Il corretto uso dello storytelling

Il corretto uso dello storytelling

Può capitare di questi tempi che il messaggio prevarichi il contenuto. Come spesso abbiamo detto, siamo già oltre McLuhan ed è meglio prenderne atto. Citiamo ad esempio lo storytelling, termine ormai inflazionato ed erroneamente connesso alla cosiddetta fiction economy. Uno scenario professionale, sociale e relazionale che, nel confrontarsi giornalmente con messaggi, articoli, video, link e quanto altro, si rifà instancabilmente ai linguaggi di un certo tipo di prodotto finzionale: i film, i videogame, la narrazione nelle sue tante forme. La storificazione (si badi bene, e non storicizzazione) di ogni accadimento preso dalla realtà e ridotto a racconto digeribile e digerito dai vari media in circolazione, però, non è detto che funzioni sempre. 

Il processo di creazione di storie porta con sé una serie di equivoci spesso difficili da individuare.

Ultimamente, proprio su Facebook, una delle mie connessioni ha postato un articolo in cui veniva glorificato un sito che invogliava un’intera strada alla collaborazione. L’ottica era quella di socializzare le relazioni tra vicini e coinvolgerle fisicamente in un progetto di attivismo di quartiere. L’effetto finale, invece, è stato quello di aver creato l’ennesima storia a campione drasticamente commentata da alcuni (tra i quai, non mi nascondo, io) con sonori: è roba già vista e sperimentata; basta andare sul web e di progetti del genere se ne trovano a milioni.

Quindi possiamo dire che un progetto presente sul web con l’unico intento di fare comunicazione, viene di fatto fruito e valutato nel suo contenuto esclusivamente in quella dimensione e fatto morire sulla base dell’originalità e dell'efficacia dell’informazione. Lo storytelling non esprime più alcun legame con la realtà fisica e concreta delle situazioni, ma rischia di diventare un modo espressivo a sé, la sublimazione dei fatti della vita in un formato puramente virtuale che predilige l’orizzontalità alla verticalità, l’immediatezza all’approfondimento.

In questo senso, anche se posso fare ammenda della mia superficialità (non dovrei io per primo giudicare un’idea basandomi solo sulla lettura di un articolo), vorrei mettere in evidenza alcuni punti deboli della produzione di contenuti sul web.

A) si procede per tormentoni linguistici che, se da un lato entrano facilmente nel gergo comune, dall’altro rivelano una certa inconsistenza contenutistica. Non vengono mai approfonditi i contenuti nel senso di apertura alle tante e possibili interpretazioni. Il fenomeno resta ancorato alla sua denotazione linguistica che, in teoria, dovrebbe sottendere una serie di significati che, però, sfuggono ai più;

B) l’inflazione delle mode (resa più facile ed efficace dalla grande capacità di viralità del web), come nel caso del recente startuppismo, tende a banalizzare dei fenomeni complessi e a ridurli a formuletta, con l’unico risultato di rendere arido un qualcosa che, nei suoi passi successivi, potrebbe invece essere interessante (basterebbe dire a chi è innamorato del fenomeno start up che dopo la fase di start c’è quella di sviluppo). Anche qui, il risultato reale è che ci sono più contenitori e slogan che reali fenomeni sostenibili . Molti festival e manifesti. Poca ciccia;

C) l’incredibile rapidità di produzione del contenuto e la vorace immediatezza di consumo tendono per propria natura all’orizzontalità e, quindi, prediligono tecniche orientate all’iperbole al sensazionalismo. In questo modo, può capitare che abbia successo un contenuto povero, ma trattato tecnicamente (dal punto di vista della comunicazione) in modo più aggressivo, originale e trasversale di altri che, invece, puntano semplicemente sull'autorevolezza delle proprie argomentazioni;

D) la facilità di produzione del contenuto sul web, con l’avvento di applicazioni e piattaforme che aggregano, spesso selezionano, rielaborano e pubblicano il contenuto preso in rete, ha trasformato il web in un enorme ipermercato la cui memoria non muore mai e si nutre di una continua ipercitazione e riproposizione di contenuti già prodotti e circolanti (su Facebook condividi, su Twitter fai il retweet, in altri siti fai lo share…”. In questo modo, prevale il modello finzionale che non prevede un prima e un dopo alla sua narrazione. I publishers, ad esempio, possono mettere le mani in un grande calderone di articoli, individuare la strategia portante di una linea editoriale e affiliare un pubblico solo sulla base di una propria abilità e originalità curatoriali.

Ma allora, se lo scenario è questo quale è la soluzione?

Cominciamo con il dire che una soluzione non esiste dal momento che non ci troviamo di fronte a un problema, ma a una rivoluzione epocale che ha al suo centro l’esplosione dell’informazione e di nuovi modi di produrre e condividere il contenuto. Se pensiamo che, grazie a questa rivoluzione, oggi abbiamo fenomeni di crowdsourching, di citizen journalism, citizen science, open government e peer to peer. Se pensiamo che, grazie a questa mutazione, oggi abbiamo fenomeni come wikipedia, ci appare subito chiaro che siamo davanti a un mondo di possibilità. Solo, sarebbe opportuno non innamorarsi delle tendenze e far sì che la tendenza resti nel chiacchiericcio per far largo al fenomeno vero e proprio, con le sue complessità, le sue possibili interpretazioni, le sue criticità e opportunità. Dopo la parola che entri il contenuto. Quello vero, però.

Massimiliano Leva

Social media manager La Repubblica

9 anni

Un'analisi interessante.

Stefano Damonti

| Anti-Mobbing Strategist | Trainer | Storyteller | Copywriter |

9 anni

Davvero una bella analisi. Condivido pienamente, soprattutto per quanto concerne le infinite ed errate interpretazioni del termine “storytelling”. Una parola super inflazionata sia nel web che fuori.

Valentina Lepore

Senior SEO consultant - Search marketing strategist

9 anni

Sono d'accordo con Flavia Rubino. Più delle conclusioni è importante l'analisi di una tendenza troppo diffusa nel campo della comunicazione e in tutte le sue ramificazioni. Tante infatuazioni, consumate rapidamente e senza trarne e ridare sostanza. Ben venga che ci sia chi se ne accorge e cerca narrazioni differenti anche per il "mestiere di narratori".

Davide Pellegrini

Sii te stesso, tutti gli altri sono già stati presi - Oscar Wilde

9 anni

Sto scrivendo il seguito. Ma abbiate pazienza :)

Flavia Rubino

Brand Strategy Design | Global Marketing Director 20+yrs | Autrice HOEPLI e Podcaster 🎙️ | Cocreation Labs & Lean Workshops | Seguimi per i fondamentali del Branding

9 anni

L'analisi delle distorsioni e dei rischi mi è piaciuta molto, l'utilità di questo articolo sta nel prendere consapevolezza di certi meccanismi. Frse il titolo poteva essere "gli eccessi dello storytelling" :)

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altre pagine consultate