Sin dove può spingersi l'odio di una ragazzina...

Sin dove può spingersi l'odio di una ragazzina...




"Helen non aveva mai pensato che un giorno ne sarebbe stata capace. Nonostante l’inferno vissuto per tanti anni tra le mura domestiche lo giustificasse, la ragazza non credeva che sarebbe mai arrivata al punto di non ritorno.

Eppure, adesso stringeva nella mano destra il coltello lungo e affilato con cui sua madre, di solito, affettava le bistecche.

E lo serrava, orgogliosa di sé, come fosse un trofeo.

Con l’impugnatura stretta e salda lo guardava e riguardava, incapace di provare il minimo ribrezzo verso ciò che la sua lama avrebbe potuto scatenare.

Helen non avvertiva alcuna repulsione verso quel semplice oggetto divenuto ora un arma letale.

Quella che le avrebbe restituito la libertà.

A patto però, che lei fosse stata decisa nei gesti, implacabile nella cattiveria con cui avrebbe dovuto guidarli, ma soprattutto rapida e silenziosa negli spostamenti.

Meglio di un gatto.

Se suo padre si fosse svegliato anche un solo istante prima del dovuto, per Helen sarebbe stata la fine.

E stavolta, forse quella definitiva.

La ragazza si allontanò furtiva dalla cucina e si avvicinò alle spalle dell’uomo.

L’andatura era priva d’incertezze.

Quando gli fu a soli pochi passi, si arrestò.

Il volume della televisione accesa conferiva una parvenza di normalità alla casa addormentata.

La quiete prima della tempesta.

Ancora pochi passi e tutto sarebbe finito.

Per sempre…

D’improvviso, un gesto del genitore.

Il capo che si tendeva prima all’indietro, d’istinto, poi di nuovo verso il petto, in posizione diritta, scoprendo a Helen la nuca, per intero.

Sembrava che qualcuno cercasse di aiutarla, suggerendole senza tentennamenti come, e soprattutto dove, colpire.

Solo tre passi ancora…

Tre, infiniti passi per uscire dal buio, dall’oblio di anni di schiavitù. La giugulare iniziò a gonfiarsi, sino a sembrare sul punto di esploderle sotto la pressione del sangue che fluiva veloce e incontrollato.

Il terrore che i suoni del suo corpo fremente si potessero udire oltre la pelle l’aveva d’improvviso paralizzata.

Respirando a intermittenza, Helen continuava a fissare la nuca scoperta del padre, come ipnotizzata.

Ora era lei ad avere l’impressione che il battito cardiaco del padre si riuscisse a udire ovunque. In ogni direzione.

Il cuore della bestia.

La giovane ebbe una visione: il sangue dell’uomo zampillava ancora caldo e denso intorno a lui, fuoriuscendogli dalla bocca spalancata.

Helen era certa di riuscire ad avvertirne persino l’odore.

Acre, forte, pungente.

Il tanfo di qualcosa che in realtà non c’era.

Non ancora.

Le bastava un ultimo passo, un solo ultimo passo e…

Gli occhi di Helen, ora, erano di nuovo colmi di odio.

Di rabbia alla stato puro.

Una ferocia cieca, a stento controllabile. La ragazza strinse il coltellaccio con la mano destra, utilizzando il palmo della sinistra per accompagnarne da dietro l’impugnatura.

Sì, adesso era ben saldo.

Helen mirò al centro della nuca, avvicinando la punta tagliente del lungo coltello. Pochi centimetri e tutto sarebbe finito.

Fallire sarebbe stato più difficile che andare a segno.

Lo scatto fu istantaneo, istintivo.

Fulmineo.

Guidato da un senso di piacere immenso, mai provato prima.

Animato da una rabbia bestiale, inumana. Brutale, nonostante provenisse dalla mano di una ragazzina di soli sedici anni. La cattiveria del suo gesto esplose come una granata. Devastante, incontenibile, capace di dilaniare senza remore, né pietà alcuna.

Prima l’affondo, intenso, interminabile della lunga lama che fendeva la carne come fosse burro, sino a scomparire per intero tra i due setti muscolari della nuca.

Un’entrata simmetrica, letale.

Poi, la rotazione del coltello quasi fosse una chiave attraverso la quale Helen avrebbe chiuso la porta del terrore.

Definitivamente.

Una volta per tutte.

Nel preciso istante in cui l’affondo del coltello ebbe fine, Helen aggirò il divano con lo scatto di un felino affamato, sistemandosi davanti alla sagoma ancora parzialmente seduta del padre.

L’uomo continuava a contorcersi, in preda a violenti spasmi incontrollati, mentre scivolava via via verso il pavimento, cercando con entrambe le mani di strapparsi il coltello dalle carni.

Per sua sfortuna la lama si era conficcata talmente in profondità che le forze residue rimastegli non avrebbero mai potuto avere la meglio sulla spietatezza con cui la figlia aveva agito.

Gli occhi sbarrati erano quelli di un essere ributtante, ferito a morte, che vedeva spalancarsi in fretta, davanti agli occhi, le porte incandescenti dell’Ade.

Mentre il respiro si spegneva, il mostro supplicava spiegazioni che non avrebbe mai ricevuto. A stento la sua bocca riusciva ancora a emettere un rantolo, ovattato dal sangue che gli zampillava oltre la lingua distesa.

Ora era tutto quanto vero.

La lama del coltello conficcata in profondità nelle carni, il tanfo acre, acidulo del sangue.

E la Morte che aveva iniziato a volteggiargli intorno.

Implacabile come un avvoltoio.

Ineluttabile come soltanto lei poteva essere.

Helen non aspettava altro da tempo.

Da anni.

Da molti, molti anni.

Voleva guardare il suo carnefice negli occhi mentre il mondo gli si spegneva davanti.

Bramava di essere testimone della sua impotenza a restare nel regno dei vivi, dove aveva perpetrato ripetuti stupri e abusi di ogni tipo.

Mentre le pupille dell’uomo strabuzzavano fuori dalle orbite, prossime al collasso, l’espressione allucinata del suo viso che si accasciava, trasmetteva solo una vaga idea del dolore incontenibile da cui il suo corpo continuava a essere assediato.

Lo sguardo di Helen era fiero, radioso.

Pregno di un godimento sopito a lungo, per tanto, troppo tempo. Sua madre aprì gli occhi quando quelli del marito si erano già spenti da parecchi istanti, privati della luce di una vita votata allo scempio del suo stesso sangue.

Sulle prime, la donna pensò di stare sognando, in preda ai fumi dell’alcol. Quando ebbe realizzato che, invece, tutto era esattamente così come lo stava vedendo, si sentì mancare le forze.

D’istinto guardò Helen, poi di nuovo il marito.

Giustizia era appena stata fatta.

Non riusciva ad ammetterselo, ma anche lei se ne sentiva sollevata. La piccola, nel frattempo, restava immobile davanti al capo reclinato del padre, disteso lungo il pavimento, in posizione innaturale, continuando a godersi sino in fondo la sua dipartita.

Helen era finalmente libera.

La bestia non c’era più.

LIBERA… LIBERA! LIBERA!! si ripeteva la sedicenne, mentre una calda lacrima le irradiava il viso di un’improvvisa luce.

Una luce pulsante di nuova vita.

LIBERA.

LIBERA!

LIBERA!!

Helen non riusciva a pensare ad altro."

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