di moltissime canzoni delle nuove generazioni di cantanti italiani, penso per esempio alla "Cinque Gocce" di Lexotan che danno il titolo a una canzone di Irama con Rkomi.
Classificati frettolosamente dai soloni della musica, che Sanremo stana a migliaia su tutte le piattaforme social e che presumo passino le giornate ad ascoltare solo Esa Pekka Salonen e Kaija Saariaho (io lo faccio spesso e mi piacciono pure, ma la mia playlist è delirante e non fa testo) , il trap italiano e il rap statunitense hanno molto spesso i disturbi mentali al centro dei loro testi. Dal 1998 al 2018, quando il rap è diventato il genere più ascoltato negli USA, i brani di questo genere dedicati ai disturbi mentali sono più che raddoppiati: un esempio Lil peep, definito dalla stampa "Il Kurt Cobain del rap" che parlava di depressione, droga e suicidio, trovato morto nell'autobus del suo tour. Come rivela la ricerca citata dal Messaggero "la maggior parte degli artisti è uomo e un terzo delle canzoni parlava di ansia, il 22% faceva riferimento alla depressione e il 6% al suicidio". I trapper italiani usano lo stesso linguaggio, ricco di metafore come "spingersi al limite", "combattere i propri demoni" plasmando il dibattito sui temi della salute mentale fra i giovani e, chissà, finalmente iniziando a demolire lo stigma che circonda questi argomenti a partire da chi negli ultimi anni lo ha sofferto maggiormente.
"Le parole dette dai bambini valgono di più" è stata la motivazione con cui Mr Rain ha portato in scena il coro della scuola di musica di Vallecrosia "Modern Music Institute", ma anche quelle dette ai bambini hanno avuto il loro momento di gloria sul palco dell'Ariston. A partire dalla lettera con cui Chiara Ferragni si è rivolta alla bambina di Cremona che è stata, spingendola a credere in sé stessa e a superare i momenti difficili. Il monologo ha avuto, come tutto sui social, un'accoglienza estremamente polarizzata fra chi lo ha ritenuto una classica espressione di supremacy (se ce l'ho fatta io che ero una bambina bella, bianca, sana e ricca potete farcela tutte) e chi lo ha visto come un momento di empowerment femminile, a partire dall'abito con riproduzione del suo corpo nudo, ennesima dimostrazione di come, a partire dalle magliette rosse fino ai capi arcobaleno, la promozione di istanze sociali passi attraverso il dress code. Chiara Ferragni lo sa benissimo, e lo ha dimostrato indossando, nei vari cambi d'abito, anche una stola dedicata all'autoconsapevolezza e un abito lungo contro lo hate speech. E la sera dopo, Gianluca Grignani ha mostrato le spalle al pubblico per mettere a favore di macchina il messaggio "No War", altra tematica di grande rilevanza, se non altro per il tempo in cui viene indossata a favore di macchina.
Il bello di certe tematiche sociali affrontate in diretta di fronte al pubblico è infatti che possono essere cambiate come un abito, altre invece hanno il difetto di essere incise sulla pelle, e quella non la si può cambiare. Così, per non urtare la suscettibilità del pubblico, si cambiano le parole. Anche Paola Egonu ha parlato di sé stessa bambina, una bambina che si chiedeva moltissime cose, in un monologo dedicato al razzismo in cui il razzismo non veniva mai nominato. Che fosse una parola-trigger lo si era già capito durante la conferenza stampa in cui aveva detto che l'Italia è un paese razzista, scatenando commenti ferocissimi che probabilmente hanno poi spinto l'atleta e gli autori di Sanremo a espungerla dal testo finale come succedeva alla parola "Mafia" nel film Johnny Stecchino" di Roberto Benigni.
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Un'altra bambina è apparsa poi nella serata di Venerdì, quando Amadeus (su esplicita richiesta del Ministro della Cultura e del merito Sangiuliano, che Sangiovanni è arrivato solo come ospite) ha letto uno dei passaggi più drammatici de "La bambina con la valigia" di Egea Haffner, una delle testimonianze più celebri del dramma degli esuli di Istria e Dalmazia. Potrebbe sembrare una buona cosa, tornare a guardare il mondo con gli occhi dei bambini, ma non è esattamente questo che è emerso in questi giorni. Come sempre succede con eventi di massa, e questo Festival è il più visto e commentato di ogni tempo, a emergere sono tendenze culturali che fanno ormai parte di comportamenti sociali codificati. I bambini portati in palcoscenico non hanno niente a che vedere col poetico fanciullino di Pascoli, che sapeva stupirsi continuamente di fronte alle meraviglie della natura, ma piccoli superuomini (o supereroi, come nella canzone citata all'inizio) da allevare con consigli per affrontare una vita da vincenti, da utilizzare come esempio di agnello sacrificale per vestire di commozione dibattiti politici revanscisti, o da esibire in quanto promessa di un sistema che si rigenera nelle nuove generazioni.
Amadeus che prende in spalla e porta fuori dalla scena un bambino del coro di Mr Rain quando confessa di tifare per una strada diversa in fondo è un atto di bullismo (fatto "simpaticamente," per carità: questo avverbio sembra giustificare ogni comportamento a dimostrazione che la simpatia è un concetto ampiamente sopravvalutato), o il bambino-attore napoletano che "esprime pareri solo dopo aver sentito il Presidente della squadra", o il suo giovane figlio elevato al rango di Social media Manager perché "sta tutto il giorno sul cellulare" non sono che esempi del desiderio di crescere una generazione che replichi i modelli degli adulti. Modelli che quando vengono seguiti da questi cuccioli di superuomo scatenano negli adulti quello che Paolo Sorrentino, nel suo splendido cameo all'interno della serie "Call my Agent- Italia" ha correttamente definito "Entusiamo Immotivato". Un entusiasmo che discende direttamente dall'esigenza dei genitori di mettere in mostra i propri talenti attraverso quelli che ritengono debbano avere anche i loro figli.
Niente a che vedere da quello che Elemire Zolla, che pure sembrerebbe rientrare nell'erigendo pantheon della cultura di destra , definiva "lo stupore infantile". Uno stupore connaturato con la capacità dei bambini di contenere mondi, di usare le parole in modo realmente creativo cioè nella loro potenzialità di costruire mondi inimmaginabili, di comprendere i molteplici linguaggi con cui il mondo si esprime. Come diceva "Parlo d'un fanciullo non tartassato da richiami oppressivi. Purtroppo sempre, o quasi, da noi si trama il complotto per strapparlo alla sua autonomia e magia. Gli si rivolge la parola non già con il tono trasognato e melodioso che sarebbe proprio. Prevale il timbro aspro del comando o quello insidioso del raggiro pedagogico o quello trepidante del ricatto sentimentale, e ben presto le sue difese saranno sbriciolate.
A "fare oh" sembrano essere rimasti solo i bambini della vecchia canzone di Povia, che in questi giorni sanremesi sui suoi canali social elemosina un'attenzione da dropout, definendosi una vittima del "regime vaccinista" senza pensare che sul palco principale si esibisce la sua "compagna di lotta" Madame. Nel 2005 la sua canzone più famosa era stata utilizzata anche nella campagna degli ovetti Kinder, perché nel mondo governato dalle merci anche la meraviglia e lo stupore hanno un senso solo se vengono veicolati verso esigenze commerciali, creando l'ossimoro di un "Puer Aeternus" consumista. E finito Sanremo, apprendiamo dai promo di rete, inizierà "The Voice Kids". E i bambini fanno "boh".